Pietro Damiani Vita e opere. Nato a Ravenna e vissuto fra il 1007 e il 1072, Pietro Damiani fu un combattivo riformatore della Chiesa, poi proclamato santo e dottore della Chiesa. Dotato di una ampia cultura giuridica, entrò nel 1043 nell'ordine eremitico di Fonte Avellana, ed espose le sue idee sulla vita eremitica e sulla riforma della Chiesa in numerosi scritti. Fu per dieci anni (1057-1067) vescovo di Ostia, ma per il desiderio intenso di tornare a dedicarsi alla vita contemplativa ottenne dal papa Alessandro II di essere esonerato dalla funzione episcopale. Grazie al ricorso allo stile epistolare e alla regola della concisione, le sue opere, numerose ma generalmente brevi, risultano per lo più legate alla delucidazione di problemi specifici; il suo interesse principale, anche di ordine giuridico, fu la diffusione della riforma della chiesa. Dal punto di vista metodologico egli utilizzò i procedimenti più aggiornati dei giuristi dei suoi tempi, ovvero il confronto dei testi, il principio di concordanza, il richiamo all'auctoritas; il suo lavoro è perciò considerato una tappa nella elaborazione di quel "metodo scolastico" culmina nella formalizzazione della quaestio. La dialettica. Le opere più rilevanti dal punto di vista filosofico risalgono all’ultima parte della sua vita e sono note per i toni polemici rivolti contro la dialettica, strumento di ricerca e di indagine che sempre più gli uomini del suo tempo utilizzavano in ambito filosofico e teologico. In alcuni opuscoli, infatti, quali il De sancta simplicitate scientiae inflanti anteponenda o il De vera felicitate et sapientia, l'argomentazione si era svolta sul piano delle scelte etiche, per cui il rifiuto della dialettica era stato finalizzato alla esaltazione delle virtù necessarie alla fede. Con accenti polemici, Damiani sosteneva che se la filosofia fosse stata indispensabile per la salvezza degli uomini, Dio avrebbe mandato filosofi, e non pescatori, per convertirli. Contrapponendo i "pescatori" ai "filosofi" Damiani vole accentuare la necessità della forza e della magnanimità per l conduzione di una perfetta vita cristiana, piuttosto che della sottigliezza intellettuale. L’onnipotenza divina. Proprio durante gli ultimi anni della sua vita, egli intensificò i rapporti con Montecassino, al cui abate Desiderio dedicò il De divina omnipotentia (1067). In quest’opera Pier Damiani mette alla prova lo strumento filosofico della dialettica su un problema teologico centrale, quale è quello dell’onnipotenza divina, sul quale la speculazione scolastica sarebbe tornata tanto nel XII quanto nel XIV secolo: questo ci dimostra che la sua critica alla dialettica non è basata su un rifiuto ingenuo, ma su una solida argomentazione teorica, costruita da un fine conoscitore della disciplina. L'affermazione di base dell’argomento è che non ci sono cose che Dio non possa fare, tranne il male. Tuttavia, affermano i dialettici, Dio non può far sì che ciò che è accaduto non sia accaduto (per esempio ridare la verginità ad una donna che l'abbia perduta, o far sì che Roma non sia mai stata fondata), cioè non può ciò che è logicamente impossibile. Pietro Damiani critica questa posizione affermando che non si possono applicare le regole del discorso e della nostra logica a Dio. Le necessità logiche valgono per l’essere umano, ma non per Dio. Egli sottolinea in primo luogo il diverso significato della nozione di tempo rispetto all'uomo e rispetto a Dio. Dio vive nell’eterno presente, ovvero sceglie eternamente ciò che vuole e non c’è altro presente, passato o futuro rispetto a quello che egli decide. "Poiché Dio è eterno, tutto quello che ha potuto fare un tempo così può farlo oggi, poiché il suo presente non si trasforma mai in passato, né il suo oggi diventa domani o un altro momento del tempo [...] Pertanto quel potere che Dio aveva prima che Roma fosse fondata, rimane immutabile nell'eternità di Dio, senza passare, cosicché di ogni cosa di cui possiamo dire che Dio poteva farla, possiamo anche dire che potrà farla, perché la sua potenza, che è a lui coeterna, rimane fissa ed immutabile." Riguardo al concetto di natura, egli distingue poi fra l'idea di natura come corso regolare delle cose e natura come manifestazione della volontà di Dio: in questo secondo senso il miracolo non è "contro natura". Nel terzo argomento la sua critica della dialettica trova il compimento: la validità del principio di non contraddizione è limitata all'intelletto umano, sicché la vera natura delle cose non è condizionata da tale principio, ma unicamente dalla volontà divina. Si ribadisce così la radicale contingenza del mondo, contro la presunzione dei dialettici, che credono di poter asserire che Dio sia sottoposto alle limitazioni delle creature. L'uso della ragione umana nell'accostarsi ai misteri divini perciò non può trascendere limiti invalicabili: il principio logico di non contraddizione, fondamentale per la correttezza del discorso umano, non può essere applicato a Dio, la cui potenza è infinita. L'affermazione dell'onnipotenza divina trova in Pier Damiani il più ardito dei suoi sostenitori: nessun altro infatti si spingerà fino a mettere così radicalmente in discussione la validità del principio fondamentale della logica. Fede e ragione. L'ottica in cui si devono leggere le affermazioni paradossali del monaco ravennate è pertanto quella di una difesa a oltranza del primato della fede nei confronti della ragione; questa opera legittimamente solo in quanto riconosce la propria limitazione. Nel quinto capitolo del De omnipotentia Pier Damiani afferma che la filosofia e la dialettica, quando accedono al campo della fede, devono porsi dinanzi alla teologia come una ancella di fronte alla sua padrona: questa immagine verrà ripresa da Tommaso d'Aquino, al quale siamo abituati ad associarla. (PB) Bibliografia Edizioni Traduzioni italiane |
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