Alberto Magno Vita e opere. Il primo grande personaggio che si rese pienamente conto dell'inevitabile processo di identificazione della ricerca filosofica con lo studio del pensiero di Aristotele fu il domenicano Alberto di Böllstadt, detto Alberto Magno (1206-1280). Di nobile famiglia, studiò a Padova, poi a Colonia e a Parigi, dove a partire dal 1240 compose le principali opere di carattere teologico, ovvero il Commento alle Sentenze e la Summa de bono, oltre alla Summa de creaturis; nel 1248 tornò a Colonia, accompagnato da Tommaso d’Aquino, suo allievo, per fondarvi lo Studio generale, che divenne un centro culturale di primaria importanza, dove rimase fino al 1254. Fu provinciale dell'Ordine domenicano per la Germania dal 1254 al 1257 e vescovo di Ratisbona dal 1260 al 1262; insegnò di nuovo a Colonia (1257-1260); si recò a Roma nella prima metà degli anni '60; nell'anno della condanna di Tempier, il 1277, si trovava probabilmente a Parigi. Si ritiene che la maggior parte dei commenti sia comunque da ricondurre agli anni 1256-1270. Una delle esplicite finalità della sua opera fu quello di "rendere intelligibile ai latini" la nuova filosofia aristotelica: i suoi commenti, in forma parafrastica, seguono il modello adottato da Avicenna, e concernono il corpus degli scritti di Aristotele (dalla Fisica, al De anima, alla Metafisica, all’Etica Nicomachea, fino allo pseudoaristotelico Liber de Causis). Alberto si inoltrò poi in tutti i campi del sapere utilizzando i libri di Aristotele come guida, ma ampliandone la discussione con continue digressioni, nelle quali utilizzò tutti i materiali che poteva avere a disposizione: le aggiunte, non marginali, testimoniano della vastità degli interessi di Alberto, che addirittura - osservando la mancanza di un'opera aristotelica sui minerali - scrisse un libro De mineralibus nel quale riporta non solo il sapere trasmesso da enciclopedie, lapidari, testi di alchimia, ma testimonianze raccolte di prima mano fra i minatori, i fabbri e gli alchimisti. Oltre all’interesse schiettamente naturalistico, fu l’attività pastorale nella regione di Colonia - particolarmente vivace spiritualmente, data la presenza di numerosi beghinaggi e di forme di devozione popolare e femminile – ad animare la sua ricerca, che si rifletté nella produzione di opere esegetiche e di sermoni e nell'ambito della mistica, portandolo a commentare il De divinis nominibus dello pseudo-Dionigi. La sua opera costituì perciò il punto di partenza di diversi filoni di ricerca: quello più propriamente filosofico, imperniato sulla distinzione fra filosofia e teologia e sulla metafisica aristotelica interpretata in temini neoplatonizzanti, quello naturalistico, che dette origine anche a scritti attribuiti ad Alberto Magno quali il De mirabilibus mundi (sulle proprietà occulte delle cose) e il De secretis mulierum (sulla fisiologia femminile e la generazione umana), ed uno di ricerca teologico-mistica che si sviluppò soprattutto nella regione tedesca del Reno. Filosofia e teologia. Alberto si preoccupò di distinguere nettamente fra l'ambito della filosofia e quello della teologia: come afferma nella Metafisica, "le dottrine teologiche non si accordano con quelle della filosofia, quanto ai principi, perché si fondano sulla rivelazione e sulla divina ispirazione, e non sulla ragione; di esse dunque non possiamo discutere in filosofia". Sono i "principi" di teologia e filosofia che sono diversi, e così gli ambiti di discussione da essi definiti: la rivelazione costituisce infatti la fonte della riflessione teologica, mentre la natura in tutte le sue articolazioni è la fonte e il campo di applicazione della filosofia. La metafisica nella classificazione delle scienze. Nell'ambito filosofico la metafisica (la scienza delle sostanze separate) è - aristotelicamente - la scienza prima, poiché "è quella che non trae nulla dalle altre scienze, ma da essa tutte ricevono qualcosa [...] Questa scienza è più antica e precedente a ogni altra scienza che è al suo servizio." Alla metafisica si subordinano tutte le altre scienze: quelle volte ad un fine meno nobile, le opere, invece che al puro sapere - come ad esempio la medicina; quelle che hanno un carattere puramente strumentale, come la logica; infine quelle che hanno oggetti meno elevati dei "termini ultimi della conoscenza speculativa, in cui risiede la vera felicità". L'ideale di una conoscenza astratta che si delinea in questa pagina della Metafisica albertina è sostanzialmente quello che tutta la filosofia scolastica propugna: un sapere che si vuole separato e puro, considerato il tramite fra l'esperienza della conoscenza umana legata ai sensi e la contemplazione del divino. La creazione come processo emanatistico. In ambito metafisico, la teoria albertina dell'essere è di carattere neoplatonico; nel De causis et processu universitatis la creazione è considerata un processo di emanazione in cui le parole-chiave sono quelle di fluxus e di processus. All'origine è Dio, "causa prima che è pura luce, sopra cui non v'è altra luce: in essa l'essere si identifica con l'essenza", intelletto universale, "causa di ogni essere, fonte e origine di tutte le forme". Dall'intellectus universaliter agens procede l'intelligentia, ovvero il primo essere causato, e poi le intelligenze separate (gli angeli), le anime, i cieli. Questi ultimi sono strumento della prima causa, in quanto ne trasmettono la virtù nel medium opaco della materia, di cui la luce è la prima, generalissima forma. Le cause seconde non sono negate, ma subordinate alla "virtù di Dio che primariamente e universalmente opera in esse." Questa struttura del mondo dà ad Alberto la possibilità di provare l'esistenza di Dio - poiché si può risalire alla prima causa ripercorrendo il fluxus verso l'alto. Ma essa offre anche una salda base alla fiducia nell'astrologia e nella magia: si rafforza infatti la concezione aristotelica della dipendenza dei moti del mondo sublunare da quelli degli astri, poiché questi ultimi diventano, secondo la concezione neoplatonica, i modulatori della virtù della causa prima. Il processo emanatistico rischia però di porre come necessario il processo dall'Uno al molteplice, mettendo fuori gioco la libertà della creazione; la considerazione di questa difficoltà porta Alberto ad ammettere che "l'inizio del mondo per creazione non è dottrina fisica né può essere provato con argomenti fisici". Creatore e creature. Alberto fa ricorso a formule diverse per spiegare la distinzione ontologica fra creatore e creature: il primo è principio assolutamente semplice, a differenza delle seconde, che invece sono caratterizzate dal fatto di presentare, nella loro essenza, una qualche forma di composizione: la distinzione boeziana fra quo est e quod est, o quella avicenniana fra essenza ed esistenza: come farà anche il suo allievo più celebre Tommaso d’Aquino, egli rifiuta tuttavia l’introduzione della nozione di materia spiritualis di Avicebron per differenziare le sostanze separate dal loro creatore. La materia non è intesa da Alberto in senso aristotelico come privazione o passività totale: essa contiene "un qualcosa della forma", che le permette di "tendere alla forma", un appetito o desiderio definito inchoatio formae. L'agente trae le forme fuori dalla potenzialità della materia, in cui esse sono "per essentiam confusam"; la composizione degli esseri materiali risulta per conseguenza da un successivo determinarsi delle forme (ilemorfismo). La materia non è perciò principio di individuazione in quanto tale, ma in quanto "primum subiectum eius quod est". L’anima umana e l’intelletto. Alla dottrina della inchoatio formae si collega la dottrina dell'ingresso dell'anima umana nell'embrione: nella materia è già presente, incoativamente, la forma vegetativa o vita, la quale contiene a sua volta incoativamente la forma sensitiva o sensibilità; infine "l'inchoatio dell'anima razionale è nella sensitiva". Il passaggio dalla forma incoativa della razionalità alla sua attuazione avviene per intervento diretto di Dio, il quale completa e perfeziona il processo iniziato dalle potenze naturali. Contro la dottrina della pluralità delle forme, che conobbe ampia diffusione in ambiente francescano, Alberto sostiene che l’anima razionale, concepita come perfezione dell'uomo, è unica nella sostanza, poiché racchiude in sé tutte le facoltà naturali. L’opposizione del Doctor Universalis all’ averroismo latino, che promuove una concezione secondo la quale l'intelletto possibile sarebbe unico e separato per tutti gli uomini, è espressa nel suo trattato De Unitate intellectus contra Averroem: secondo Alberto, in quanto intelletto speculativo, l'intelletto è unico; ma in quanto "appartiene a questo o a quello", l'intelletto è molteplice. L’essere essenzialmente separato dal corpo non impedisce dunque all’intelletto di comunicare con facoltà quali la fantasia, l'immaginazione e il senso, che sono invece strettamente collegate al corpo. La progressiva acquisizione degli intelligibili porta alla realizzazione della facoltà umana più elevata e alla congiunzione con l'intelletto divino, cioè alla felicità; la posizione di Alberto, che può sembrare vicinissima a quella di Sigieri di Brabante, è però sostanzialmente diversa da questa per il fatto di essere inserita in una visione avicenniana e dionisiana del processo illuminativo, per cui l'intelletto agente e possibile degli uomini non è di per sé capace di compiere il percorso fino agli intelligibili, ma ha bisogno della luce di Dio e delle intelligenze. Scienza astrologica e visione cristiana del mondo. Lo Speculum Astronomiae è un’operetta la cui attribuzione ad Alberto non è ancora certa, sebbene altamente probabile, in cui si definisce l’astronomia come quella "scienza intermedia fra la metafisica e la fisica", che permette di comprendere i legami che uniscono il cosmo e le influenze mediante le quali il mondo celeste trasmette alle creature del mondo sublunare la virtus della Prima Causa. Al problema del contrasto tra la scienza astrologica e la visione cristiana del mondo (la teoria dei mutamenti religiosi in coincidenza con le "grandi congiunzioni", ma soprattutto la possibilità di prevedere il futuro, che sembra contrastare con la libera volontà dell'uomo) Alberto (o chiunque sia l'autore dello Speculum) offre una soluzione ipotizzando che la "significazione" del futuro contenuta negli astri altro non sia che la Provvidenza divina, che secondo la tradizione cristiana è tutt'altro che inconciliabile con la libertà dell'uomo. In questo modo il determinismo astrale di origine araba riesce a convivere col principio fondamentale della responsabilità umana, mitigato nella formula, che anche Tommaso adotterà, che "gli astri muovono, non costringono", e addirittura esaltato come fonte di saggezza per l'agire dell'uomo perché, secondo il Centiloquium di Tolomeo, "il sapiente dominerà gli astri" proprio conoscendone le leggi. L'eredità del Doctor universalis. Sia a livello dell'utilizzazione dei materiali del sapere che sul piano dell'interpretazione la figura di Alberto ci appare come quella di un aristotelico eclettico, aperto a molteplici influenze e a sua volta all'origine di sviluppi anche molto diversi. Proprio questo carattere di apertura favorì una diffusione delle sue opere e delle sue posizioni anche al di fuori dell'ambito scolastico vero e proprio; il carattere enciclopedico delle sue opere, che metabolizzavano l'immensa quantità di nuove conoscenze rendendole assimilabili alla cultura dei "latini", ne permise lo sfruttamento in compilazioni a carattere soprattutto naturalistico, come la Philosophia pauperum di Alberto di Orlamunde, che venne peraltro attribuita ad Alberto Magno stesso e circolò ampiamente in ambienti non universitari. In ambito scolastico, l'opera magistrale di Alberto lo aveva reso un'auctoritas in vita, contro ogni usanza tradizionale: fatto che suscitò anche una violenta polemica da parte di Ruggero Bacone. Il suo discepolo più celebre è, naturalmente, Tommaso d'Aquino; ma anche Dante mostra in vari luoghi della Commedia una forte influenza del pensiero albertino; Teodorico di Vriberg e Ulrico di Strasburgo portarono avanti soprattutto il versante neoplatonico della sua ricerca filosofica, mentre Meister Eckhart e i mistici della regione renana testimoniano l'influenza del commento allo pseudo-Dionigi; una fonte tardo-medievale asseriva che Sigieri di Brabante fosse stato allievo di Alberto, come a mostrare nella sua massima apertura il ventaglio di possibilità filosofiche che la sua ricerca aveva reso possibili. (PB) Bibliografia: Edizioni Traduzioni italiane Studi
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