Linea dorata

L’ermetismo medievale

Con il termine ermetismo si usa denotare una forma di pensiero filosofico e tecnico-operativo caratterizzato da una spiccata sensibilità religiosa che affonda le sue origini nell’antico Egitto e che, a contatto con la civiltà greca classica, apre la strada ad una riflessione che darà origine ad una vasta produzione di carattere filosofico e teologico, che investirà anche l’astrologia, l’alchimia e la magia. Alla figura di Ermete Trismegisto e ad altri personaggi mitici con cui egli viene talvolta identificato, come Germa Babiloniensis, Enoch, o ancora a suoi discepoli, come Aristoteles, Belenus, Flaccus Africus, Harpocration, Thoz Graecus, Thabit vengono attribuiti scritti che saranno poi classificati nel Corpus Hermeticum.

Il Corpus hermeticum. Il Corpus hermeticum così come è noto agli studiosi di storia della filosofia medievale è composto da 17 trattati, numerati da 1 a 14 e da 16 a 18 (il quindicesimo trattato, inserito nel corpus nel 1554 dal filologo Adriano Turnebus, era in realtà un insieme di tre estratti della antologia di Stobeo). Si tratta di una serie di testi raggruppati ed ordinati in età bizantina, scelti probabilmente per la loro ispirazione filosofica e l’assonanza delle dottrine ivi presentate con gli elementi della cultura cristiana. Da questa collezione risultano infatti espunti, o comunque sensibilmente ridotti, quegli aspetti legati alle pratiche occulte (magia, astrologia, alchimia) che spiccavano invece nei titolo delle più antiche testimonianze greche attribuite ad Ermete che ci sono pervenute. Tra i testi che in età medievale circolarono sotto l’attribuzione ad Ermete predominano invece proprio gli scritti di magia, medicina magica ed astrologica, alchimia, in gran parte tradotti dall’arabo ma originariamente costituiti da materiali risalenti all’età ellenistica. L’idea fondamentale proposta dai testi ermetici è quella dell’unità del tutto, sulla quale si fondava una visione olistica della realtà, espressa nella dottrina cosiddetta della simpatia universale delle cose (testo, manuale p. 535) e ripresa nella Tabula Smaragdina, testo fondamentale dell’alchimia (testo, contenuto nella scheda testi/alchimia). Gli autori dei testi ermetici si definiscono volentieri filosofi, anche se conferiscono al termine filosofia un significato più ampio rispetto a quello di comprensione razionale della realtà. Come abbiamo visto, infatti, la filosofia ermetica presenta i tratti di un’antica tradizione sapienziale, in cui il sapere è trasmesso come una rivelazione dal maestro al discepolo (spesso gli scritti hanno la forma di dialoghi) o per illuminazione immediata dal dio Ermete, per poi tradursi in una operatività che mira alla trasformazione della realtà. Nel medioevo, tuttavia, questo articolato insieme di saperi, che conoscerà ampia fortuna nel Rinascimento, non fu trasmesso e buona parte delle informazioni che circolarono su Ermete furono ricavate da autori cristiani tardoantichi, che assunsero atteggiamenti diversi nei confronti dell’ermetismo: Agostino di Ippona attaccò duramente questa forma di religione pagana, mentre positivi furono i giudizi di Lattanzio e Quodvultdeus, discepolo di Agostino e autore di un trattatello Adversus quinque haereses, che fecero di Ermete un precorritore della rivelazione cristiana.

L’Asclepius. L’unica opera filosofica attribuita ad Ermete in età ellenistica, che fu letta e commentata nel medioevo è l’Asclepius, traduzione di un originale greco che ci è pervenuto in modo frammentario, proprio attraverso l’opera di Lattanzio, dal titolo Logos teleios (Discorso perfetto), datato solitamente intorno al III secolo. Fine dell’opera è l’insegnamento, ottenuto mediante rivelazione, di un mysterium, che permetterà l’accesso del discepolo alla gnosi. Il testo ha uno stile oscuro e solenne, che solo gli iniziati possono comprendere, e un carattere chiaramente asistematico che crea agli interpreti non poche difficoltà di comprensione. Il messaggio proposto è che il concetto di gnosi è strettamente correlato ad una complessiva visione di Dio, del mondo e dell’uomo, che viene raccontata al discepolo per ispirare in lui la devozione. Dio è l’essere privo di nomi, che allo stesso tempo li possiede tutti, è padre, ma è maschio e femmina; onnipotente (primipotens, ‘potente tra i primi’) e buono, ma non è il sommo bene dei platonici; è conoscibile per l’essere umano solo attraverso l’intelletto ed esprime la sua potenza nella creazione del mondo, che poi governa mediante la provvidenza. L’Asclepius afferma l’unità di creatore e creatura in questi termini: “Non ho detto infatti che tutto è uno e uno è tutto, cosicché nel creatore c’erano tutte le cose prima che tutte le creasse? Non è detto male affermare che egli è tutto, poiché le sue membra sono tutte le cose”. (Inserire testo) All’interno di una visione cosmologica densa di elementi oscuri, il primo Dio è presentato come il signore dell’eternità; secondo è il cosmo, terzo viene l’uomo. (testo 3/anima del mondo) Complesso è anche il rapporto di mediazione che è istituito tra Dio e il mondo, rappresentato da una gerarchia di dèi minori e di demoni: le asserzioni sull’esistenza dei demoni conducono ad una giustificazione della teurgia (magia rituale), addirittura si afferma che gli uomini possano introdurre nelle statue da loro fabbricate il principio divino, affinché possano profetare. L’antropologia dell’Asclepius ha un’ispirazione profondamente ottimista, pur ribadendo il dualismo tra anima e corpo, e la superiorità della prima, che ha una natura divina, sul secondo: grazie a questa sua doppia natura, infatti, l’essere umano contiene in sé come microcosmo tutti gli aspetti della realtà e di conseguenza ha la capacità di governare il mondo, che gli esseri puramente spirituali non hanno.

L’ermetismo nel XII secolo. Questo elemento di positività non sfuggirà agli autori che nel XII secolo leggeranno l’Asclepius, tra i quali ricordiamo Teodorico di Chartres, Ermanno di Carinzia, Ildegarda di Bingen, Bernardo Silvestre, Alano di Lilla. Gli accenti polemici di Agostino, che considera Ermete un profeta ispirato dai demoni e portatore di un culto pagano idolatrico, sono sfumati, mentre si riafferma l’idea, già proposta da Lattanzio, secondo la quale il paganesimo di Ermete è stato illuminato da una verità solo parziale, che il messaggio cristiano completa e perfeziona. In questo periodo si attestano anche i primi riferimenti a scritti ermetici non presenti nel corpus ellenistico, come il Liber vigintiquattuor philosophorum e il Liber de sex rerum principiis. Il primo è un trattato costituito da 24 proposizioni sulla natura di Dio (Quid est deus) che la finzione letteraria dell’autore attribuisce ad altrettanti filosofi riuniti a convivio. Le prime due definizioni, che conosceranno un’ampia eco nella tradizione speculativa medievale e moderna, definiscono Dio come “una monade che genera una monade e in sé riflette un solo fuoco d’amore” e come “una sfera infinita, il cui centro è ovunque e la circonferenza in nessun luogo”. Il Liber de sex rerum principiis delinea brevemente, a partire da una esposizione metafisica dei primi principi delle cose (Causa, Ragione e Natura), una cosmologia fondata su tre ulteriori principi (Mondo, Meccanismo del mondo, Tempo), giungendo a riferire su quegli elementi che danno origine ai fenomeni dinamici terrestri. La struttura emanatistica che sorregge tale sistema ci permette di individuare l’ispirazione neoplatonica dell’opera e la mancanza di ogni elemento direttamente riconducibile alla dottrina cristiana ci conferma la convinzione dell’autore di riferire verità segrete e assai più antiche della Rivelazione. Al XII secolo risale anche l’unico commento medievale all’Ascelpius che conosciamo.

L’ermetismo nel XIII secolo. Anche in virtù di queste peculiarità, l’interesse nei confronti delle dottrine ermetiche persistette, traducendosi in alcuni casi in un viva attenzione, che conduceva gli autori a misurarsi con il problema della somiglianza di alcune di esse con le verità cristiane. Tra questi, Alberto Magno si sofferma in particolare sulle definizioni del Liber vigintiquattuor philosophorum e su alcune dottrine dell’Asclepius, specificamente quella dell’homo “nexus dei et mundi”; pur rifiutando l’impianto metafisico panteista e dubitando dell’attribuzione ad Ermete degli scritti che circolavano sotto il suo nome, il Doctor universalis ritiene comunque che questi testi presentino una ricchezza di cui è dannoso privarsi. Se a Parigi, sede direttamente controllata dall’autorità papale, l’atteggiamento nei confronti del sapere ermetico fu cauto, se non esplicitamente critico, altrettanto non avvenne in Inghilterra, dove sotto questo aspetto sembra proseguire idealmente l’eredità albertina. Ruggero Bacone, l’anonimo autore della Summa philosophiae pseudogrossatestiana, Tommaso di York con il suo Sapientiale (in cui è compreso un commento alle prime tre sentenze del Liber XXIV philosophorum) e Thomas Bradwardine sembrano apprezzare particolarmente l’insegnamento sul divino proposto da Ermete.

L’ermetismo tra medioevo e rinascimento. In epoca rinascimentale l’ermetismo fu oggetto di interesse ed ampio studio. Nicola Cusano mutua dai testi ermetici le tesi più importanti della teologia dell’Asclepius che si accordano con la religione cristiana e quelle del Liber vigintiquattuor philosophorum che gli appaiono maggiormente feconde, come l’immagine della sfera proposta nella seconda definizione di Dio. Si ricorda inoltre che l’amplissima diffusione delle dottrine ermetiche nel rinascimento si verificò grazie alla traduzione dal greco del corpus (o meglio, dei primi quattordici trattati), realizzata da Marsilio Ficino su commissione di Cosimo de’Medici nel 1463 ed in relazione alla sempre maggiore importanza acquisita dalle opere platoniche e di ispirazione neoplatonica, tradotte nel medesimo periodo. (PB)

Bibliografia

Testi
Il Corpus hermeticum latino è in corso di stampa nel Corpus Christianorum. Continuatio Mediaevalis. I volumi fino ad ora editi sono i seguenti:
Hermes, De Triginta sex decanis, cura et studio Simonetta feraboli, Translatio gallica capitum XXIV-XXV, cura et studio Simonetta Feraboli e Sylvain Matton, Corpus Christianorum. Continuatio Mediaevalis 144-Hermes Latinus IV.1, Brepols Turhout 1994;
Hermes, Liber vigintiquattuor philosophorum, cura et studio Françoise Hudry, Corpus Christianorum. Continuatio Mediaevalis 143 A- Hermes Latinus III.1, Brepols, Turnhout 1997;
Astrologica et divinatoria, cura et studio Gerrit Bos, Charles Burnett, Thérèse Charmasson, Paul Kunitzsch, Fabrizio Lelli, Paolo Lucentini, Corpus Christianorum, Continuatio Mediaevalis 144 C- Hermes Latinus IV.4, Brepols Turnhout 2001.
Esistono inoltre altre edizioni di trattati ermetici pubblicati all’interno di studi specialistici: per una bibliografia completa v. P. Lucentini e V. Perrone Compagni, I testi ed i codici di Ermete nel Medioevo (in appendice, a cura di P. Lucentini e A. Sannino, Le stampe ermetiche), Edizione Polistampa, Firenze 2001 (Hermetica Mediaevalia, 1).

Traduzioni
Corpus Hermeticum, tr. it. di V. Schiavone, Rizzoli, Milano 2001
Le traduzioni italiane dell’Asclepius, del Crater Hermetis e del Prometheus, curate da Sara Petri, si trovano in appendice a Moreschini, Storia dell’ermetismo cristiano Morcelliana, Brescia 2000.
Il libro dei ventiquattro filosofi, a cura di P. Lucentini, Adelphi, Milano1999 (Piccola Biblioteca, 429).

Studi
Oltre agli studi già segnalati, per un inquadramento più generale del tema si ricordano:
C. Moreschini, Storia dell’ermetismo cristiano cit..
P. Lucentini, L’Asclepius ermetico nel secolo XII, in From Athens to Chartres. Neoplatonism and nediaeval Thought. Studies in Honour of Edouard Jeauneau, ed. by H. J. Westra, Brill, Leiden-New York, Köln 1992.
A.Sannino, La tradizione ermetica a Oxford nei secoli XIII e XIV: Ruggero Bacone e Tommaso Bradwardine, Studio Filosofici 18 (1995).

Risorse on-line
http://www.iuo.it/dipfp/ATTIVITA_DI_RICERCA/HermesLatinus/index.html

Università di Siena - Facoltà di lettere e filosofia
Manuale di Filosofia Medievale on-line

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