| Dialettica e antidialettica
 Dialettica e arti liberali. 
        Superata la crisi determinata dallo sfaldamento 
        del potere carolingio e dalla conseguente anarchia 
        feudale, nell’XI secolo si assistette 
        ad una lenta ripresa politica, economica e culturale 
        che fece da sfondo alla cosiddetta lotta per 
        le investiture e al movimento per la riforma 
        morale della Chiesa. Molti dei teologi impegnati 
        nel rinnovamento della vita religiosa lanciarono 
        un grido d’allarme contro gli eccessi 
        della scienza terrena poiché ritenevano 
        che la congiunzione di sapere profano e ispirazione 
        biblica potesse contaminare la vita spirituale 
        con quelle ambizioni secolari che erano la causa 
        principale della dilagante corruzione. Si aprì, 
        quindi, un ampio dibattito tra i chierici e 
        i monaci riguardo all’impiego, nella trattazione 
        di questioni attinenti alla fede, della logica 
        studiata nelle scuole sotto il nome di dialettica, 
        ars dialectica. Tale disputa solitamente viene 
        riassunta nel contrasto fra dialettici e antidialettici, 
        ma è evidente che le tensioni intellettuali 
        e religiose dell’XI secolo non si esauriscono 
        in questa semplicistica contrapposizione e che 
        l’intreccio di temi e la vivacità 
        delle posizioni fu di gran lunga più 
        ricco.
 Bisogna precisare che, fin dalla sistemazione 
        scolastica dell’antico ciclo delle arti 
        liberali tracciata da Alcuino, 
        la dialettica, come arte dell’argomentare, 
        rappresentava il coronamento degli studi del 
        trivio (che comprendevano grammatica, retorica, 
        dialettica) ed era considerata, come aveva affermato 
        Agostino nel De doctrina christiana, lo strumento 
        indispensabile per una corretta lettura ed interpretazione 
        della Bibbia e per la confutazione degli eretici. 
        Inoltre, in certe scuole, già alla fine 
        del X secolo gli studi di dialettica raggiungevano, 
        grazie all’insegnamento di alcuni maestri 
        di particolare fama, un livello piuttosto alto 
        (era il caso di Reims con Gerbero d’Aurillac, 
        di Fleury con Abbone e di Chartres con Fulberto) 
        e preparavano il terreno per l’accrescimento 
        del potere della dialettica nel corso dell’XI 
        secolo.
 
 Il dibattito nell'XI 
        secolo. Fu proprio il crescente successo 
        della dialettica ad accendere i toni del dibattito 
        fino ad arrivare, nella seconda metà 
        dell’XI secolo, ad un punto di rottura 
        determinato dalla disputa 
        eucaristica suscitata da Berengario 
        di Tours che, applicando alla speculazione 
        teologica i principi della dialettica, sollevò 
        il problema dei rapporti tra l’insegnamento 
        dogmatico e la speculazione razionale. Contro 
        il canonico di Tours, la cui fama ci è 
        testimoniata dalla eco del suo insegnamento 
        e dalle lodi che ne tessono alcuni contemporanei, 
        si scagliò Lanfranco 
        di Pavia, arcivescovo di Canterbury, che 
        accusò Berengario di manipolare le fonti, 
        di non padroneggiare a sufficienza gli strumenti 
        della logica e di essere indifferente alla verità.
 Una delle voci più forti e autorevoli 
        a difesa della fede contro le insidie della 
        ragione fu quella di Pier 
        Damiani che rifiutava di accordare alcuna 
        utilità alla cultura profana in quanto 
        strumento del potere mondano, ma che, tuttavia, 
        è importante sottolineare, fu un attento 
        conoscitore degli studi liberali, preoccupato 
        ad arricchire la biblioteca del convento con 
        testi non soltanto religiosi, al fine di combattere 
        l’ignoranza dei suoi monaci.
 Merita di essere segnalato come altro esempio 
        di antidialettica, ma forse sarebbe più 
        corretto parlare di antifilosofia, la polemica 
        di Manegoldo di Lautenbach che, nel Liber contra 
        Wolfelmum Coloniensis, scritto nel 1085, criticando 
        diverse dottrine degli antichi filosofi, soprattutto 
        della tradizione platonica, sostiene, in sintesi, 
        che la filosofia, e quindi la ragione, ha fallito.
 La conclusione principale del dibattito che 
        lascia alle spalle le controversie suscitate 
        dalla dialettica di scuola è data nell’ultimo 
        quarto del secolo da Anselmo 
        d’Aosta che, con grande audacia, fa 
        apparire come verità di ragione i misteri 
        della fede più inaccessibili alla ragione 
        umana, grazie alla fede stessa che cerca e rende 
        possibile l’intelligenza dei misteri divini.(IZ)
 
 Bibliografia
 A. Cantin, Fede e dialettica nell’XI secolo, 
        Milano, Jaca Book 1996
 M. Cristiani, Lo sguardo a Occidente. Religione 
        e cultura in Europa nei secoli IX-XI, Roma, 
        La Nuova Italia Scientifica 1995
 
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