Conoscenza
Ogni teoria della conoscenza, in qualunque momento
storico veda la luce, è strettamente
connessa ad altre problematiche filosofiche
fondamentali, come la dottrina
dell’intelletto (o della mente)
e il suo rapporto con il
corpo, il ruolo dell’esperienza nella
produzione dell’oggetto di conoscenza
(universale o concetto),
la natura e il tipo di operazione svolta della
sensibilità nella costituzione dell’oggetto
medesimo.
Conoscenza, Dio e natura.
Cercheremo delineare i principali modelli di
conoscenza che caratterizzarono l’età
di mezzo tenendo ben presente che peculiare
caratteristica di tutto il pensiero medievale
è l’aspirazione ad una teorizzazione
di quel particolare oggetto di conoscenza che
è Dio. La molteplicità delle strade
battute dai nostri autori, dal commento della
Sacra Scrittura (che si tratti della meditazione
della pagina divina o dell’indagine razionale
delle tesi esposte), al percorso interiore di
ricerca ed elevazione spirituale, in vista di
un accoglimento in sé
del principio divino , ai tentativi di fondazione
di una conoscenza scientifica
dell’Essere sommo , sta ad indicare
la pluralità di modi di accostarsi al
principio trascendente. Se nel corso dell’alto
medioevo la tendenza a vedere nelle creature
meri simboli o vestigia della divinità
era più evidente, l’alba del nuovo
millennio vide il moltiplicarsi di approcci
conoscitivi rivolti alla natura in sé,
nella sua creaturalità e finitezza.
Uno degli elementi propri del pensiero medievale
è la varietà delle teorie della
conoscenza che risultano dagli innesti di modelli
epistemologici ereditati dall’età
classica nella cultura e nella spiritualità
del mondo mediolatino: all’interno di
questo vasto ambito, infatti, si distinguono
gli sforzi orientati verso una delucidazione
coerente della modalità di conoscenza
profetica, che occupò un posto di
primo livello fino alla speculazione tardo-scolastica,
e gli altrettanto poderosi tentativi di elaborare
teorie della visione
beatifica rispondenti alle esigenze culturali
e politiche della Chiesa e, più in generale,
del mondo cristiano.
Conoscenza, linguaggio,
universali. Un altro fattore essenziale
nella comprensione delle dottrine della conoscenza
medievale è il loro intimo legame con
le teorie del linguaggio. Già Isidoro
di Siviglia riteneva di poter rintracciare
nel nome della res, della cosa, la sua vera
realtà, permettendoci così di
cogliere attraverso la corretta ricostruzione
dei nomi elementi propri dell’opera della
Creazione divina: in questa prospettiva lo studio
del linguaggio diventa uno dei modi per arrivare
a conoscere il mondo fisico. Da teologo e profondo
conoscitore della dialettica,
Anselmo
d’Aosta istituì un rapporto
strettissimo fra significatio delle parole e
realtà delle cose. La dialettica deve
dunque consistere nello sforzo della mente di
rintracciare la verità del reale. La
verità, intesa come verità dell'enunciato,
si ha dunque quando l'enunciato corrisponde
alla realtà: non alla realtà di
superficie, ma a quella struttura profonda,
ideale, delle cose. Il contrasto con Gaunilone
riguardo alla sostenibilità della cosiddetta
‘prova ontologica’ dell’esistenza
di Dio risiedeva propriamente nella differente
concezione dello statuto del linguaggio e del
suo legame con la realtà: per Anselmo
la vera significatio delle parole è coglibile
indipendentemente dall’esperienza diretta
della cosa stessa, mentre Gaunilone riteneva
che possiamo avere conoscenza di una cosa determinata
soltanto quando essa ci è immediatamente
presente o quando ne possediamo un ‘concetto
speciale o generale’ derivato dall'esperienza.
Un fondamentale contributo allo sviluppo del
tema della conoscenza è offerto nel medioevo
dalle celebri dispute che ebbero luogo nel corso
del XII secolo sugli universali, ovvero su quello
che, dall’epoca scolastica, fu ritenuto
il risultato di ogni processo conoscitivo. Secondo
Abelardo
l'universale è una parola trovata in
modo da poter essere predicata singolarmente
di molti, come per esempio il nome uomo è
unibile ai nomi particolari degli uomini, per
la natura dei soggetti reali ai quali è
imposto. L'universale è dunque un concetto
o idea che si distingue da quello della cosa
singola per le sue caratteristiche di astrazione.
Attribuire una reale esistenza all’universale
significa invece pensare platonicamente le singole
cose che esperiamo come ‘esemplificazioni’
di quell’idea, di quel concetto, che ha
sede nella mente divina. Queste riflessioni
sullo statuto dell’oggetto di conoscenza
ci guidano alla formulazione, pur sommaria,
dei due approcci conoscitivi predominanti del
medioevo.
Il modello epistemologico
agostiniano e i suoi sviluppi nell’alto
medioevo. Più in generale, e molto
schematicamente, come è accaduto per
tematiche relative ad altre discipline, quali
la logica
e la metafisica,
è possibile distinguere anche nell’evoluzione
delle teorie della conoscenza due momenti fondamentali,
il primo caratterizzato dall’influenza
di Agostino e Boezio,
il secondo fiorito in relazione alla diffusione
in Occidente della filosofia peripatetica greca
e dei suoi commenti arabi.
Il modello conoscitivo proposto da Agostino
si fonda sul riconoscimento della validità
della ragione umana, contro ogni pretesa dello
scetticismo dell’Accademia. L’influenza
esercitata dal modello neoplatonico è
indiscutibile: egli distingue nell’attività
della ragione il suo orientarsi verso la realtà
mutevole del mondo sensibile (ratio inferior)
e il distacco da questo, che la pone in contemplazione
del mondo intellegibile (ratio superior). Ma
la filosofia di Agostino è prima di tutto
filosofia cristiana: a fondamento e termine
di ogni processo conoscitivo vi è il
Dio cristiano, che è la realtà
vera, radice di ogni conoscenza, a cui deve
tendere ogni ricerca umana, in vista dell’appagamento
supremo, della beatitudine. Riconoscendo nell’anima
umana i segni della divina Trinità, Agostino
ritiene che il pensiero (Padre), la conoscenza
(Figlio) e l’amore (Spirito Santo) siano
i tre momenti fondamentali nell’attività
spirituale individuale. In quanto principio
di verità, Dio è anche garanzia
della verità della conoscenza delle cose:
l’uomo non può quindi attingere
liberamente alla conoscenza del mondo con le
proprie forze, ma solo in virtù di un’illuminazione
che è data da Dio. La luce del nostro
intelletto deriva dalla Luce divina, così
come la nostra verità è tale in
quanto partecipa della Verità suprema.
L’influsso neoplatonico è consistente
anche nell’opera del primo grande autore
medievale, Severino Boezio, le cui opere furono
ampiamente conosciute e commentate durante i
secoli successivi. Secondo Boezio la mente,
creata ad immagine di Dio, possiede alcune verità
innate, di tipo formale, su cui costruisce ogni
argomentazione successiva; fondamentale è
quindi la distinzione tra il nous, conoscenza
immediata del vero, e dianoia, che procede attraverso
ragionamenti per giungere alle verità
particolari delle singole scienze. Tanto più
si lascia condurre dall’intuizione noetica,
più l’essere umano si accosta alla
verità, che è coglibile solo per
un atto immediato ed è capace di orientarlo
correttamente. Il tema della dualità
conoscenza teologica/conoscenza filosofica rimarrà
alla base delle concezioni medievali, che pongono
in un orizzonte sapienziale ogni conoscenza
di tipo inferiore, concernente le realtà
individuali, che procede invece attraverso un
metodo di cui concordemente si riconosce la
validità (scientia). Ben presente nell’orizzonte
della civiltà cristiana medievale è
anche una modalità di conoscenza definibile
come 'profetica', che ha come oggetto verità
soprannaturali che sfuggono ai sensi e che si
configurano pertanto come un dono del divino
che acuisce la ragione umana, rendendo poi l’uomo
o la donna interprete di tale messaggio profetico.
Il modello epistemologico
aristotelico. Tra la fine del XII e l’inizio
del XIII secolo si compì il passaggio
dal modello conoscitivo di stampo agostiniano-
neoplatonico a quello aristotelico. In questa
prospettiva la conoscenza risulta dal processo
di assimilazione dell’oggetto conosciuto
nel soggetto conoscente. La sensibilità,
concepita da Aristotele, a differenza di Agostino,
come una facoltà eminentemente passiva,
riceve l’azione degli oggetti esterni,
che vi imprimono la loro forma sensibile. Attraverso
un processo di progressiva attualizzazione della
conoscenza, che si realizza grazie all’azione
delle facoltà del senso comune, dell’immaginazione
e infine dell’intelletto, le forme sensibili
si spogliano dei caratteri dell’individualità
per lasciare affiorare l’universale, il
concetto. Si noti, come prima dissonanza rispetto
al modello agostiniano, che nel processo conoscitivo
aristotelico l’esperienza sensibile costituisce
il primo, imprescindibile passo verso la produzione
di conoscenza e che, almeno apparentemente,
non sembra che vi sia alcun bisogno di interventi
divini o illuminazioni esterne. Sostanzialmente
differente è infatti l’antropologia
che è sottesa alla concezione epistemologica
agostiniana rispetto a quella di stampo aristotelico.
Se la prima concepiva come soggetto dell’attività
conoscitiva l’anima umana, intesa come
principio sostanziale autosussistente e reggente
il corpo, la seconda si orientava verso una
concezione sostanzialmente unitaria dell’essere
umano, secondo le parole del De anima di Aristotele.
Le elaborazioni degli autori scolastici furono
il risultato di complessi tentativi di armonizzare
il modello aristotelico all’interno di
una concezione cristiana in cui l’autosussistenza
dell’anima doveva essere garantita per
la salvaguardia della fede nella vita eterna
promessa nella Bibbia. Le opere di autori come
Pietro
Ispano, Alessandro
di Hales fino a Ruggero
Bacone rappresentano alcuni dei primi sforzi
verso la mediazione tra le differenti esigenze
in campo. I maestri della facoltà di
arti, commentatori di Aristotele, ne furono
in questo senso i più attenti interpreti,
per cui alcuni di loro promossero l’identificazione
del soggetto di conoscenza con l’unità
sostanziale di anima e corpo, posizione che
è nota per esser stata concettualizzata
e difesa da Tommaso
d’Aquino, mentre buona parte dei teologi,
tra cui Bonaventura
da Bagnoregio, tesero ad interpretare l’azione
dell’intelletto agente aristotelico nei
termini dell’illuminazione agostiniana,
che sola è garanzia di conoscenza.
La tarda scolastica vide il progressivo indebolimento
degli elementi tipici del modello aristotelico:
in primo luogo si mise in luce una difficoltà
che emerge dalla conoscenza ottenuta indirettamente,
tramite le species intellegibiles, del dato
sensibile, che poneva in questione la possibilità
di conoscere le cose esistenti in quanto tali,
ovvero l’ammissibilità di una conoscenza
individuale delle cose. Queste critiche, già
comparse intorno alla fine del XIII secolo,
portarono dei fecondi contributi nelle speculazioni
di Duns
Scoto ed Ockham,
aprendo la strada all’elaborazione di
un modello conoscitivo che riconosce all’intuizione
un ruolo centrale nell’approccio conoscitivo
agli enti. (PB)
Bibliografia
Tullio Gregory, Mundana Sapientia: forme di
conoscenza nella cultura medievale, Roma, Storia
e Letteratura 1992
Mind and Knowledge, a cura di Robert Pasnau,
Cambridge, Cambridge University Press 2002 (The
Cambridge Translation of Medieval Philosophical
Texts, 3)
S. Knuuttila, R. Työrinoja, S. Ebbesen,
Knowledge and Sciences in Medieval Philosophy,
Helsinki, Luther-Agricola Society 1990
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