Roberto Grossatesta Vita e opere. Scienziato, filosofo, traduttore dal greco, l'inglese Roberto Grossatesta (1170ca.-1253) fu erede della tradizione scientifica di Hereford, primo maestro della scuola francescana di Oxford, e, dal 1235, vescovo di Lincoln. Una tradizione biografica, oggi discussa, pone Grossatesta primo cancelliere designato, e, contestualmente, maestro di teologia nel 1214, alla fondazione dell'Università. Al decennio 1220-1230 risale la quasi totalità della sua produzione scientifica e filosofica, che comprende un ampio commento agli Analitici Secondi, un commento alla Fisica, primi commenti latini di cui abbiamo testimonianza, e numerosi scritti di filosofia naturale. All'ultima fase di magistero, corrispondente all'insegnamento di teologia nella scuola dei francescani, appartengono le sue opere esegetiche. La sua attività intellettuale proseguì negli anni dell'episcopato: coadiuvato dai Minori (Ordini mendicanti), in particolare dall'amico e allievo frate Adamo Marsh, imparò il greco, aiutandosi col Suda, tradusse opere patristiche e aristoteliche: l'Etica Nicomachea, accompagnata da commenti tardoantichi, parte del De coelo, i Testamenti dei dodici patriarchi, e gli scritti dello pseudo-Dionigi. Fu preso a modello da Giovanni Wyclif e dai riformatori hussiti (Giovanni Hus) per la sua vigorosa azione pastorale, di denuncia contro gli abusi della curia papale e del clero. Fra suoi numerosi scritti pastorali merita ricordare il poema teologico "Castello d'amore" (Château d'Amour), una allegoria in anglo-normanno che ebbe vastissima diffusione. Scienza e metodo scientifico. L'interesse per le arti del quadrivio ad Oxford sviluppò un'ampia riflessione sul metodo scientifico e sulla matematica, ed un'attenzione particolare all'accrescimento delle conoscenze naturali. Un ruolo fondamentale fu svolto dalla riflessione sugli Analitici Secondi, l'opera in cui Aristotele aveva definito le condizioni di validità della dimostrazione, che pose il problema della conoscenza degli oggetti sensibili, in cui le premesse del ragionamento sillogistico sono dedotte dall'esperienza. Roberto Grossatesta fu il primo ad elaborare queste tematiche. Nel suo Commentario ai Secondi Analitici egli distingue fra opinione, intelletto e scienza. L'opinione è l'accettazione di una verità contingente, colta nel suo essere materiale e mutevole, dunque è un livello indeterminato del conoscere. L'intelletto è invece una sorta di vista intellettuale (visus mentalis): ciò che gli è visibile è la realtà intelligibile, percepita grazie ad una luce spirituale (lumen spirituale) che illumina intelletto e intelligibile. L'intelletto è il principio della scienza, perché coglie i primi principi della dimostrazione, sulla quale è fondata la scienza. Essa, infatti, è conoscenza che si acquista sulle cose visibili per il tramite di elementi necessari e certissimi, cioè i primi principi. Nel campo della conoscenza naturale l'acquisizione di questi elementi certissimi costituisce il problema dell'induzione. La definizione di un fenomeno è la definizione delle condizioni della sua produzione, che Grossatesta identificò con le quattro cause aristoteliche; essa si ottiene attraverso il duplice procedimento della resolutio e della compositio: ovverosia (1) classificando per somiglianze e differenze gli elementi costitutivi del fenomeno e dandone così una definizione; e, (2) sistemando le proposizioni che definiscono l'oggetto in modo tale da mostrare la derivazione delle più particolari dalle più generali, così che il rapporto fra generale e particolare risulti un rapporto di causa ed effetto. Infatti, dal momento che conosciamo a partire dai principi, dobbiamo risalire "dal tutto completo che conosciamo confusamente" a agli aspetti di essi "per mezzo dei quali è possibile definire il tutto" per ottenere una conoscenza determinata di qualcosa. Complementare a questo metodo euristico è la ricerca di un metodo di verificazione o falsificazione della conoscenza ottenuta; a questo punto lo scienziato deve ricorrere nuovamente all'esperienza. "Esperimento" ha in Grossatesta un significato circoscritto alla constatazione che il nesso causale individuato a partire dai dati sensibili ha un effettivo riscontro nei fatti; non implica cioè né la riproduzione artificiale delle condizioni dell'esperienza né il ricorso alla misurazione. Dalla visione sensibile, che ha per oggetto individui particolari, si passa dunque ad una "visione" degli universali, che permette anche nella conoscenza naturale di parlare di scienza. Tuttavia, se la scienza degli enti separati (logici e metafisici) non è possibile all'uomo, "per la loro lontananza dal senso e per la sottigliezza della propria natura", che li rende inattingibili alla vista intellettuale, la mutevolezza degli oggetti naturali rende pur sempre probabile la loro conoscenza. Scienza vera e propria risulta allora essere per Grossatesta solo la matematica, che dà insieme conoscenza e dimostrazione, e che può costituirsi come strumento anche della fisica. Cosmologia e filosofia naturale. La fondazione matematica delle scienze naturali viene sostenuta particolarmente nei trattati che concernono la luce e l'ottica: De luce, De motu corporali et luce, De lineis, angulis et figuris, De iride. Benché la matematica non possa infatti di per sé rintracciare le cause degli effetti naturali, essa può descriverli. L'insistenza sulla visibilità che la geometria conferisce alle ragioni dei fenomeni naturali costituisce il motivo di fondo della gnoseologia grossatestiana, radicata sulla teoria agostiniana dell'illuminazione, alla quale si salda la visione cosmologica di origine neoplatonica, che spiegava la creazione come la moltiplicazione del punto di luce creato da Dio. Nel trattato De luce, l'origine dell'atto creativo dell'universo è nel punto luminoso che si espande sfericamente, estendendo la materia informe e divenendone, perciò, la prima forma o "corporeità"; un tema, quello della comune corporeità generatrice della tridimensionalità, ripreso dalla speculazione araba ed ebraica, in particolare da Avicenna, Algazel, e Avicebron. All'estrema regione dell'universo, il firmamento, si genera secondo Grossatesta una nuova entità, il lumen, che nel suo processo di ritorno verso il centro del mondo opera una progressiva compressione del sinolo materia/luce, generando in tal modo i nove cieli e le sfere dei quattro elementi. Nell'ambito del mondo elementare il lume scaturito dal firmamento, dai cieli e dalla stessa materia elementare opera come agente causale in ogni cambiamento e trasformazione dei composti grazie alla sua capacità di incorporarsi negli enti naturali per poi fuoriuscirne, alterandone la composizione o permettendo la relazione di un corpo con un altro. La sua azione si riconduce a ciò che nei trattati di ottica Grossatesta chiama virtù, specie o forza (virtus, species, similitudo): "L'agente naturale estende la sua forza da se stesso fino al paziente, sia che agisca sul senso, sia sulla materia" (De lineis, angulis et figuris). Ora, poiché è la luce il principio attivo della materia, il rapporto di forza fra corpo agente e paziente è interpretato dalle leggi dell'ottica, fondata sulla geometria. E' evidente, in questo contesto, il richiamo alla dottrina kindiana dei raggi e alla tradizione ottica araba, che eserciterà un influsso determinante anche nell'opera scientifica di Ruggero Bacone, grande ammiratore e forse allievo del Lincolniense. La forza, secondo Grossatesta, agisce in linea retta e la sua azione è rappresentabile con le leggi ottico/geometriche della retta che cade su un solido. Se si frappone un corpo opaco o uno specchio la sua azione verrà rappresentata dalle leggi che definiscono il fenomeno della rifrazione o della riflessione. L'applicazione di queste leggi nell'ambito della filosofia naturale è esemplificata ad esempio nel trattato De iride, ove per la prima volta si attribuisce il fenomeno dell'arcobaleno alla rifrazione della luce solare, e non alla riflessione. Anche altre manifestazioni della luce, come il calore e il colore, e soprattutto fenomeni non luminosi, come il suono, il tatto e le altre sensazioni, le maree, la nebbia, la neve, i climi vengono in ultima istanza ricondotti, in numerosi scritti ad essi dedicati, al principio dell'incorporazione del lumen celeste negli enti naturali e alla sua propagazione dal corpo al senziente o all'ambiente circostante. Metafisica della luce e teologia. Abbiamo visto come la filosofia naturale di Grossatesta si fondi sull'idea di un universo fatto e compenetrato dalla luce, e come la teoria della conoscenza si basi sul tema agostiniano dell'illuminazione. Questi due temi preludono ad una più organica visione metafisica, che, anche se non sistematicamente delineata, costituisce il contesto dottrinale nel quale si colloca la filosofia di Roberto Grossatesta e che è generalmente definito come metafisica della luce. Nel suo vasto commento alla Genesi (Hexaemeron), Roberto afferma che ogni forma esistente è un qualche genere di luce (aliquod genus lucis). Essa infatti ha il potere di auto-generarsi e auto-moltiplicarsi, manifestando se stessa e, insieme, rendendo palese l'esistenza di ogni ente, di cui è forma prima. Semplicissima e priva di parti, indifferenziata e fonte di ogni differenziazione, essa consente di concepire la dialettica trinitaria. Dio è interamente uguale a se stesso e nella sua assoluta semplicità è capace di generare rimanendo il generato della stessa natura del generante: "lumen de lumine, deus de deo". Legata al tema trinitario, la concezione esemplaristica di Dio "prima forma e forma di tutte le cose" (nello scritto De unica forma omnium) consente di mettere in relazione ogni creatura col suo creatore, ogni intelletto, umano e angelico, con la fonte che lo irradia, non in senso panteistico, ma in funzione esemplaristica, ove l'unico Verbo diviene modello ed esemplare di tutte le cose: "Nella perfetta semplicità della prima luce i principi della conoscenza (principia cognoscendi) e i principi dell'essere (principia essendi) coincidono" (McEvoy, Gli inizi, p. 77). Il tema dominante della teologia e metafisica grossatestiana si completa con altri temi teologici strettamente collegati: la Sapienza che si identifica con la Bibbia e la centralità della figura di Cristo, la cui opera di salvezza consistette nella volontaria scissione dell'anima dal corpo, una concezione del tutto originale della Passione. Grossatesta, inoltre, estese la prova ontologica dell'esistenza di Dio elaborata da Anselmo alla volontà: elaborando il concetto di bene o amore di cui non si può pensare nulla di più alto. Il tema dell'amore per Dio è declinato nei temi complementari dell'amore materno del maestro per il discepolo e dell'amore coniugale, e la traduzione dell'Etica aristotelica permise a Grossatesta di confrontare la tradizione cristiana con il contesto classico delle virtù etiche. (CP) Bibliografia Edizioni Traduzioni italiane Risorse on-line Studi |
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