Dibattiti dell’età
carolingia
Gli elementi di novità che il Cristianesimo
portava nel confronto con il pensiero antico
nascevano per lo più all’interno
di problematiche scritturali e teologiche. I
criteri di questo confronto erano dettati dalla
ragione, il cui strumento era essenzialmente
la disciplina che, fra le arti
liberali, insegnava "a distinguere
il vero dal falso", ovverosia la dialettica.
Nell’età carolingia l’intreccio
di tematiche a sfondo religioso con esigenze
di ordine etico, sociale e politico portò
a sollevare dibattiti teologico-filosofici che
toccavano temi fondamentali quali il destino
ultraterreno dell’uomo (predestinazione),
l’immortalità dell’anima,
la natura dell’Eucarestia.
La doppia predestinazione.
Gotescalco d’Orbais (801 ca. 870), un
monaco di origine sassone che trascorse la maggior
parte della sua vita in Francia, nell’opuscolo
intitolato De praedestinatione sostenne che
Dio aveva predestinato alcuni uomini alla salvezza
eterna e altri all’eterna dannazione;
egli si fondava su testi scritturali e patristici,
soprattutto di Agostino, che nella polemica
contro Pelagio aveva affermato con forza la
necessità della grazia divina per la
salvezza, anche se nel De libero arbitrio aveva
invece dato molto più spazio alla capacità
umana di operare una libera scelta morale. Nel
giudizio divino, che non è soggetto ai
vincoli temporali come quello dell’uomo,
secondo Gotescalco non si possono distinguere
il momento della prescienza (la conoscenza divina
delle cose future) da quello del giudizio che
assolve o condanna l’individuo (dottrina
detta della ‘doppia predestinazione):
salvezza o condanna non dipendono dunque dal
volere e dai meriti individuali, ma dalla grazia
e dall'onnipotenza
divina <testo1>. Le conseguenze pratiche
della dottrina di Gotescalco erano decisamente
gravi sul piano etico-sociale, perché
l’esercizio delle virtù veniva
ad essere svincolato dalla prospettiva della
pena o del castigo eterni, sottraendo agli uomini
la possibilità di meritarsi con la fede
e le opere la salvezza. Di tale pericolo si
resero conto gli avversari di Gotescalco, che
lo condannarono nel corso di due sinodi convocati
nell’848 a Magonza e nell’849 Quierzy.
Il dibattito coinvolse molti alti prelati del
tempo, fra cui in primo luogo Incmaro di Reims,
poiché il fulcro filosofico del dibattito
era nientemeno che l’interpretazione di
Agostino. La personalità di maggior rilievo
che partecipò alla discussione fu Giovanni
Scoto Eriugena, col trattato De praedestinatione
scritto nell’850 o agli inizi dell’851,
che del resto non chiuse la polemica e anzi
allargò il discorso al più generale
tema della predestinazione, poiché l’Eriugena
sostenne che Dio non si occupa del destino dei
singoli uomini, ai quali ha conferito il dono
della libertà affinché se ne servano.<testo
2> Il suo intervento fu in larga misura incentrato
sul metodo del dibattito, poiché affermando
(come aveva fatto Agostino) l’identità
di filosofia e religione sostenne con forza
la necessità della dialettica
nelle questioni come quella che era chiamato
ad affrontare.
Anima individuale e
anima del mondo. Verso l’850 il
successore di Carlo Magno, Carlo il Calvo, interpellò
i maggiori teologi della sua epoca chiedendo
loro se il legame
dell’anima col corpo implichi o no
che essa sia circoscritta localmente da esso
<testo>. Alla questione rispose Ratramno
di Corbie, sostenendo che l’anima, non
essendo un corpo, non sta in un luogo determinato
<testo>; l’opinione opposta venne
sostenuta da Incmaro di Reims. Il dibattito
nasceva anch’esso in relazione ad un testo
agostiniano (De quantitate animae, 32.69), richiamato
da un anonimo discepolo di un maestro irlandese,
Macario Scoto, che sosteneva la tesi “che
tutti gli uomini sono sostanzialmente (per substantiam)
un solo uomo e tutte le anime razionali sono
sostanzialmente una sola anima”; contro
questa opinione si schierarono il vescovo Oddone
di Beauvais e Ratramno. Agostino aveva sostenuto
che era difficile scegliere fra un’opinione
poco filosofica, come quella della molteplicità
delle anime, e un’opinione difficile da
comprendere dai profani, quella secondo cui
la molteplicità delle anime può
essere ricondotta ad un’unità superiore
dell’anima. Secondo il suo allievo, Macario
Scoto aveva interpretato Agostino in termini
neoplatonici, considerando le anime individuali
come emanazioni dell’anima
universale <testo>, ma nell’insieme
del dibattito sembra di individuare un primo
accenno al dibattito sugli universali,
che si sarebbe sviluppato nel XII sec.: Macario
e il suo allievo appaiono come esponenti di
una dottrina di tipo "realista" cui
Ratramno risponde da un punto di vista che potremmo
definire proto-concettualista.
Il dibattito sull’Eucarestia.
La presenza di Cristo nell’Eucarestia
costituisce il fulcro di una riflessione sul
rapporto del sacro con la natura materiale,
che tornerà in discussione all’inizio
dell’età moderna diventando uno
dei temi dottrinali di fondo della Riforma protestante.
La realtà concreta della presenza del
corpo di Cristo nel sacramento eucaristico era
stata affermata nell’831 da Pascasio Radberto
nel trattato De corpore et sanguine domini,
cui si erano opposti diversi dei teologi che
abbiamo già visto impegnati nella disputa
sulla predestinazione: Ratramno di Corbie, che
scrisse dopo l’856 un trattato dello stesso
titolo sostenendo la presenza spirituale del
corpo di Cristo, e dunque il valore simbolico
del sacramento; e lo stesso Gotescalco, che
in questa occasione si trovò schierato
accanto ai suoi avversari sull’altro tema.
La presenza spirituale era sostenuta anche da
Rabano Mauro, maestro di grande rilievo e autore
di un’importante opera
enciclopedica, il De universo. La discussione
si riaccese nell’XI sec., dapprima come
un dibattito all'interno della scuola cattedrale
di Chartres in cui due discepoli difendevano
la tesi di Pascasio Radberto contro Berengario
di Tours, che sosteneva la presenza spirituale
di Cristo nel pane. L’intervento di Lanfranco
di Pavia spostò il piano della discussione,
affermando che la tesi sostenuta da Berengario
(che riprendeva la posizione di Ratramno di
Corbie appoggiandosi a Scoto Eriugena) non poteva
essere considerata ortodossa <testo>:
avvertiamo qui una preoccupazione di ordine
teologico-morale particolarmente forte in un’epoca
di riforma dei costumi del clero, che si era
già manifestata nella ripresa d’interesse
per la tesi di Pascasio Radberto nel X secolo
ad opera, fra altri, dell’abate Oddone
di Cluny: l’esclusione degli "indegni"
dalla mensa comune dei cristiani (la scomunica)
appariva infatti rafforzata dalla convinzione
della presenza reale, e viceversa indebolita
dalla concezione "spiritualistica"
di Berengario. Condannata da due concili (nel
1050 e nel 1059), la tesi della presenza solo
spirituale del corpo di Cristo venne difesa
da Berengario con argomenti dialettici riguardanti
la generazione e corruzione delle sostanze e
la inerenza degli accidenti alle sostanze medesime:
quando si corrompe la sostanza cui ineriscono
gli accidenti anche questi scompaiono, ma ciò
non avviene nel pane consacrato, che dunque
non si trasforma realmente di Cristo <testo>.
Le argomentazioni di Berengario vennero però
considerate dagli avversari uno sterile tentativo
di dare nuovi significati alle parole e un abuso
dello strumento della dialettica. (MP)
Bibliografia
M. Cristiani, Tempo rituale e tempo storico.
Comunione cristiana e sacrificio. Le controversie
eucaristiche nell’alto medioevo, CISAM,
Spoleto 1997
C. Martello, Lanfranco contro Berengario nel
Liber de corpore et sanguine Domini, CUECM,
Catania 2001 (con traduzione italiana del testo)
A. Cantin, Fede e dialettica nell’XI secolo,
Milano 1996
G. D’Onofrio, Fons scientiae. La dialettica
nell’Occidente tardo-antico, Napoli 1986
H. Liebeschütz, Western Christian Thought
from Boethius to Anselm, in Cambridge History
of Later Greek and Early Medieval Philosophy,
Cambridge UP, 1967
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