Onnipotenza divina
Nella Scolastica di fine secolo si attesta la
centralità del dibattito teologico concernente
l'interpretazione dell'attributo biblico dell'onnipotenza
divina, ovvero se questa sia da intendersi come
potentia absoluta o come potentia ordinata.
E’in questione la modalità di rapporto
di Dio col creato: l'idea di potenza ordinata
si definisce infatti come il sistema della natura
e della grazia stabilito da Dio, al cui interno
egli opera mediante le cause seconde create,
in modo coerente e prevedibile. Dal momento
che l'idea di potenza ordinata è omogenea
all’impianto della cosmologia aristotelica,
anche quando non viene esplicitamente tematizzata,
essa costituisce la base della convinzione,
profondamente radicata nell'aristotelismo cristiano
del XIII secolo, di una leggibilità della
provvidenza divina nel mondo; questa tende a
convergere - pericolosamente, in un'ottica teologica
- con l'affermazione della necessità
dell'esistente. L'idea di potenza assoluta presuppone
invece una "riserva" di potere da
parte del creatore, che può in qualsiasi
momento intervenire nel creato anche sconvolgendone
le leggi. Questa distinzione conduce ad una
duplice possibilità di interpretare il
miracolo, che è coglibile nel primo caso
come evento straordinario, assolutamente extra-naturale,
mentre nel secondo come espressione di una volontà
del tutto libera, analoga a quella di un sovrano
assoluto.
Potenza ordinata e potenza
assoluta. La distinzione fra potentia
ordinata e potentia absoluta fa la sua comparsa
alla fine del '200, ma l'idea su cui essa riposa
è presente già nella riflessione
filosofica del XII secolo. La questione era
stata posta a partire da due passi di Agostino,
entrambi citati nelle Sentenze di Pietro
Lombardo, (testo commentato obbligatoriamente
dai baccellieri sentenziari nelle facoltà
teologiche del XIII secolo): riferendosi all’attività
divina, il vescovo di Ippona affermava infatti
che Dio "potuit sed noluit", pur potendo,
non volle; nel secondo, che "avrebbe potuto
in considerazione della potenza, ma non poté
in considerazione della giustizia" (poterat
per potentiam, sed non poterat per iustitiam).
Nell'esegesi agostiniana la discussione si focalizza
dunque attorno alle cose che Dio non può
fare (per esempio non può cambiare il
passato: si ricordi la presenza di questo tema
in Pier
Damiani). Anselmo
d’Aosta, nel Cur Deus homo, pone la
distinzione in relazione al rapporto fra possibilità
e volontà: Cristo poteva fare molte cose
che non volle fare e che non poteva voler fare.
Abelardo
ha offerto poi un consistente contributo alla
formulazione del problema, sostenendo che Dio
può fare solo quello che fa, e distinguendo
i due tipi di potentia, che alla sua epoca peraltro
non erano ancora contrassegnati da una terminologia
precisa; questa, così come è nota
nella sua definitiva formulazione, non proviene
dalle discussioni teologiche o filosofiche,
ma dal dibattito dei canonisti sul potere del
papa, ovvero dall’ambito
giuridico-politico.
Alla base del successo della distinzione potentia
absoluta/potentia ordinata sta l’influenza
esercitata dalla condanna
che nel 1277 aveva accusato la visione aristotelica
del rapporto fra Dio e il mondo di imporre un
necessitarismo incompatibile con la concezione
cristiana di un Dio creatore assolutamente libero:
Tempier aveva infatti rifiutato l’idea
aristotelica che la prima causa non avrebbe
potuto fare più mondi. Questa posizione,
perfettamente coerente nell'ambito della cosmologia
aristotelico-araba, era infatti considerata
una limitazione dell'onnipotenza divina sia
dal vescovo di Parigi che dalla commissione
di teologi incaricata di valutare l’ortodossia
delle tesi filosofiche.
Il Dio sovrano e i mondi
possibili. L’utilizzazione teologica
pienamente consapevole della distinzione tra
potenza assoluta e potenza ordinata è
rintracciabile in Duns
Scoto. Nella sua considerazione della contingenza
radicale del creato, egli afferma che Dio può
mutare le leggi da lui stesso stabilite e agire
al di fuori o anche contro di esse: la potentia
absoluta si presenta dunque come una forma di
azione divina straordinaria, mentre la potentia
ordinata è l’azione in accordo
con la legge. La concezione scotista rappresentava
così un antidoto contro ogni ipotesi
secondo la quale esisterebbero idee o principi
capaci di condizionare l’azione divina.
L'unico principio a cui nemmeno Dio può
contravvenire, secondo i sostenitori della potenza
assoluta, è quello logico di non contraddizione.
Il riconoscimento della potentia absoluta di
Dio, pur nelle sue varie sfumature, caratterizzerà
la scuola francescana e diventerà un
tratto costitutivo della via Scoti nella tarda
Scolastica.
Assumere tale concezione portava ad uso spregiudicato
dell'immaginazione, nell’elaborare una
serie di ipotesi riguardanti la natura
fisica del mondo. Con Ockham,
l’allontanamento rispetto al necessitarismo
aristotelico, implicito anche nell’elaborazione
della sua epistemologia, è teso a salvaguardare
l'elemento di irriducibile libertà divina
contenuto nell'idea di potentia absoluta - elemento
centrale per una teologia cristiana –
senza tuttavia rinunciare alla regolarità
e all'affidabilità delle operazioni nell'ordine
della natura, requisito indispensabile per fondare
una scienza rinnovata. Secondo Ockham la potenza
assoluta non può essere interpretata
come possibilità di intervento straordinario
nel creato, essendo collocata in un momento
logicamente anteriore a quello della creazione,
mentre la potentia ordinata viene identificata
con la realizzazione di fatto della potentia
absoluta: in questo modo egli riesce a salvare
la fiducia nella conoscibilità del mondo
senza ricorrere ad un ordine razionale che condizioni
l'azione creatrice di Dio. Questo problema,
che trova la sua prima, fondamentale trattazione
nella storiografia sul nominalismo di Ockham
e del XIV secolo, traendo vigore dal retroterra
agostiniano, che ne rappresenta l’ispirazione
originaria, mantiene la sua influenza fino all’età
moderna, con l’emancipazione dalla filosofia
naturale aristotelica, ed è ben presente
nelle discussioni della Riforma luterana e nella
formulazione del meccanicismo classico, quando
l'universo sarà visto come un orologio
messo in moto da un Dio-orologiaio che, compiuta
l'opera iniziale di avviamento, resta del tutto
indifferente al successivo funzionamento del
meccanismo avviato (PB).
Bibliografia
Sopra la volta del mondo: onnipotenza e potenza
assoluta di Dio tra Medioevo e età moderna,
Bergamo, Lubrina, 1986
Eugenio Randi, Il sovrano e l'orologiaio: due
immagini di Dio nel dibattito sulla potentia
absoluta fra 13. e 14. secolo, Firenze, La nuova
Italia, 1987 (Pubblicazioni della Facoltà
di lettere e filosofia dell'Università
di Milano)
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