Dionigi pseudo-Areopagita
Un filosofo misterioso.
Il caso dello pseudo-Dionigi può forse
essere considerato come il più fecondo
e influente falso letterario della storia del
pensiero filosofico occidentale. Sotto il nome
del discepolo di san Paolo e primo vescovo di
Atene, già membro dell’Areopago
di Atene, convertitosi al cristianesimo dopo
aver assistito all’eclisse di sole verificatosi
al momento della Crocifissione, si nasconde
in realtà un autore anonimo, vissuto
probabilmente nella Siria del V secolo, forse
un ecclesiastico, anche se non è chiaro
se potesse essere vescovo, presbitero o semplicemente
monaco. Il corpus degli scritti composti da
questo misterioso autore (quattro trattati e
un gruppo di dieci lettere) presenta caratteristiche
dottrinali e terminologiche che difficilmente
potrebbero risalire alla prima fase della predicazione
apostolica, mostrando già traccia di
dispute eresiologiche successive e una certa
contiguità terminologica e concettuale
con l’ultima fase della speculazione neoplatonica,
tanto che si è ipotizzata un’influenza
diretta sullo pseudo-Dionigi da parte del filosofo
ateniese Proclo. Al di là dei problemi
di origine di questo corpus testuale, ciò
che ne ha determinato la fortuna resta indubbiamente
l’altissimo livello speculativo del suo
contenuto dottrinale, che ha stabilito un fondamento
sistematico e un arricchimento della speculazione
teologica sviluppata fino al V secolo in seno
alla tradizione della Chiesa.
Il corpus dionysiacum.
I trattati che compongono il corpus dionysianum
(dionysiacum nel lessico medievale) sono il
De coelesti hierarchia, il De ecclesiastica
hierarchia, il De divinis nominibus e il De
mystica theologia. I primi due trattano della
struttura gerarchica degli ordini angelici e
degli ordini ecclesiastici, il terzo trattato
è un compendio di teologia simbolica,
il quarto è un breve trattato in cui
vengono delineati i fondamenti della teologia
negativa. La fortuna di questi scritti fu
immensa sia nell’Occidente latino sia
nell’Oriente bizantino: l’angelologia
e la teologia negative sarebbero impensabili
negli sviluppi dogmatici del cristianesimo medievale
senza la mediazione dello ps.-Dionigi; allo
stesso modo la teoria delle energie divine e
la teoria della deificazione, che fornirono
la base dottrinale della teologia mistica della
Chiesa d’Oriente, sono grandemente debitrici
dell’opera di questo misterioso autore.
La rilevante presenza di strumenti concettuali
e terminologici propri della speculazione neoplatonica
viene giustificata in un certo modo dall’autore
stesso, che nella VII Lettera si difende dall’accusa
mossagli dal sofista Apollofane di “utilizzare
le cose dei greci contro i greci”, ripetendo
un concetto caro a tutta l’apologetica
patristica, ovvero che i filosofi pagani hanno
utilizzato la sapienza divina in modo parziale
e improprio, e che spetta ai teologi cristiani
il corretto riutilizzo degli strumenti della
razionalità e dell’intellettualità
umana nella luce della Rivelazione.
I nomi di Dio.
Uno dei fondamenti del pensiero dionisiano è
l’apofaticità
dell’essenza divina, ovvero il suo sfuggire
a ogni possibilità di delimitazione,
definizione o concezione da parte di qualsiasi
intelletto creato, umano o angelico. La conoscenza
dell’essenza divina, impossibile direttamente,
trova possibilità attraverso una mediazione
teofanica. La teologia
conosce di conseguenza due modalità,
cioè “apofatica” (o negativa)
e “catafatica” (o affermativa),
che descrivono le possibilità della gnoseologia
delle realtà divine. Se la via catafatica
è simbolica e analogica, la via
apofatica è quella che ha il compito
di riferire in senso proprio della realtà
divina, ovvero negando ogni analogia tra quella
e il mondo creaturale. Il problema dell’apofaticità
divina viene affrontato da Dionigi nel De divinis
nominibus e nella Mystica theologia. Nel primo
trattato si dà conto di come l’unità
divina, ineffabile e superiore a ogni unità
e distinzione sia causa dell’essere delle
creature e come queste possano conoscere e partecipare
a quello attraverso le modalità definite
dai nomi che lo designano e che definiscono
le sue operazioni (o energie): questi nomi vengono
analizzati nella successione della loro gerarchia,
descrivendo un ordine in cui l’essere,
la conoscenza e le distinzioni ontologiche non
risultano altro che essere partecipazione a
paradigmi ontologici identificati nel loro principio
causale con Dio stesso. Dionigi riprende i nomi
divini dalla terminologia filosofica ellenica
(Uno, Bene, Luce, Bello, Amore, Vita, Essere,
Sapienza, Ragione, Fede, Giustizia, Pace, Dissimile,
Disuguaglianza, Moto, Eternità) imprimendo
a questi un senso eminentemente cristiano, affiancando
inoltre a questi nomi le definizioni della Bibbia
(Antico dei giorni, Angelo del Gran Consiglio).
I problemi fondamentali della teologia e della
filosofia della partecipazione ontologica vengono
sviluppati da Dionigi entro un quadro in cui
è costantemente rimarcato l’elemento
di superiorità-alterità della
divinità in sé: nel trattare del
problema del male, della predestinazione, della
forza unificante (definita sotto il nome divino
di Amore), Dionigi dipinge un grandioso affresco
di un universo pervaso dall’energia divina
che trasmette la sua potenza vivificante e deificante
alle creature, secondo le due modalità
discensiva (próodos), la quale porta
dall’unità divina al molteplice
creaturale, e ascensiva (epistrophé),
nella quale si compie il percorso inverso dal
molteplice all’unità divina.
La non-conoscenza.
Nel caso della Mystica theologia, il punto di
vista gnoseologico e metodologico seguito in
Divinis nominibus è invertito, riferendosi
qui della divinità nella sua impenetrabilità
e superiorità a ogni definizione e determinazione.
La via per eccellenza verso la conoscenza di
Dio è dunque quella che nega ogni attributo
e determinazione: partendo dalla negazione dagli
attributi più lontani dalla natura divina
(Dio non è sensibile) fino agli attributi
più alti e propri (Dio non è uno,
né vita, né essere) l’intelletto
si avvicina alla conoscenza
divina solo quando si spoglia della conoscenza.
Dionigi tratteggia questo approccio attraverso
la figura di Mosè, che “penetra
nella caligine segreta della non-conoscenza
[…] e aderisce a colui che è completamente
impalpabile e invisibile” (cap. I).
La gerarchia dell’universo.
La primarietà della concezione apofatica
nella teologia dionisiana ha contribuito in
modo determinate allo sviluppo della concezione
gerarchica dell’universo che Dionigi espone
nel De coelesti hierarchia e nel De ecclesiastica
hierarchia. Tale concezione viene a basarsi
sul concetto della mediazione gerarchica che
si pone in essere nella relazione tra molteplici
intermediari, per cui le gerarchie superiori
ricevono dalla Tearchia divina (così
Dionigi definisce la Trinità) l’essere
e le energie spirituali (o illuminazioni), trasmettendole
alle gerarchie inferiori. Dionigi definisce
la gerarchia come “una disposizione del
tutto sacra, immagine della bellezza divina
che santamente opera negli ordini e nelle scienze
gerarchiche i misteri della propria illuminazione
e che si conforma al proprio principio per quanto
può” (De coelesti hierarchia, III,
2). Nel mondo angelico questa trasmissione mediativa
si pone in atto nella gerarchia celeste, composta
da tre ordini ripartiti a loro volta in tre
sottogerarchie (Serafini, Cherubini, Troni –
Dominazioni, Potenze, Potestà –
Principati, Arcangeli, Angeli). Ciascun ordine
di questa gerarchia assolve a una funzione particolare
della trasmissione della potenza unificante
e della conoscenza del Principio, secondo la
duplice modalità discensiva e ascensiva
dettata dal moto supersostanziale della Tearchia
stessa. Il potere ordinativo e la possibilità
conoscitiva si trasmettono dunque in senso discendente
dalle gerarchie più elevate e prossime
a Dio sino alle gerarchie subordinate, stabilendo
al contempo la possibilità della modalità
ascensiva, per il fatto che la partecipazione
alle energie divine attraverso la mediazione
gerarchica comporta l’assimilazione a
Dio. Secondo Dionigi il fine ultimo della gerarchia
è infatti “l’assimilazione
e l’unione con Dio” (De ecclesiastica
hierarchia, II, 1).
La gerarchia della chiesa.
Nel mondo degli uomini la partecipazione ai
beni spirituali trova la sua possibilità
attraverso la mediazione della gerarchia ecclesiastica,
che a sua volta li riceve per mediazione della
gerarchia celeste con la quale si trova in contiguità
ideale. Il vertice della gerarchia umana, ossia
il vescovo, riceve le illuminazioni dagli angeli
e le trasmette attraverso la mediazione di presbiteri
e diaconi ai fedeli durante la celebrazione
dei misteri sacramentali. Da questo punto di
vista il De ecclesiastica hierarchia costituisce
un trattato di esegesi anagogica dei riti liturgici
della Chiesa. Questa strutturazione gerarchizzata
del mondo, nonché l’idea di una
mediazione rigorosa tra gli ordini della gerarchia,
per cui il più basso non può avere
contatto con l’ordine più alto
se non attraverso un intermediario a lui sovraordinato,
potrebbe ingenerare il dubbio sul fatto che
un simile stato di cose precluderebbe ogni contatto
tra Dio e le intelligenze che occupano gli ordini
più bassi della gerarchia oppure con
gli uomini stessi. Tuttavia il problema trova
soluzione se si pensa che nella concezione monista
di Dionigi l’attività della gerarchia
si identifica con l’attività della
Tearchia stessa, essendo in definitiva l’attività
gerarchica una partecipazione all’attività
tearchica, la quale opera “tutto in tutti”
(De divinis nominibus, 596C). L’attività
di ogni gerarchia è dunque una partecipazione
alle energie
increate della Tearchia, che si trasmettono
direttamente fino ai limiti dell’universo
unificando tutte le creature nell’ordine
e nella conoscenza, che sono in definitiva una
partecipazione dell’energia divina stessa.
(ESM)
Bibliografia
Testi
Corpus dionysiacum. I. De diuinis nominibus,
ed. Beate R. Suchla; II. De coelesti hierarchia
- De ecclesiastica hierarchia - De mystica theologia
- Epistulae, edd. Günter Heil, Adolf Martin
Ritter, Berlin, De Gruyter, 1990-1991 (edizione
del testo greco)
Dionysiaca. Recueil donnant l’ensemble
des trad. latines des ouvrages attribués
au Denys de l’Aréopage, ed. Ph.
Chevalier et al., 1937-1951, pp. 5-560 (edizione
delle traduzioni latine; se ne contano tredici)
Traduzione italiana.
Dionigi Areopagita, Tutte le opere. Gerarchia
celeste - Gerarchia ecclesiastica - Nomi divini
- Teologia mistica - Lettere, a cura di Piero
Scazzoso, introduzione e apparati di Enzo Bellini,
Rusconi, Milano, 1981
Studi
Denys l’Aréopagite et sa posterité
en Orient et en Occident. Actes du Colloque
International. Paris, 21-24 septembre 1994,
cur. Ysabel de Andia, Institut d’Études
Augustiniennes, Paris, 1997
R. Roques, L'universo dionisiano. Struttura
gerarchica del mondo secondo ps. Dionigi Areopagita,
Vita e Pensiero, Milano, 1996.
Id., Structures théologiques de la gnose
à Richard de Saint Victor, Presses Universitaires
de France, Paris, 1962
Risorse on-line
http://www.ccel.org/d/dionysius/
http://www.escapefromwatchtower.com/mysticaltheology-dionysius.html
http://www.esoteric.msu.edu/VolumeII/CelestialHierarchy.html
http://www-control.eng.cam.ac.uk/hu/SaintDionysius.html
http://www.tertullian.org/fathers/areopagite_01_intro.htm
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