Linea dorata

Eternità del mondo

Creazione ed eternità del mondo. Uno degli elementi propri della dottrina cristiana, fortemente radicata sulla parola biblica, a partire dai primi secoli della sua elaborazione, è la credenza che il mondo sia stato creato per un atto volontario di un Dio trascendente e onnipotente. Questa tesi, che, rimanendo dominante attraverserà il medioevo, e rappresenta a tutt’oggi la posizione ufficiale della Chiesa, è estranea alle dottrine filosofiche greche dell’antichità classica.
Platone ed Aristotele, i due filosofi pagani che sotto questo riguardo influenzeranno maggiormente l’età medievale, non hanno elaborato una dottrina creazionista, sebbene nel corso dell’età medievale il mito del demiurgo esposto nel Timeo platonico sia stato solitamente inteso in tal senso. Già Agostino, infatti, sosteneva che Platone ed i platonici avevano avuto “le più sane opinioni circa Dio creatore del cielo e della terra”. Gli autori attivi nel XII secolo presso la scuola di Chartres come Teodorico o Guglielmo di Conches non hanno esitato ad identificare il demiurgo timaico con il Dio creatore cristiano e a scrivere resoconti dell’opera della Creazione facendo ricorso, oltre che al Genesi, al testo platonico (testo Il Divino e il megacosmo). In verità, sebbene in tale opera siano rintracciabili riferimenti ad uno specifico passaggio dal non essere all’essere, Platone non intende con ciò proporre la tesi di una creazione ex nihilo in senso biblico, quanto ipotizzare un’attività di riorganizzazione che il demiurgo opererebbe sul principio materiale a lui coeterno, facendo ricorso alle proporzioni matematiche, per conferire al mondo sensibile quell’ordine supremo che è immutabile nel mondo delle idee (testo del Timeo).

Il dibattito scolastico. Di ben più difficile composizione è il contrasto tra la dottrina della creazione cristiana del mondo e la concezione metafisico- naturalistica aristotelica ed araba, che ebbe ampia risonanza nella Latinità a partire dal secolo XIII. Aristotele infatti non allude mai ad un atto di creazione, o di ordinamento della materia da parte di un principio divino, ma sviluppa una serie di argomentazioni che rimandano inequivocabilmente ad una concezione fisica, metafisica e cosmologica in cui all’immutabilità del primo motore, o primo principio, inteso come atto puro, corrisponde un mondo eterno, non creato nel tempo. Il tema dell’eternità del mondo è uno degli elementi della filosofia aristotelica che, trasmessi anche dai commentatori arabi e strettamente legato ad influenze neoplatoniche, incontrarono maggiori contrasti nel corso del Duecento. Questa dottrina, infatti, insieme a quelle dell’unicità dell’intelletto, della negazione della Provvidenza e della negazione della libertà umana, caratterizzò il fenomeno noto come averroismo latino, che fu condannato a Parigi, e poi ad Oxford, nel 1270 e nel 1277.
Nel 1267 Bonaventura da Bagnoregio, durante un sermone dell’Avvento, si era espresso duramente contro tali tesi eterodosse, precisando tuttavia che nessun maestro cristiano aveva accettato di sostenere la tesi dell’eternità del mondo contro gli insegnamenti della fede cristiana. Nel contempo egli denunciava il fatto che alcuni commentatori di Aristotele erano caduti in errore illustrando la tesi aristotelica senza confutarla esplicitamente e ammettendo così la non esistenza di argomenti che ragionevolmente provassero il contrario: questo atteggiamento lasciava presumere che il dogma della creazione dovesse essere accettato come tale, solo per fede. Chi si comporta in questo modo, predicava Bonaventura, non è un buon cristiano ed assomiglia a colui che si dimentica di coprire la cisterna, dopo averla scavata: se il bue del vicino vi cade, la responsabilità è da attribuirsi a lui (Sermones, dominica III Adventus, sermo II; IX, 63). Nella prospettiva del generale dell’Ordine francescano, l’eternità del mondo deve essere ritenuta logicamente impossibile ed è compito di ogni maestro cristiano dimostrarne l’insostenibilità.

Una tesi non dimostrabile. Diversa è la posizione di uno dei maggiori esponenti dell’ordine domenicano, Tommaso d’Aquino, che, pur dichiarando di credere fermamente nel dogma della creazione, indispensabile al cristiano per l’economia della salvezza, ammette di non potere, con i soli mezzi della ragione, dimostrare l’erroneità della tesi aristotelica e che essa non può essere ritenuta contraddittoria: non potest demonstrari. Nel suo Tractatus de aeternitate mundi si preoccupa tuttavia di precisare quale sia il senso proprio con cui egli fa riferimento alla creazione, intesa come dipendenza delle creature dal loro creatore, come contingenza dell’ente rispetto all’essere necessario, distinguendolo da quello più comune, che è legato all’aspetto più propriamente temporale della durata delle creature stesse. Per Tommaso, l’essere creatura non deriva dall’essere stata posta in essere in un determinato momento: si è creature in quanto il nostro esistere è tale per partecipazione dell’essere propriamente detto, pertanto si potrebbe esistere dall’eternità senza che questo cambi il rapporto tra di noi e il Creatore, per quanto è ragionevole ammettere che l’eternità della creatura non potrebbe in nessun caso essere identica a quella di Dio. Definendo in questi termini il concetto di creazione, sostenere che il mondo abbia o meno avuto un inizio non implica contraddizione: gli argomenti aristotelici hanno in questa prospettiva una loro validità, che tuttavia rimane saldamente legata al contesto fisico in cui essi sono stati condotti.
Alberto Magno concorda con l’Aquinate sulla distinzione dei campi di indagine, ribadendo che la creazione non è un atto fisico e come tale non è messo in discussione dalle tesi ragionevolmente argomentate da Aristotele: chi è fisico utilizza strumenti appropriati alla sua disciplina e giunge a conseguenze la cui validità è tutta interna all’orizzonte in cui è stata prodotta.

Gli averroisti. Posizioni significativamente misurate e mai esplicitamente in contrasto con la dottrina cristiana furono assunte anche da quei maestri di arti con cui si è soliti identificare i maggiori esponenti dell’averroismo latino, o aristotelismo radicale, o integrale, ovvero Sigieri di Brabante e Boezio di Dacia. Questo atteggiamento di cautela non valse loro l’accordo con i teologi più conservatori: l’argomentazione sottesa alle loro posizioni tocca infatti lo scottante tema dell'autonomia della ricerca filosofica, e il problema relativo alla sua sottomissione rispetto alle asserzioni della scienza teologica (subalternatio), nodo centrale intorno al quale la fine del XIII secolo si assiste al fiorire una pluralità di posizioni e, conseguentemente, al riproporsi di un irrigidimento dell’autorità ecclesiastica. Nel suo Tractatus de aeternitate, Sigieri radica la sua posizione principalmente sull’argomento dell’eternità della specie umana, cercando di confutare coloro che, ritenendosi buoni cristiani, non esitano ad attaccare irragionevolmente Aristotele, falsandone il pensiero. L’eternità della specie umana sarebbe a loro opinione sconfessata dalla pura constatazione che non esiste un individuo eterno, ma ciò non è convincente, poiché bisogna tener conto del rapporto individuo/specie umana, cioè del fatto che gli individui si succedono l’uno dopo l’altro: in questo senso non è possibile affermare con certezza che, percorrendo questa catena a ritroso, si giunga ad un primo uomo.
Più specificamente concentrato sul tema della creazione è il trattato di Boezio di Dacia. Ritenuto un sostenitore della cosiddetta dottrina della doppia verità, il maestro danese in realtà sii sforza di costruire un’argomentazione filosofica stringente a partire da premesse di uguale natura. Fede e ragione, dichiara, non possono contraddirsi, a differenza di quello che sostengono coloro che, pur avendo l’autorità di contrastare la ricerca filosofica, non hanno la strumentazione sufficiente per comprenderla appieno. Su questa base egli spiega che le tesi aristoteliche circa l’eternità del mondo sono vere secundum quid, ovvero relativamente al contesto in cui sono state elaborate, che è quello filosofico- ma non simpliciter, poiché, in senso assoluto, sono false. Chi ritenga che il dogma della creazione contrasti con la posizione aristotelica non è un buon logico, poiché dimostra di rendersi colpevole del paralogismo conosciuto con il titolo di fallacia secundum quid et simpliciter (Libera 1991, p. 371). Questo significa, agli occhi di Boezio, che anche chi creda cristianamente nella creazione del mondo, da filosofo non deve affermarla, per non cadere in errore (testo).

La possibilità di un mondo eterno. Questo dibattito, di cui abbiamo riportato per motivi di brevità solo le posizioni più celebri, sfociò nella condanna formulata nel 1277 da Etienne Tempier, vescovo di Parigi, che colpì in totale 210 tesi, di cui 10 concernevano il tema dell’eternità del mondo (le proposizioni 83-92, secondo la numerazione fissata da R. Hissette) (testo). La censura degli anni ’70 non impedì la circolazione della dottrina tomista secondo la quale la tesi dell’eternità del mondo non può dirsi eretica, poiché non contraddice la verità di fede, essendo filosoficamente indimostrabile. Verso la fine del secolo Pietro di Alvernia, affermò, sulla scorta di Tommaso d’Aquino, pur con la dovuta prudenza, che Dio avrebbe potuto creare un mondo eterno, il che non è eretico né assurdo. Più radicale la posizione di Giovanni di Jandun che, intorno al 1315, non esitò a dichiarare che le leggi di natura non possono spiegare gli eventi soprannaturali come la creazione e che il potere di Dio di creare un mondo ab aeterno non è in alcun modo negabile. (PB)

Bibliografia

Traduzioni
Tommaso d’Aquino, L’eternità del mondo in L’uomo e l’universo. Opuscoli filosofici, a cura di A. Tognolo, Rusconi, Milano 1982.
Boezio di Dacia, Sull’eternità del mondo, traduzione, introduzione e note a cura di Luca Bianchi, Milano, Unicopli, 2003.

Studi
Gianfranco Fioravanti, Scientia, fides, theologia in Boezio di Dacia, Atti dell’Accademia delle scienze di Torino (classe di scienze morali, storiche e filosofiche) 104 (1970), pp. 525-632.
Luca Bianchi, L’errore di Aristotele: la polemica contro l’eternità del mondo nel XIII secolo, Firenze, La Nuova Italia 1984.
Richard. C. Dales, Mediaeval Discussion of the Eternity of the World, Brill, Leiden 1990.
François-Xavier Putallaz, Ruedi Imbach, Professione filosofo: Sigieri di Brabante, Jaca Book, Milano 1998.

 

Università di Siena - Facoltà di lettere e filosofia
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