Linea dorata

Condanne di Aristotele

Le prime condanne. La circolazione delle traduzioni delle opere naturali aristoteliche nelle università del mondo latino fu segnata da alcune importanti battute di arresto, che tuttavia non impedirono in modo definitivo l’accesso dei maestri di arti e di teologia al nuovo sapere greco ed arabo. Le autorità tentarono infatti di limitare la diffusione delle pericolose novità, concernenti soprattutto la filosofia naturale e la metafisica, contenute nei testi scientifici aristotelici, condannandone la lettura e l’attività di commento di fronte agli studenti. La prima proibizione ufficiale della lettura dei libri naturales di Aristotele risale al 1210 e colpì la nascente università di Parigi. In occasione di un concilio provinciale, Pietro di Corbeil, arcivescovo di Sens, sancì il divieto, sotto pena di scomunica, di leggere, cioè di insegnare, sia in pubblico che in privato, le opere naturali di Aristotele ed i commenti ad esse dedicate, oltre a promulgare, nel corso del medesimo concilio, le condanne degli scritti di Amalrico di Bène, e Davide di Dinant e di Maurizio Ispano. Pochi anni dopo (1215), Roberto di Courçon, legato pontificio, nel riorganizzare i curricula della stessa Università, in particolare della Facoltà di arti, ribadì il divieto di leggere i libri naturali e la Metafisica dello Stagirita, insieme alle Summe e i compendi ad essi relativi.

Cauta apertura. Il pontefice Gregorio IX si espresse riguardo alle pericolose tesi della filosofia naturale greca ed araba in forma più attenuata all’interno di due lettere inviate ai maestri di teologia, il 7 luglio 1228 e il 13 aprile 1231. Se la prima missiva esortava i teologi parigini a non tralasciare il loro compito, ovvero quello di commentare i testi sacri senza discostarsi rispetto alla tradizione dei Padri della Chiesa, resistendo alle novità sempre più attraenti proposte dalla filosofia appena introdotta in Occidente, la seconda, nota come Parens scientiarum, pur ribadendo la distinzione e la superiorità della teologia rispetto alla filosofia, invitava i maestri della facoltà di arti ad attendere, prima di tenere lezioni su Aristotele, l’opera di epurazione che una commissione di dotti avrebbe eseguito sulle sue opere, per liberarle da ogni sospetto di eresia. La decisione di porre termine all’atteggiamento di chiusura nei confronti del nuovo sapere fu conseguenza anche dei disordini sorti in quegli anni nell’Università di Parigi a causa di un abbandono di massa degli studenti, che si orientarono verso sedi quali quelle di Oxford e Tolosa, dove il controllo papale era meno diretto e l’insegnamento dei libri naturali di Aristotele esercitava un’efficace attrattiva. La commissione, nominata il 23 aprile 1231 dallo stesso Gregorio IX, e composta da Guglielmo di Auxerre, Stefano di Provins e Simone di Authie, non portò a termine il compito per cui era stata formata, anche a causa della morte, di pochi mesi successiva alla nomina, di uno dei commissari, Guglielmo. Negli anni ’50 del XIII secolo gli statuti delle facoltà di arti di Parigi e di Oxford sancirono nei loro curricula l’obbligo di leggere le opere fino ad allora proibite, che divennero parte integrante del sapere ufficiale di ogni studente.

Le condanne del 1270 e del 1277. Il secolo XIII si chiude con due condanne che colpiscono tesi collegate direttamente alla nuova scienza aristotelica, giudicate incompatibili con la fede cristiana. In particolare, la confluenza di una preoccupazione di "politica culturale" con il persistere di una forte corrente di ispirazione agostiniana, che non rifiutava di leggere Aristotele ma intendeva mantenere il suo apporto filosofico all’interno di una interpretazione della filosofia come doctrina christiana, portarono alle due importanti condanne della fine del secolo. La prima fu promulgata dal vescovo di Parigi Stefano Tempier il 10 dicembre 1270 e concerne 13 proposizioni. I temi principali toccati dalla censura sono l’unicità dell’intelletto, il determinismo astrale, l’eternità del mondo, la concezione intellettualistica della volontà umana, la conoscenza divina e la negazione della provvidenza.
La seconda condanna, più celebre, del 1277 rappresenta un momento decisivo del pensiero medievale, momento in cui l’autorità ecclesiastica intervenne in modo restrittivo sulla libertà di ricerca degli universitari per tenere sotto controllo un conflitto dottrinale, sfociato già da alcuni anni, che il precedente tentativo di censura non aveva risolto. Traendo spunto dalla richiesta del pontefice Giovanni XXI (al secolo Pietro Ispano) di condurre un’indagine per accertare l’ortodossia delle tesi filosofiche in auge all’Università di Parigi, Tempier costituì una commissione di sedici teologi, tra cui Enrico di Gand, per esaminare i testi che circolavano particolarmente alla facoltà di arti, ossia tra i filosofi. Il 7 marzo 1277 il vescovo condannò 219 proposizioni di carattere vario e tratte da testi di autori diversi (fra cui figurano Sigieri di Brabante e Boezio di Dacia - i cosiddetti "averroisti latini", ma anche l’esponente della cultura cortese Andrea Cappellano, e finanche Tommaso d’Aquino); in sostanza, le tesi condannate erano accomunate essenzialmente dal rifiuto opposto dai censori ecclesiastici nei confronti di ogni forma di emancipazione della filosofia dall’universo della teologia.

Gli errori dei filosofi. Tra le 219 tesi si ripropongono infatti quelle già condannate nel 1270, oltre ad un buon numero di altri ‘errori’, di matrice pagana, riscontrati in testi filosofici e teologici: questi concernono la natura della filosofia, la conoscibilità di Dio e la scienza divina , la libera volontà di Dio e la sua potenza, l’eternità del mondo, la natura ed il ruolo delle intelligenze angeliche, la natura degli astri e il loro influsso sulla generazione terrestre, il problema della necessità/contingenza, la natura dell’essere umano, con particolare riferimento alla sua componente intellettiva, la volontà umana, la felicità intellettuale e il suo rapporto con i temi dell'etica. Altri ‘errori’ denunciati riguardano la messa in discussione dei dogmi della fede cristiana, la negazione delle virtù cristiane e delle verità di fede relative all’aldilà.
L’impostazione polemica di Tempier e dei suoi collaboratori contro l’autonomia della ricerca filosofica si rivela chiaramente nella premessa all’elenco delle tesi condannate: i loro autori, si dice, "affermano che le loro dottrine sono vere secondo la filosofia di Aristotele, ma non secondo la fede cattolica, come se esistessero due verità opposte, o come se nelle parole dei filosofi pagani si potesse trovare una verità contraria a quella della Sacra Scrittura." L’affermazione paradossale di una "doppia verità" costituiva chiaramente una forzatura polemica: tuttavia, forse proprio questo suo carattere paradossale ha contribuito a concentrare l’attenzione degli storici sulla condanna del 1277. Considerato dalla storiografia laica ottocentesca come una delle espressioni più tipiche dell’oscurantismo delle forze ecclesiastiche contro la libertà della ricerca filosofica, tale evento è stata indicato da Pierre Duhem come il punto di crisi della cultura scientifica medievale, in cui la gabbia mentale costituita dalla compatta visione del mondo aristotelica si sarebbe per la prima volta incrinata, lasciando passare elementi di "immaginazione scientifica" legati alla negazione del determinismo rigido e alla riaffermazione della dipendenza diretta del mondo dalla potenza divina; in questo senso la corrente duhemiana ha rivalutato questo evento drammatico, identificandolo provocatoriamente come il momento di passaggio ad una nuova visione scientifica del mondo. Le posizioni della critica sembrano oggi tuttavia concordare sul fatto che il testo contenente le proposizioni condannate ebbe ampia circolazione nel mondo latino e continuò ad essere presente ai filosofi ben oltre la cosiddetta età di mezzo.(PB)

Bibliografia

Testi
É. Tempier, La condamnation parisienne de 1277, a cura di D. Piché con la collaborazione di C. Lafleur, Paris 1999

Studi
L. Bianchi, Il vescovo e i filosofi: la condanna parigina del 1277 e l’evoluzione dell’aristotelismo scolastico, Bergamo 1990 (Quodlibet, 6)

Università di Siena - Facoltà di lettere e filosofia
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