Linea dorata

Teologia

Con il termine ‘theologhía’ Aristotele intende indicare la ricerca in ambito metafisico condotta sull’essere dal punto di vista della causa prima. Questa nozione fa ben presto il suo ingresso nel patrimonio culturale cristiano, grazie all’opera dei Padri (Giustino, Clemente Alessandrino, Origene) per indicare la conoscenza di Dio e rimane centrale nel pensiero occidentale, nonostante le trasformazioni metodologiche che ne hanno profondamente modificato l’impianto e gli esiti speculativi.

Teologia come lettura della sacra pagina. La teologia si costituisce in un primo momento come una riflessione sul dato rivelato a partire dalla lettura della Bibbia, ed assume la forma di commento al testo sacro elaborato già in età patristica. All’interno di questa prospettiva alcuni Padri della Chiesa misero in atto un tentativo di elaborazione razionale del testo sacro al fine di concettualizzare il discorso sul divino, con finalità prevalentemente apologetiche, cioè con intento polemico nei confronti delle dottrine dei pagani, degli ebrei o delle numerose concezioni eretiche che si diffusero nei primi secoli dell’età cristiana. Per questo tentativo essi impiegarono la strumentazione filosofica, prevalentemente quella di impianto neoplatonico, che offriva forza speculativa alle loro opere. Un importante contributo alla fissazione dei primi concetti teologici delle dottrine cristiane fu porto dalla dialettica, una delle discipline del trivio delle arti liberali, che fiorirono in età classica e rimarranno alla base del sapere per tutto il medioevo.
L’inserimento di elementi della cultura classica nel quadro teologico dei primi secoli non deve far tuttavia pensare che si sia trattato di una ricerca mirata alla completa compresione razionale del divino, o che gli autori si siano preoccupati di collocare storicamente i fatti narrati nella Bibbia, che furono invece intesi dai cristiani come segni del mistero di Rivelazione e Redenzione. Accanto a questi tentativi di avvicinarsi a Dio con gli strumenti della ragione, infatti, si continuava a praticare l’esegesi allegorica e, soprattutto nella Chiesa greca, a pensare che la Parola divina fosse contrassegnata in modo pervasivo da un elemento di oscurità, che nessuna mente umana poteva rischiarare a causa della sua finitudine. La conoscenza di Dio era quindi sapienza, sapere sacro, che ciascuno cristiano doveva ricercare individualmente, con l’ascolto e la meditazione del Verbo, in assoluto distacco dal mondo.

Dibattiti teologici di età carolingia. In epoca monastica questi differenti elementi culturali permasero, mentre, sul piano istituzionale, si fissò come compito precipuo del monaco, perfetto modello del cristiano, quello di leggere e meditare la Bibbia, con l’aiuto dei commenti dei Padri.
Nel corso dell’alto medioevo si affermò inoltre in ambito teologico un uso sempre più proficuo della logica aristotelica, resa disponibile tramite le traduzioni ed i commenti di Boezio: fu proprio grazie a questi mezzi che, all’epoca della piena rinascita carolingia, fiorirono una molteplicità di posizioni dottrinali tra di loro contrastanti, che assunsero la forma di dibattiti teologici su alcuni dei temi centrali della dottrina cristiana, concernenti la presenza del corpo di Cristo nell’Eucarestia, la verginità di Maria, madre di Dio, la predestinazione (per citare solo i più noti).

L’intelligenza della fede. Per far fronte alle esigenze sempre più pressanti della società medievale così come si andò delineando in epoca successiva all’anno Mille, dove la compresenza di culture religiose differenti in aree sempre più ravvicinate dell’Europa rendeva urgente il confronto tra le diverse dottrine e le culture, emersero elaborazioni improntate all’’intelligenza della fede’, intese come sforzi di dare spiegazioni razionali di verità credute: su questa linea la poderosa speculazione di Anselmo d’Aosta relativa alla dimostrazione dell’esistenza di Dio, celebre come ‘prova ontologica’, o ‘a priori’, rappresenta uno dei più fecondi momenti del pensiero medievale.

Teologia e dialettica. Appena successivo ad Anselmo è il pensiero di uno dei più celebri maestri di logica di Parigi che il medioevo abbia conosciuto, Pietro Abelardo. A lui si deve una riflessione sul divino condotta a partire dall’analisi del linguaggio; egli si propose di offrire una comprensione della parola di Dio, che, in quanto rivolta all’uomo, non può essere intesa come alcunché di misterioso ed inconoscibile. Si inaugurò così una nuova concezione del discorso su Dio, non più ricondotto esclusivamente alla lettura, meditazione e commento della Bibbia, secondo l’uso monastico, delineando attraverso l’uso rigoroso della dialettica la struttura scientifica che lo caratterizzerà nei secoli successivi. Negli stessi anni, un maestro chartriano, Gilberto Porretano, fortemente influenzato dal platonismo, ma soprattutto da Boezio, elaborò una concezione teologica fondata su principi metafisici tratti dall’ontologia boeziana che avrà profondi sviluppi nel secolo d’oro della Scolastica. In questa prospettiva egli ribadì l’assoluta semplicità del divino rispetto alle creature, ed introdusse una interpretazione della dottrina trinitaria che gli varrà la condanna di Bernardo di Chiaravalle.

I primi tentativi di teologia assiomatica. Nel corso del XII secolo, sempre nel contesto della scuola di Chartres, Alano di Lilla, nelle Regulae caelestis iuris e Nicola d’Amiens, nel De arte catholicae fidei, misero in atto un tentativo di fondare scientificamente la teologia con il ricorso al metodo assiomatico, sul modello della geometria. Partendo da proposizioni universalmente ammesse se ne deducevano sistematicamente enunciati della cui verità non si potesse in alcun modo dubitare. Sotto l’influenza del Liber de Causis e dell'ermetico Liber XXIV philosophorum, l’applicazione del metodo assiomatico apparve agli occhi dei due teologi come l’unico procedimento valido per ottenere verità su cui anche i non credenti devono concordare. Da simili presupposti muoverà nella sua speculazione Raimondo Lullo, che si proporrà di dimostrare le verità cristiane attraverso l’uso di rationes necessariae (termine che era stato utilizzato da Anselmo d’Aosta).

Teologia come scienza. Questa esigenza di conferire scientificità al discorso divino culminò nel XIII secolo con l’imponente sistematizzazione di tematiche teologiche e filosofiche effettuata da Tommaso d’Aquino. La piena conoscenza delle dottrine aristoteliche fornì un importante contributo per la messa a fuoco dei criteri epistemologici che permettevano di definire una scienza come sapere che si struttura attraverso il metodo deduttivo a partire da principi certi. Tali principi possono essere autoevidenti oppure dimostrati all’interno di un’altra scienza: in questo secondo caso si parla di subalternatio di una scienza ad un’altra (per es. della medicina dalla filosofia naturale). Fondata sui principi della fede cristiana, rivelati da Dio agli uomini e sviluppata secondo il metodo deduttivo aristotelico, la teologia era concepita da Tommaso come la regina della scienze, che eccelle su tutte le altre per la certezza, derivante dalla grazia di Dio, e per la superiorità del suo oggetto; il suo fine è l’ottenimento per l’essere umano della vita eterna, che è la sua suprema realizzazione. Dal punto di vista strettamente scolastico, l’indagine sul divino era praticata in modo sistematico alla facoltà di teologia, dove, insieme alla Bibbia, divenne centrale un’opera a carattere compilativo che riuniva le proposizioni più significative delle auctoritates, le Sentenze di Pietro Lombardo.
Accanto a questo orientamento, che è forse l’aspetto più noto della tradizione culturale del Duecento, bisogna ribadire che nell’epoca d’oro della Scolastica permasero, ed ebbero vasta eco in seguito, anche concezioni dissimili: la scuola francescana fu particolarmente attiva nel tramandare il suo ideale di conoscenza teologica come sapienza, così definita in quanto il suo obiettivo non è tanto l’acquisizione di un sapere razionalmente determinato ed esaustivo, quanto orientare il cristiano all’amore per Dio, unica garanzia di salvezza. Alessandro di Hales, Odo Rigaldi, Ruggero Bacone e soprattutto Bonaventura insistono sul limite intrinseco alla metodologia scientifica aristotelica nel suo applicarsi all’oggetto divino e ai dati di fede.

L’autonomia della teologia. La tradizione francescana esercitò una notevole influenza sugli sviluppi della teologia del secolo XIV. Ben presto, infatti, si radicò l’idea della sostanziale impossibilità per la speculazione razionale umana di racchiudere in una scienza, correlata alle altre e facente parte di un quadro epistemologico disegnato dalla ragione, i misteri dell’infinità divina. Pur riconoscendo all’indagine su Dio elementi di certezza e di razionalità, Duns Scoto si soffermò sulla finitudine della natura umana, che non può comprendere pienamente il suo Creatore, pur aspirando alla perfezione della vita ultraterrena: la teologia si definisce così come un sapere eminentemente pratico, sapienziale, autonomo rispetto alle scienze che hanno a che fare con oggetti finiti e determinati. Da questo punto prese le mosse la speculazione di un altro grande autore, Guglielmo di Ockham, che sottolineò l’impossibilità della fondazione di una scienza teologica: il sapere su Dio è basato sul dato rivelato e non è ottenibile in alcun modo attraverso l’esercizio di facoltà intellettive umane. Non si può quindi dare dimostrazione rigorosa di verità rivelate, anche se resta compito precipuo dell’uomo quello di cercare di accostarsi alla sapienza divina, ricorrendo a tutti i mezzi di cui egli dispone. Non si tratta dunque di una rinuncia all’indagine razionale in teologia, quanto piuttosto del tentativo di delineare una nuova forma di razionalità, una logica fidei, diversa rispetto a quella aristotelica. Anche l’esegesi scritturale, momento indispensabile dell’indagine teologica, assunse sempre maggiore autonomia rispetto ai criteri epistemologici aristotelici cui si era cercato di ricondurla in passato. Fra gli altri Thomas Bradwardine e Gregorio da Rimini si fecero portavoce di questa tendenza nota fra gli storici come ‘rinascita agostiniana’, che non deve tanto far pensare ad un passo indietro nella ricerca intellettuale sul divino, quanto ad una progressiva acquisizione di consapevolezza circa i limiti di un modello epistemologico che risultava sempre più inadatto alle nuove esigenze teoretiche. (PB)

Bibliografia

I. Biffi, Figure medievali della teologia, Milano 1992.
M.-D. Chenu, La teologia come scienza nel XIII secolo, Milano 1971 (seconda edizione).
Filosofia e teologia nel Trecento. Studi in ricordo di Eugenio Randi, a cura di L. Bianchi, Louvain-la-Neuve 1994.
Per un’agile ma efficace ricostruzione degli sviluppi del pensiero teologico nel Medioevo si veda:
P. Müller, Credere e sapere: aspetti del dibattito teologico, in La filosofia nelle Università. Secoli XIII-XIV, a cura di L. Bianchi, Firenze 1997.

 

Università di Siena - Facoltà di lettere e filosofia
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