Ibn Gabirol
Ibn Gabirol (Malaga 1021-Valencia 1054), conosciuto ai latini come Avicebron,
è poeta, uomo religioso e personalità filosofica di grande
complessità, in ragione delle molteplici correnti che influiscono
sul suo pensiero.
Le fonti. Egli rappresenta, innanzitutto,
il primo tentativo di elaborare all’interno del pensiero
ebraico la tradizione greco-ellenistica: il neoplatonismo ne orienta
la cosmologia, e gli alessandrini,
mediati dagli arabi, le distinzioni tra materia e forma, tra sostanze
prime e seconde, tra anima vegetativa, sensitiva e razionale e, in ambito
logico, tra i vari possibili predicati. Anche la tradizione scientifica
greca, di Galeno, Ippocrate e Tolomeo, esercita un’influenza. Rilevante
è altresì l’apporto e i punti di contatto con la filosofia
islamica e, in particolare, con il fondatore della scuola andalusa Ibn
Masarra (Almeria IX-X secolo) con cui Ibn Gabirol condivide molti aspetti
della concezione della materia. Dall’ermetismo
arabo e dai Fratelli
della Purezza egli ha tratto l’idea di differenti livelli di
materialità, di corrispondenza tra macrocosmo e microcosmo, la
distinzione tra l’occulto e il manifesto. La tradizione semitica
è, tuttavia, la cornice che caratterizza più profondamente
il pensiero gabiroliano, nonostante sia quella più difficile da
rilevare e, soprattutto, da interpretare. Essa emerge con chiarezza nella
concezione di Dio, nell’accentuazione della sua Volontà,
nell’essere considerato luogo del mondo. Inoltre, come già
Munk aveva rilevato, la creazione del mondo finito, che procede attraverso
le successive autodeterminazioni della Volontà divina, sono le
stesse condizioni della nascita dell’universo nella
kabbala.
Le opere. Tra le sue opere, composte prevalentemente
in arabo, ricordiamo: il trattato di etica Libro della correzione dei
caratteri, e la raccolta di sentenze Scelta di perle, entrambi tradotti
in ebraico, e il poema filosofico La corona regale. Il trattato Sorgente
della vita, composto in cinque libri nella forma di dialogo tra maestro
e discepolo, fu tradotto dall’arabo al latino nel XII secolo da
Giovanni Ispano e Domenico Gundissalino come Fons vitae, ma solo alla
metà del XIX secolo venne riconosciuta chiaramente la sua paternità.
In esso viene esposta la dottrina dell’ilemorfismo
universale. Ibn Gabirol è anche autore di testi esegetici e
poemi religiosi. Nella Sorgente della vita si menzionano, inoltre, un
trattato Sull’essere e uno Sulla causa dell’essere.
La cosmologia.
La creazione del mondo proviene da un atto volontario
da parte di Dio. Nella sua Volontà risiedono
la forma e la materia nella loro esistenza universale.
Dalla loro unione e dal loro progressivo particolarizzarsi,
secondo una scala gerarchica che va dal superiore
all’inferiore, hanno origine tutti
gli aspetti del cosmo. Nel mondo delle sostanze
sovrasensibili tale processo, che avviene secondo
un processo emanativo per cui i vari livelli
procedono l’uno dall’altro, dà
vita all’intelletto, all’anima razionale,
all’anima vegetativa, all’anima
sensitiva e alla natura che governa i processi
del mondo sublunare. Queste essenze universali
si individuano in ciascun uomo. La Volontà,
prima manifestazione divina ed elemento intermedio
tra materia e forma, non va considerata alla
stessa stregua delle altre ipostasi, ma è
definita un mistero. Da essa dipende l’unione
tra la materia e la forma, da cui hanno origine
tutte le creature. Dice il filosofo: è
la Volontà che trattiene le forme nella
materia, che le fissa ai confini e agli estremi
in cui esse si arrestano. La struttura gerarchica
del cosmo salvaguarda sia la sua unità,
sia la distanza irriducibile che vi è
tra i differenti gradi di esso, fra i differenti
gradi della materia e della forma. Ciò
che è inferiore sussiste nel suo superiore
perdendo la sua qualità di inferiore.
Come ha rilevato Gilson, nove sono i modi in
cui gli esseri sussistono gli uni negli altri:
tutti risiedono e sussistono nella scienza di
Dio; in secondo luogo la forma universale nella
materia universale; in terzo luogo le sostanze
semplici le une nelle altre; in quarto luogo
gli accidenti semplici nelle sostanze semplici;
in quinto luogo la quantità nella sostanza;
in sesto luogo la superficie nei solidi; le
linee nella superficie e i punti nelle linee;
in settimo luogo i colori e le figure nelle
superfici; in ottavo luogo le parti dei corpi
omogenei le une nelle altre; in nono luogo tutti
i corpi gli uni negli altri, ed è questo
il loro modo comune d’esistenza che si
conosce sotto il nome di luogo.
Materia e forma.
Dal punto di vista della Storia della Filosofia,
i rapporti tra materia e forma costituiscono
l’aspetto più innovativo della
speculazione gabiroliana. Sono quelli che danno
luogo alla dottrina dell’ilemorfismo universale.
L’elemento più importante è
l’attribuzione di sostanzialità
e universalità alla materia. Quest’ultima
è certo ben differente da quella della
forma: l’universalità della forma
è la sua intelligibilità, che
essa conferisce alle cose (potremmo dire l’universalità
logica); l’universalità della materia
è, invece, quel comune fondo sostanziale
di tutte le realtà cosmiche (potremmo
dire l’universalità reale), ed
è il loro mistero profondo, il loro aspetto
essenziale ma incomprensibile. Indispensabili
l’una all’altra e intrinsecamente
unite, materia e forma rimangono radicalmente
differenti in ragione di questo aspetto: la
scienza e la conoscenza provengono dalla forma,
non dalla materia (scientia et cognitio ex
forma est, non ex materia). Dunque, nonostante
quella unione, di cui si è parlato più
approfonditamente a proposito dell’ilemorfismo,
la materia conserva per sé un’irriducibilità
che ha fatto parlare gli studiosi di supremazia
della materia sulla forma. Afferma Brunner che
Ibn Gabirol non stabilisce un’opposizione
tra materia e spirito, ma ne stabilisce una
tra intelligenza e spirito. La materia, pur
profondamente unita alle forme, pur supportandole
e fornendo, dunque, l’occasione della
loro intelligibilità, rimane di per sé
inconoscibile. D’altra parte, Ibn Gabirol
conserva alla forma la sua funzione attualizzante
conferitale già nella tradizione aristotelica:
essa consiste nello stabilire l’unità
intrinseca degli esseri, sintetizzandone i differenti
aspetti in una identità precisa, e impedendo
la moltiplicazione cui la materia tenderebbe.
La forma conferisce, dunque, unità agli
esseri individualmente determinati; la materia,
invece, è quella unità che abbraccia
la totalità degli esseri.
Apofatismo e contemplazione. Sebbene la
composizione di materia e forma possa distinguere il mondo creaturale
da Dio, Ibn Gabirol parla della materia e della forma come l’essenza
e l’attributo in Dio. La materia è ciò che vi è
in Lui di più profondo e di più oscuro, mentre i suoi attributi,
la sua manifestazione comprensibile agli uomini, ne sono la forma. In
questa prospettiva che, come dice Brunner, risulta sorprendente ai nostri
occhi, Dio può essere considerato luogo (maqom) del mondo, provvisto
di una materia, cioè di un fondo incomprensibile denominato come
lo stesso fondo incomprensibile del mondo. Ciò non toglie nulla
alla sua assoluta semplicità e trascendenza, in un’ottica,
però, in cui l’essere trascendente coincide con l’essere
al fondo: luogo del mondo. E ciò non toglie, anzi, al contrario,
conferma la sua inconoscibilità:
con la tradizione neoplatonica Ibn Gabirol condivide l’impossibilità
umana di conoscere Dio positivamente. Tuttavia, rimane all’uomo
di contemplarne, attraverso i sensi e l’intelletto, la Volontà
che sorregge la necessaria struttura del mondo, godendo in tal modo della
felicità. (PT)
Bibliografia
Edizioni
Ibn Gabirol, Fons vitae, ed. C. Baeumker, Münster 1895
Traduzioni
Shelomoh ibn Gabirol, Fons Vitae – Meqor Hayyim, Edizione critica
e traduzione dell’epitome ebraica dell’opera, a c. di R. Gatti,
il melangolo, Genova 2001
Studi
F. Brunner, Métaphysique d’Ibn Gabirol et de la tradition
platonicienne, ed. D. Schulthess, Hampshire (Great Britain) - Vermont
(USA) 1997
E. Gilson, La filosofia nel medioevo. Dalle origini patristiche alla fine
del XIV secolo, Paris 1952, tr. it. Firenze 1973
S. Munk, Mélanges de philosophie juive et arabe, Paris 1852, rist.
1927
C. Sirat, La filosofia ebraica medievale, Brescia 1990
M. Zonta, Un dizionario filosofico ebraico del XIII secolo, Torino 1992
Risorse on-line
http://www.jewishencyclopedia.com/view.jsp?artid=17&letter=I
http://www.newadvent.org/cathen/02156a.htm
|