Linea dorata

Anselmo d’Aosta

Vita e Opere. Anselmo, conosciuto anche come Anselmo di Le Bec e Anselmo di Canterbury, nacque ad Aosta nel 1033 da una famiglia nobile e iniziò gli studi presso l'abbazia di Fruttuaria; dopo la morte della madre si recò in Francia a studiare alla scuola di Lanfranco di Pavia, nel monastero di Bec, dove si fece monaco nel 1060. Nel 1063, alla partenza di Lanfranco, divenne priore di quel monastero, e nel 1078 fu eletto abate. In questi anni scrisse le prime opere, tutte legate alla vita del monastero: la prima meditazione "ad concitandum timorem" e sei preghiere, dedicate alla principessa normanna Adele, figlia di Guglielmo il Conquistatore. Anche la prima delle opere maggiori di Anselmo, il Monologion (1076) è una meditazione filosofica nata all' interno di una comunità di monaci. Negli anni immediatamente successivi approfondì la sua speculazione filosofico-teologica nel Proslogion (1077-78) ed in seguito si dedicò a riflessioni logico-grammaticali che risultarono nella stesura del De grammatico e del De veritate nel periodo fra il 1080 e il 1085. A quella stessa data risale anche il primo degli scritti anselmiani che si occupano di questioni teologiche legate all’etica, il De libertate arbitrii. L’anno 1093 segnò una tappa importante nella vita di Anselmo: venne chiamato Inghilterra da re Guglielmo II, per ricoprire la carica di arcivescovo di Canterbury, che era stata lasciata vacante dalla morte di Lanfranco (1089) perché il sovrano potesse disporre dei beni ecclesiastici. Ma successivamente si verificarono aspri contrasti con il sovrano, tali da spingere Anselmo ad andare in esilio nel 1097: prima si recò a Lione e poi proseguì per l’Italia, dove nel 1098 scrisse il Cur Deus homo. In seguito tornò a soggiornare a Lione fino alla morte di Guglielmo II, quando nel 1100 fu richiamato in Inghilterra dal nuovo re Enrico. Purtroppo però Anselmo dovette riprendere la via dell'esilio già nel 1103, dato che erano sorti nuovi motivi di contrasto con il sovrano, ma continuò le trattative con la corte inglese finché riuscì a far prevalere il suo punto di vista sui beni ecclesiastici. Tornato nel 1106 in Inghilterra, morì a Canterbury nel 1109.

Una meditazione monastica. il Monologion. Il Monologion nasce dalle riflessioni teologiche che avevano luogo all’interno del monastero di Le Bec: in questo contesto la speculazione filosofica, la ricerca intellettuale diventa un tutt’uno con la preghiera, un rivolgersi a Dio con la mente e la pura razionalità oltre che con il cuore. Anselmo dichiara di aver scritto questo testo in accordo con le argomentazioni dei Padri della chiesa e soprattutto di Agostino, di cui cita il De Trinitate, ma sottolinea l’originalità del proprio approccio: ovvero quello di porsi nell’animo di un uomo che si interroga mentalmente tra sé e tenta di comprendere cose che prima non aveva capito per arrivare a dimostrare la verità della fede senza ricorrere all’autorità delle scritture, ma soltanto attraverso argomenti necessari (rationes necessariae).
Fin dai primi paragrafi incontriamo alcuni dei problemi fondamentali del pensiero di Anselmo, che già erano stati al centro della riflessione di autori come Boezio e Scoto Eriugena: l’essenza di Dio, il rapporto fra Dio e le sue creature, il problema del sommo bene e del libero arbitrio. Il metodo usato da Anselmo nella sua meditazione conferisce piena legittimità all’uso della dialettica nelle dispute teologiche, affermando che per mostrare la luce della verità bisogna argomentare attraverso rationes necessariae piuttosto che basarsi sull’auctoritas scritturale. La razionalità per Anselmo non è però uno strumento completamente slegato dalla verità manifesta nelle Scritture: la ragione deve infatti essere utilizzata per approfondire i contenuti di una fede che è già data e che deve soltanto essere compresa più a fondo. Quando l’indagine razionale resta a livello di semplice comprensione della realtà circostante essa ha un valore solo soggettivo, e solo quando entra in relazione e tenta di comprendere le verità di fede la ratio umana assume un valore oggettivo ed è capace di fornire conoscenza vera. La funzione principale della ragione per Anselmo è dunque quella di portare il cristiano ad avere una consapevolezza razionale delle verità di fede contenute nelle scritture, in modo da mettere in grado il fedele di difendere la dottrina cristiana anche all’interno di un dibattito filosofico e di ribattere ad ogni possibile obiezione rivoltagli.
Il Monologion si concentra sul problema dell’esistenza delle cose buone e della loro origine, il bene sommo, strutturandosi attraverso quattro diverse prove, che permettono di comprendere l’esistenza di una natura superiore a ciò che esiste, autosufficiente, beata e dotata di immensa bontà che conferisce l’essere a tutte le altre cose e le rende buone. La prima prova parte dalla constatazione che tutti aspirano a godere delle cose che giudicano buone: poiché si possono confrontare beni tra loro diversi, deve esistere un fondamento comune, un criterio di valutazione, il bene sommo, dal quale tutte le cose traggono la bontà per partecipazione. Nella seconda prova si dimostra che il bene sommo è anche l’essere più grande che possa esistere, dal quale tutto l’ordine delle cose create riceve la grandezza. La terza prova prende le mosse dalla piena comprensione della distanza ontologica fra il creatore e le creature: tutte le cose create esistono in virtù di un qualcos’altro che invece esiste soltanto per se stesso, la somma sostanza che ha fatto tutto l’universo. Il rapporto fra la somma sostanza (l’essere) e gli enti viene descritto efficacemente da Anselmo attraverso la metafora della luce: essenza, essere e ente stanno fra di loro nella stessa relazione che troviamo fra la luce, lo splendere e la cosa che splende. La quarta prova si riallaccia alle prime due, considerando il modo nel quale gli enti sono ordinati secondo una scala di perfezione, per concludere che deve esistere una natura somma e pienamente perfetta. Queste quattro prove, dette ‘a posteriori’, hanno caratteristiche molto simili alle cinque vie che Tommaso d’Aquino userà per provare l’esistenza di Dio: sono permeate da una concezione metafisica marcatamente realistica, di stampo platonico e agostiniano che sostiene la “pienezza del mondo” (e quindi la superiorità dell’essere rispetto al non essere) e che ritroviamo alla base di molte altre filosofie del medioevo. Su questa stessa concezione si basa la possibilità di provare le verità di fede attraverso argomenti necessari, che presuppone una analogia fra il modo in cui è strutturata la realtà creata e il modo in cui ragiona la mente umana.

La nuova “prova ontologica” dell’esistenza di Dio. il Proslogion. Le riflessioni del Monologion vengono portate avanti da Anselmo nella sua seconda opera, di pochi anni successiva, il Prosologion: una sorta di preghiera o meglio di dialogo con Dio (come indica il titolo) in cui viene illustrata la ricerca di un argomento che da solo realizzi la prova dell’esistenza di Dio: la celebre prova ontologica. Nel Prologo Anselmo descrive questo difficile processo di riflessione, da cui emerge chiaramente la natura nuova ed intuitiva di questa dimostrazione, che presenta un modo diverso da quello del Monologion e tutto interiore di arrivare a Dio. La prova ontologica rappresenta il contributo più originale e fecondo di Anselmo alla storia della filosofia, capace di suscitare interesse e attenzione in molti filosofi posteriori, da Tommaso fino a Kant. Nel passaggio dalle prove del Monologion a quella del Proslogion sembra inoltre darsi un leggero slittamento di prospettiva e la componente morale sembra assumere un valore più evidente: il Dio di cui si vuole dimostrare l’esistenza non è più semplicemente il Sommo Bene, ma si caratterizza come il Dio della Bibbia, che può e deve essere dimostrato con l’intelletto, ma solo da chi lo ha prima accolto con la fede, come mostra l’altro titolo del Proslogion, Fides quaerens intellectum (La fede che cerca l' intelligenza), che riecheggia Isaia VII,9: 'se non avrò creduto non potrò capire'. Anche la negazione dell’esistenza di Dio da parte dello stolto (insipiens) ‘disse l’insipiente in cuor suo: Dio non esiste’, da cui prende il via l’argomentazione, è di origine biblica. Ad essa il filosofo replica che perfino l’insipiente, per poter negare l’esistenza di Dio deve riconoscere di possedere in sé l’idea di Dio, ovvero l’idea di un qualcosa di cui non si può concepire il maggiore. Ora, secondo Anselmo se si ammette che l’idea di Dio esiste nell’intelletto, che ha quindi una realtà mentale, è necessario ammettere che esista anche nel mondo reale: infatti, poiché Dio è ciò di cui non è possibile pensare il maggiore, egli deve avere in sé tutte le perfezioni possibili, e dato che l’esistenza nel mondo reale è una perfezione, è impossibile che non la si possa attribuire a Dio, perché in quel caso sarebbe possibile immaginare qualcosa che in virtù della sua esistenza reale è più grande e più perfetto di Dio, cadendo così in una contraddizione logica. Alla base del discorso anselmiano vi è una premessa fondamentale, ovvero l’attribuire un intrinseco valore al puro fatto di esistere: l’esistenza come perfezione dell’essere, secondo il principio della pienezza dell’essere, già ricordato a proposito del Monologion, per il quale una cosa che può essere solo pensata ha un minor valore ontologico di una cosa esistente nella realtà. A questa premessa si aggiungono le considerazioni logiche basate sull’analisi della significatio del termine Dio e sulla possibilità di dedurne la necessità logica della sua esistenza extramentale, passando dal piano del pensiero a quello dell’essere. Ancora con considerazioni logiche si spiega l’apparente contraddizione nel pensiero dell’insipiente; per Anselmo esistono infatti due distinti significati del termine “pensare”. ‘ Pensare una cosa’ può intendersi come ‘pensare alla parola usata per riferirsi a tale cosa’ e come ‘pensare all’essenza della cosa’, ovvero il pensiero può essere mediato dal piano linguistico o può invece riferirsi direttamente al piano dell’essere: quindi lo stolto può, al livello meramente linguistico del pensiero, negare alla parola Dio l’esistenza, ma neanche lui può pensare che Dio non esista nella seconda accezione (quella più vera) del termine pensare. Come si può notare Anselmo fa già uso in questo testo della distinzione fra appellatio e significatio e della definizione di verità, che verranno esplicitate meglio in testi di poco successivi come il De Grammatico e il De Veritate.

Il dibattito sul Proslogion: la difesa dell’insipiente di Gaunilone e la replica di Anselmo. Questa complessa e innovativa dimostrazione non fu accolta unanimemente: molto presto Gaunilone, monaco nell’abbazia di Marmourtier, la cui biografia ci è quasi del tutto sconosciuta, portò avanti le sue obiezioni alle teorie di Anselmo e scrisse un breve opuscolo in risposta al Proslogion intitolato Liber pro insipiente (In difesa dell’insipiente/stolto). Gaunilone attacca al cuore l’argomento di Anselmo, negando che il legame tra pensiero e realtà sia sufficientemente stretto da servire come prova dell’esistenza di qualcosa. Secondo Gaunilone non è possibile effettuare il passaggio dall’udire e comprendere un concetto, ovvero dall’avere tale concetto nell’intelletto, al suo essere; cioè non si può passare dall’esistenza mentale a quella extramentale: l’esistenza non è una perfezione attribuibile ad un concetto dall’intelletto (l’esempio che egli porta è quello dell’isola perfetta: è possibile immaginarsi un’isola dotata di tutte le perfezioni e tuttavia dubitare della sua esistenza). Per Gaunilone l’insipiente può quindi dubitare dell’esistenza di Dio senza incorrere in contraddizione logica. Gaunilone e Anselmo non stanno qui dibattendo realmente sulla questione della fede nell’esistenza di Dio: il punto di disaccordo è il modo di considerare il linguaggio, la natura del legame fra parole e cose. Nella visione di Gaunilone la distanza fra linguaggio e realtà fa sì che sia possibile conoscere un oggetto soltanto attraverso l’esperienza diretta di esso od il concetto di esso formatosi con l’esperienza. Dio è al di là dell’esperienza sensibile, è ciò di cui non si può pensare il maggiore, è per sua stessa natura al di là di ogni paragone, e, per Gaunilone, è quindi al di là di ogni conoscenza umana che si basi solo sulla ragione. Anselmo rispose alle obiezioni del monaco di Marmoutier nel Liber apologeticus contra Gaunilonem, ove esplicita la sua differente interpretazione del legame fra esperienza e linguaggio; il vero significato delle parole si incontra nell’esperienza interiore, che è auto-evidente e tale da fornire da sola la certezza della sua verità. La meditazione monastica su Dio sta pian piano mutando forma, trasformandosi in una riflessione logica sul valore e le possibilità del linguaggio come strumento di comunicazione del pensiero: tema a cui Anselmo rivolgerà la sua attenzione nel periodo successivo.

Riflessioni logico- grammaticali. Negli anni fra il 1080 e il 1085, ormai abate di Le Bec, Anselmo compone due dialoghi, il De Grammatico e il De Veritate, in cui si propone di portare avanti le sue riflessioni logico-grammaticali sulla corrispondenza fra pensiero e realtà in rapporto alle arti del trivio. Per cogliere a pieno l’importanza del lavoro di ricerca di Anselmo, bisogna inquadralo all’interno di un contesto monastico tradizionale in cui la parola non è mai semplicemente tale: l’uso del linguaggio viene controllato all’interno delle regole monastiche e si trasforma spesso in preghiera, la parola diventa parola sacra, da meditare. Con il De Grammatico Anselmo affronta il problema legato alla definizione della parola “grammatico”, ovvero se “grammatico” si riferisca ad una sostanza o solo ad una qualità, cercando di determinare la recta significatio (il vero significato) di questo termine. La questione prende le mosse da un conflitto esistente fra due auctoritas in questa disciplina: da una parte Aristotele, che nelle Categorie sostiene che la parola grammatico designi una qualità, dall'altra il grammatico latino Prisciano, la cui opera stava alla base di ogni studio della grammatica, utilizza la stessa parola come un sostantivo e quindi lo ritiene un termine inerente ad una sostanza. Per tentare di risolvere questa questione Anselmo distingue due modalità in cui un termine può significare, cioè “stare per” una cosa: l’appellatio, che rappresenta il nesso non necessario fra parola e la cosa significata nel linguaggio comune, e la significatio, ovvero il legame necessario fra un termine ed il suo portato di significato, che quindi viene ad essere legata e a derivare da una sorta di essenza (nel senso boeziano di quidditas) o di idea platonica dell’oggetto.
Nel De Veritate Anselmo va oltre i singoli termini e si pone direttamente la questione di come determinare la verità di una proposizione, giungendo alla conclusione che un enunciato è vero quando corrisponde alla realtà, ad un determinato stato di cose. La realtà qui per Anselmo non significa però l’apparenza superificiale, ma la struttura profonda che costituisce l’essenza delle cose: in questo senso il concetto di verità assume una connotazione quasi morale e viene a corrispondere con una quaedam rectitudo (una sorta di rettitudine, correttezza). Dato lo stretto collegamento che abbiamo osservato fra parole e cose nel De Grammatico, quando un enunciato rappresenta uno stato di cose reale si ha dunque recta significatio: la verità di una frase corrisponde alla sua rettitudine, in senso logico-grammaticale certo, ma in un modo che suggerisce implicazioni etico morali. Essere veritieri, onesti, usare la recta significatio delle parole diventa quasi un dovere morale per il filosofo: compito della dialettica è dunque quello di essere strumento che permette alla mente dell’uomo che ricerca di riuscire a raggiungere la verità delle cose.

Etica. Lo stesso termine di rectitudo gioca un ruolo determinante nella dottrina etica anselmiana, che troviamo esposta nei testi degli anni 1085-1090 (De libertate arbitrii, De casu diaboli), che affrontano temi quali la libertà dell’uomo e di Dio, la questione della predestinazione e della prescienza divina (su cui tornerà negli anni 1107-1108 col De concordia prescientie et predestinationis et gratiae Dei). Altro tema che sta al confine fra l’etica e la teologia propriamente detta è quello della salvezza umana, argomento principale del Cur Deus homo (Perché Dio si è fatto uomo) del 1098, in cui il filosofo di Aosta si pone la spinosa questione del perché il Dio onnipotente abbia preso l’infima forma umana per redimere gli uomini, giungendo alla conclusione che solo un uomo-Dio poteva espiare degnamente fino in fondo i peccati dell’umanità. Nelle opere etiche la riflessione si concentra su tre termini fondamentali: potestas (e quindi libertas), necessitas e voluntas. Anselmo definisce la libertà come potenzialità positiva, come possibilità di fare il bene; la libertà di scegliere il peccato non è quindi vera libertà (anche perché altrimenti, Dio che per sua natura non può peccare non risulterebbe libero), ma la vera libertà deve sempre tendere verso un fine positivo, e nascere quindi da una scelta volontaria per il bene, per la rettitudine: ed è proprio questa libera scelta della rectitudo ad assicurare valore morale a tutte le altre scelte che da essa discendono. Per Anselmo, inoltre, l’atto di scegliere la rettitudine rappresenta anche l’unica scelta autenticamente cristiana, in quanto comporta la rinuncia agli egoismi mondani per accogliere l’amore di Dio; in altri termini il vero cristiano (il cui ideale per Anselmo è ancora rappresentato dal monaco) sceglie l’affectio rectitudinis (l’amore per la rettitudine e quindi per la verità) rispetto all’affectio commodis (all’amore di sé). La difficoltà di coniugare la possibilità della libertà di scelta umana con la prescienza divina porta poi Anselmo ad analizzare a fondo il concetto di necessitas: egli, riprendendo un tema boeziano, divide la necessità in necessità logica o conseguente (sequens: l’ordine che sottende tutte le cose create, che rappresenta l’essere libero di Dio nel creare la natura e le sue leggi) e necessità causale o precedente (la successione temporale degli eventi e delle scelte umane): è solo questo secondo tipo di necessità che interferisce con la libertà umana. Quindi non c’è alcun conflitto fra la prescienza divina, che concerne l’ordine della necessità logica, e la libertà umana, che ha a che fare con l’ordine della necessità causale. Anselmo riesce così a salvare la possibilità della scelta sia umana che divina: anche l’Incarnazione infatti non è necessaria in senso causale per redimere l’umanità, ma nasce da una libera scelta di Dio che sta al di là dell’ordine temporale degli eventi.
In conclusione Anselmo è un pensatore eclettico, che si confronta dall’interno della tradizione monastica e agostiniana con i problemi di una realtà in continua evoluzione, dove l’iniziare a porsi domande sulle verità di fede si coniuga all’affermarsi della logica e della dialettica come strumenti del dibattito filosofico e teologico: la filosofia di Anselmo nacque in risposta a questi problemi, tentando di mostrare una possibile via di conciliazione fra fede e ragione, ed esercitò una grande influenza su molti filosofi posteriori, fin ben dentro all’età moderna.(EB)

Bibliografia

Edizioni
Sancti Anselmi Cantuariensis Archiepiscopi, Opera omnia, 6 voll., a cura di F.S. Schmitt, Seckau 1938 e Roma- Edimburg 1946-1961.


Traduzioni italiane
Anselmo d’Aosta, Monologio e Proslogio, a cura di Italo Sciuto, Milano 2002


Studi
Anselmo d’Aosta figura europea. Convegno di studi, Aosta 1988, a cura di I. Biffi e C. Marabelli, Milano 1989.
Dio e la ragione. Anselmo d’Aosta, l’argomento ontologico e la filosofia, Genova 1993.
S. Vanni Rovighi, Introduzione a Anselmo d’Aosta, Bari 1987.
S. Gersh, Anselm of Canterbury, in A History of Twelfth-Century Western Philosophy, a cura di P. Dronke, Cambridge 1988.


Risorse on-line
http://www.utm.edu/research/iep/a/anselm.htm
http://www.newadvent.org/cathen/01546a.htm
http://plato.stanford.edu/entries/anselm/
http://en.wikipedia.org/wiki/Saint_Anselm


 

Università di Siena - Facoltà di lettere e filosofia
Manuale di Filosofia Medievale on-line

| Index | |La Filosofia nel Medioevo | | Caratteri fondamentali | | Interpretazioni |
| Medioevo e Filosofia Moderna| | Studio del Medioevo|