Ilemorfismo universale
Definizione e origine
storica. Con la denominazione di “ilemorfismo
universale” è stata indicata, nella
Scolastica Medievale, la dottrina secondo cui
tutte le realtà create sono composte
da una unica forma e una unica materia. Padre
di questo pensiero è il filosofo ebraico
vissuto in Spagna Ibn
Gabirol (1021-1054 era cristiana), conosciuto
ai latini come Avicébron, autore del
“Fons Vitae” (Sorgente della vita),
tradotto dall’arabo da Giovanni Ispano
e Domenico Gundissalino nel XII secolo.
La dottrina di Ibn Gabirol.
La materia e la forma universali, che si determinano
e si particolarizzano nella gerarchia degli
esseri creati, costituiscono l’unico substrato
del cosmo intero: del mondo sopralunare e di
quello sublunare, degli enti sensibili e di
quelli spirituali. L’unica materia di
tutte le cose, che, dunque, le unisce e le unifica,
è rarefatta negli esseri spirituali,
densa in quelli materiali. Indispensabili l’una
all’altra, la materia e la forma sono
entrambe caratterizzate da una certa attività.
Principio di individuazione e origine delle
trasformazioni naturali, alla materia viene
attribuita, per la prima volta con Avicebron,
una sostanzialità: essenza, fondo ultimo
e misterioso del mondo creaturale. Ciò
che distingue gli individui gli uni dagli altri
non è solo la materia, ma anche la molteplicità
delle forme di cui si compongono. Nella considerazione
dei reciproci rapporti tra la materia e la forma
(cui comunque si conserva la funzione attualizzante),
nell’attribuire priorità all’una
o all’altra nella formazione dei composti,
si può rinvenire una certa alternanza
nell’opinione del filosofo, che rinvia
alla necessaria interazione e integrazione dei
due aspetti.
Interpretazioni di Ibn
Gabirol. Per la concezione della materia,
la filosofia di Ibn Gabirol rappresenta una
innovazione della tradizione precedente. Sebbene
possiamo trovare anche nell’opera aristotelica
una materia intesa come attitudine positiva
a ricevere una forma, nello stoicismo un accenno
alla intrinseca unione tra aspetti materiali
e spirituali del cosmo, e nel neoplatonismo
di stampo procliano una materia tra le ipostasi
divine, il filosofo ebraico opera una rottura
rispetto alla prevalente concezione della materia
come privazione, poiché -come ha sostenuto
F. Brunner- anche se le preoccupazioni cosmogoniche
del neoplatonismo introducono nell'aristotelismo
uno spirito diverso, la materia rimane estranea
alle Intelligenze e la forma mantiene il suo
primato. D’altra parte, l’idea di
una materialità incorporea e di una intrinseca
unità del cosmo, dovuta alla unicità
degli elementi costitutivi, trovano, rispettivamente,
nel filosofo arabo al-Kindi
e nella tradizione ermetica
araba, notevole precedente.
Agostinismo francescano.
La dottrina dell’ilemorfismo universale
fu ripresa, approfondita e rielaborata, dai
filosofi medievali latini che vi trovarono “la
ricetta più sicura per distinguere radicalmente
le creature dal creatore”, come afferma
Gilson. Terreno particolarmente fertile per
il suo sviluppo fu la corrente comunemente denominata
“agostinismo francescano”. Alessandro
di Hales); Bonaventura
da Bagnoregio e il suo discepolo Matteo
d’Acquasparta (1240?-1302); Pietro
di Giovanni Olivi; Giovanni
Peckham con il suo discepolo Pietro di Trabes
e Riccardo di Mediavilla (fine del XIII secolo),
condividono i seguenti pensieri, accolti e sviluppati
da Ibn Gabirol:
1) Tutte le sostanze, sensibili e spirituali,
sono composte di materia e forma. Pertanto,
anche le creature angeliche possiedono una loro
dimensione materiale: materia sottile o spirituale.
2) La materia possiede di per se stessa, al
suo interno, un principio di attività.
3) Nelle realtà create vi è una
successione e una compresenza di forme differenti
che concorrono alla loro determinazione.
La cosmologia: Bonaventura
da Bagnoregio. Sul piano cosmologico,
Bonaventura da Bagnoregio spiega il dinamismo
intrinseco alla materia attraverso un concetto
di origine stoica, giunto al filosofo medievale
dalla tradizione neoplatonica, già accolta
da Agostino: le “rationes seminales”.
Germi posti da Dio nella materia in modo tale
che, grazie alla loro forza e all’azione
di altri agenti naturali, scaturiscano da essi
le forme delle cose. Le “rationes seminales”
sono, dunque, come un abbozzo di forma, il suo
inizio dalle viscere della materia, sua forza
interna che le consente un certo sviluppo. Il
particolare tipo di unione e di azione reciproca
(communicatio) che si realizza tra una certa
materia e una certa forma costituisce, per Bonaventura,
il principio di individuazione delle sostanze.
La forma è l’essenza che restringe
e definisce la materia a un determinato essere,
ed è universale in quanto può
realizzarsi in una molteplicità di individui.
Tuttavia egli ammette anche l’esistenza
e la realtà delle forme singolari. La
posizione di Bonaventura esprime una prospettiva
di superamento della dicotomia di origine aristotelica
tra forma e materia, e del concetto di sinolo.
Approfondita dal suo allievo Matteo d’Acquasparta,
essa verrà ripresa anche dal domenicano
Alberto
Magno che parlerà dell’“inchoatio
formae”: inizio di forma già contenuta
nella materia, da cui quella si sviluppa, poi,
nella sua completezza.
La cosmologia: Roberto
Grossatesta. All’interno di una
visione cosmologica, anche Roberto
Grossatesta, capofila della tradizione francescana
a Oxford, pone i rapporti tra forma e materia
nei termini di una intrinseca unione. Accogliendo
pienamente alcuni aspetti della speculazione
scientifica araba, egli parla della luce come
“prima forma della corporeità”.
Oggetto della creazione divina, la
luce sintetizza la forma e la materia nella
loro esistenza primordiale. Assolutamente semplice
e priva di dimensionalità, essa produce
la materia estesa moltiplicandosi infinitamente.
Grossatesta affida dunque alla luce l’esistenza
di una materialità sottile, di per sé
e sin dall’origine dotata di forma. La
naturale e necessaria autopropagazione della
luce gli consente, inoltre, di spiegarne il
dinamismo intrinseco, da cui nasce l’intero
cosmo: che raccoglie la luce originaria come
lumen nel mondo astrale e come virtus in quello
elementare, senza perdere il suo carattere unitario
dato dall’unica forma corporea da cui
è provenuto.
La psicologia.
Interessanti sono i risvolti psicologici della
dottrina dell’ilemorfismo universale,
nonché quelli relativi alla unione di
corpo e anima umani. Per Ibn Gabirol la materia,
nella sua dimensione spirituale, costituisce
principio di individuazione dell’anima.
In questo modo egli ritiene di aver trovato
una soluzione filosofica al problema dell’immortalità
dell’anima individuale. L’idea di
una composizione ilemorfica dell’anima
è seguita dai maggiori esponenti della
tradizione francescana medievale: Bonaventura
da Bagnoregio, Matteo d’Acquasparta, Pietro
Olivi, Pietro di Trabes. D’altra parte,
nell’ambito della stessa tradizione, se
da un lato si riconosce una materia propria
dell’anima, anche al corpo si attribuisce
una sua specifica forma, chiamata, da Giovanni
Peckham e da Matteo d’Acquasparta, forma
corporeitatis. Inoltre, conformemente alla dottrina
della pluralità delle forme all’interno
dei composti, anche l’anima umana viene
ad assumere tale caratteristica. Per Giovanni
Peckham solo l’anima razionale, che conferisce
perfezione alle altre forme e unità all’intero
composto, è creata da Dio direttamente,
mentre quella vegetativa e quella sensitiva
sono potenzialmente contenute nella materia.
Per Pietro di Giovanni Olivi, afferma E. Gilson,
“l’anima è fatta di parecchie
forme disposte in gerarchia (vegetativa, sensitiva,
intellettuale) legate dal loro comune rapporto
con una materia spirituale. Poiché la
materia delle facoltà dell’anima
è la stessa, l’azione dell’una
muove, per così dire, questa materia
comune, la cui vibrazione si comunica alle altre
facoltà, che la percepiscono. Non c’è
dunque azione diretta e immediata di una facoltà
sull’altra, ma soltanto indiretta e mediata,
in ragione della solidarietà naturale
delle forme unite in una materia comune”
. In tal modo l’anima razionale non è
di per sé e direttamente forma del corpo,
ma lo diventa solo attraverso le altre forme,
in virtù del comune riferirsi a una medesima
materia spirituale; se infatti l'anima intellettiva
fosse direttamente forma del corpo, non potrebbe
essere da questo separabile. Questa tesi, sviluppata
dall’allievo di Olivi Pietro di Trabes,
sarà condannata dal Concilio di Vienna
nel 1311.
La critica di Tommaso.
Il complesso dottrinale che abbiamo descritto
subirà una critica profonda da parte
di Tommaso
d’Aquino. Utilizzando l’aristotelica
distinzione tra materia e forma, egli la interpreta
in un modo parzialmente estraneo al pensiero
originario del filosofo greco: separandola da
quella tra potenza e atto. Con ciò il
suo obiettivo era proprio quello di negare la
materialità delle sostanze spirituali,
gli angeli, che però, in quanto creati,
possiedono una dimensione di potenzialità
(in cui paradossalmente risiede la loro forma)
che viene attualizzata dal solo Creatore. Inoltre,
egli rifiuta la presenza di una molteplicità
di forme all’interno dell’anima
umana. Le funzioni inferiori (sensitiva e vegetativa)
vengono infatti sussunte dalla forma superiore
che, in quanto tale, viene a essere l’unica.
Com scrive Abbagnano, “S. Tommaso rigetta
il principio, stabilito da Avicenna e seguito
dall’agostinismo, che in un composto permangano
le forme dei vari elementi componenti, e che
perciò nell’anima umana sussistano,
assieme alla forma intellettiva, anche le altre.
Forme diverse, secondo Tommaso, non possono
coesistere se non in diverse parti dello spazio;
ma così sono giustapposte, non fuse;
e non danno luogo a un vero composto, che risulta
sempre dalla fusione dei suoi elementi. Dunque
nell’anima umana c’è una
sola forma, quella superiore intellettiva, che
compie pure le funzioni inferiori”. E
se la tradizione francescana, derivata dal neoplatonismo
arabo-giudaico, aveva considerato plausibile
l’esistenza di una materia dell’anima
(seppure diversa dalla materia dei corpi), e
aveva dunque riconosciuto la presenza di materia
e forma all’interno della stessa anima,
Tommaso separa drasticamente l’anima
dal corpo, introducendo quel principio dualistico
cui la filosofia occidentale è rimasta
legata fino a oggi.
Dopo Tommaso.
Tuttavia, pensatori e correnti posteriori a
Tommaso conservarono la preziosa eredità
di chi, con l’ilemorfismo universale,
ha cercato un modo di pensare l’unione
tra diversi aspetti del cosmo. Il francescano
Duns
Scoto riprese il concetto di forma corporeitatis:
il corpo umano possiede cioè una sua
propria forma che lo rende attivo di per sé;
la forma del corpo o forma mixti costituisce,
accanto a quella intellettiva, una delle forme
sostanziali dell’uomo. Al contrario dell’agostinismo
francescano, invece, Duns Scoto nega all’anima
un principio di individuazione materiale. La
dottrina della attualità della materia
venne sviluppata dalla scuola scotista da cui
proviene il De rerum principio dove troviamo
una concezione della fondamentale unità
della materia, sia delle sostanze corporee che
di quelle spirituali, di esplicita ispirazione
gabiroliana. L’unica materia viene qui
distinta in materia primo prima, indeterminata,
priva di qualunque forma sostanziale o accidentale;
“materia secundo prima, sostrato della
generazione e corruzione, già provvista
di qualche forma sostanziale e di quantità;
materia tertio prima, sulla quale agiscono le
forze naturali e di cui l’uomo si serve
nelle sue produzioni artificiali. Si tratta
di tre aspetti dell’unica materia universale.
(PT)
Bibliografia
N. Abbagnano, Storia della filosofia, I, Torino
1966.
F. Brunner, Sur l’hylémorphisme
d’Ibn Gabirol, “Les Études
Philosophiques”, nouv. série 8.
1 (1953), pp. 28-38.
F. Brunner, Métaphysique d’Ibn
Gabirol et de la tradition platonicienne, ed.
D. Schulthess, Hampshire (Great Britain) –
Vermont (USA) 1997.
É. Gilson, La filosofia nel medioevo.
Dalle origini patristiche alla fine del XIV
secolo, Paris 1952, Firenze 1973.
F. Adorno – T. Gregory – V. Verra,
Manuale di storia della filosofia, 1, Bari 1996,
2002.
P. Travaglia, Magic, causality and intentionality.
The doctrine of rays in al-Kindî, Firenze
1999.
P. Travaglia, Una cosmologia ermetica. Il Kitâb
sirr al-khalîqa / De secretis naturae,
Napoli 2001.
S. Vanni Rovighi, San Bonaventura, Milano 1974.
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