| Nicola Cusano 
 Vita. Nato a Kues (Cusa) nel 1401, studiò 
        diritto e teologia nelle università tedesche di Heidelberg e Colonia, 
        dove fu allievo di Eimerico da Campo, e a Padova, 
        dove completò gli studi di diritto canonico nel 1423. Non praticò 
        l’insegnamento: la sua carriera fu quella di un dignitario ecclesiastico 
        e uomo politico, che ricoprì importanti cariche ed effettuò 
        missioni diplomatiche per diversi papi. Le numerose opere che scrisse 
        sono per lo più brevi trattati, ben diversi come genere dagli scritti 
        degli autori scolastici, così come extra-scolastico è il 
        contesto nel quale elaborò la sua filosofia, nel vivo delle vicende 
        politiche più rilevanti del suo tempo: fu tra i protagonisti del 
        concilio di Basilea (1431-1449), e fu ambasciatore del papa Eugenio IV 
        a Costantinopoli (1439). Cardinale dal 1448, vescovo di Bressanone due 
        anni dopo, concluse la sua carriera a Roma, dove era stato chiamato da 
        Pio II nel 1458. Morì nel 1464. La sua vita si colloca in un tempo 
        che nelle nostre categorie storiografiche vede sovrapporsi ‘medioevo’ 
        ed ‘età moderna’; per quanto la sua formazione 
        fosse di impianto scolastico, essa presenta alcuni elementi peculiari, 
        in primo luogo il contatto con i testi ermetici e con il pensiero di Raimondo 
        Lullo, che Cusano conobbe forse già a Padova, o durante gli 
        studi con Eimerico da Campo: sicuramente nel 1428, a Parigi, meditò 
        a lungo sui manoscritti lulliani, da cui copiò e annotò 
        ampi estratti. Nella sua riflessione riprende anche temi della tradizione 
        platonica medievale, in particolare chartriana, 
        e della tradizione tedesca della mistica 
        speculativa.
 
 Opere. La sua 
        opera principale, La dotta ignoranza, scritta 
        nel 1440, contiene gli elementi fondamentali 
        del suo pensiero e costituisce uno dei grandi 
        classici della storia della filosofia occidentale; 
        insieme alla Apologia della dotta ignoranza 
        (scritta nel 1449 per rispondere ai numerosi 
        attacchi rivolti all’opera precedente), 
        e al trattato Sulle congetture (1441), presenta 
        elementi di originalità e di modernità 
        tali che Ernst Cassirer aprì con un’amplissima 
        analisi del pensiero cusaniano la sua Storia 
        del problema della conoscenza nel pensiero moderno 
        (nota col titolo di Storia della filosofia moderna). 
        Nei Dialoghi dell’idiota (1450), il tema 
        della dotta ignoranza risuona nella pagina d’apertura, 
        insieme a quello della ricerca 
        della sapienza. Alla Caccia della sapienza 
        è dedicata una delle opere più 
        tarde: il tema della caccia (venatio), che Lullo 
        aveva utilizzato nel titolo di alcune sue opere 
        logiche, ebbe notevole successo nel Rinascimento, 
        diventando per pensatori come Francesco Bacone 
        l’emblema della ricerca di una filosofia 
        innovativa. Più ‘medievali’ 
        nell’argomento, le opere cusaniane sulla 
        visione di Dio (De visione Dei, 1453; De non 
        aliud, 1462; De apice theoriae, 1464) devono 
        molto agli sviluppi che le tematiche della mistica 
        speculativa avevano conosciuto in area tedesca, 
        a partire da Eckhart. 
        Cusano scrisse inoltre un’opera di carattere 
        ecclesiologico (De concordantia catholica – 
        La concordanza universale, 1433, ove analizza 
        le dottrine conciliaristiche, 
        inserendosi nel dibattito aperto a Basilea), 
        un Esame critico del Corano (Cribratio Alcorani, 
        1461) e il trattato Sulla pace della fede (De 
        pace fidei, 1454), che segna il passaggio dal 
        dialogo fra religioni d’impostazione medievale 
        alla moderna ricerca filosofica della tolleranza.
 
 L’ignoranza sapiente. Il passo fondamentale 
        operato dal Cusano in ambito epistemologico esprime l’esigenza di 
        superamento della ragione discorsiva e il 
        riconoscimento del non-sapere, che permettono di andare oltre la dimensione 
        limitata del discorso e della dimostrazione per raggiungere quella intuitiva 
        della ‘mente’. Questa modalità di conoscenza permette 
        di cogliere la coincidenza di massimo e minimo nell’infinito, poiché 
        “in modo incomprensibile, al di sopra di ogni discorso razionale, 
        vediamo che il massimo assoluto è l’infinito cui nulla si 
        oppone e con il quale il minimo coincide”. Richiamando il tema 
        ermetico della sfera infinita, e articolandolo con gli enunciati della 
        teologia negativa, 
        la dotta ignoranza permette una nuova 
        dimostrazione dell’esistenza infinita di Dio, attuata attraverso 
        l’uso delle immagini matematiche perché “alle cose 
        divine si può accere solo per simboli” e fra questi i segni 
        matematici sono i “più convenienti, per la loro irrefragabile 
        certezza”. La metafora della conoscenza intesa come ‘docta 
        ignoranza’ è per Cusano l’immagine di un poligono che, 
        aumentando i lati all’infinito, cerca di adeguarsi al cerchio. Questa 
        valorizzazione del conoscere matematico, che opera una svolta fondamentale 
        nella concezione dell’infinito in ambito teologico, viene applicata 
        alla conoscenza della realtà sensibile nel De coniecturis (1441-1444), 
        mediante cui la mente umana, “forma congetturale del mondo, come 
        quella divina è forma reale” si serve del numero, ossia della 
        struttura che le è propria, conoscendo le cose “nel modo 
        stesso in cui Dio, mente infinita, comunica l’essere alle cose nel 
        Verbo a lui coeterno”. Il numero è l’esemplare (archetipo) 
        in cui la mente divina e quella umana convergono, ed è nel conoscere 
        basato sul numero –sul misurare– e sulle figure –la 
        raffigurazione geometrica- che la mente umana può comprendere la 
        dinamica ontologica della complicatio ed explicatio, ovvero del modo di 
        essere degli esseri nel principio divino e nella creazione.
 
 L’infinito non-altro. Questa innovativa 
        concezione epistemologica porta conseguenze metafisiche di amplissima 
        portata. La molteplicità degli enti reali è contenuta (‘complicata’) 
        nell’infinità di Dio che è il loro principio, sicché 
        le differenze e le opposizioni, che caratterizzano il mondo del molteplice 
        (‘explicatio’), sono in Dio come ‘coincidenza degli 
        opposti’. Fra Dio e il mondo si ha un rapporto di partecipazione, 
        ove la molteplicità del mondo si configura come immagine simbolica 
        dell’infinità divina: questa concezione, che richiama temi 
        neoplatonici e chartriani nonché la figura A della combinatoria 
        lulliana, permette di definire il mondo un ‘Dio creato’ (Deus 
        creatus), riecheggiando l’ermetico Asclepius; dalla mente umana 
        la coincidenza degli opposti è raggiungibile attraverso la meditazione 
        sul non-altro, descritta con toni che al nostro orecchio suonano quasi 
        zen . Sul piano cosmologico, il rapporto di reciproca implicazione fra 
        finito e infinito porta a rifiutare la cosmologia 
        aristotelica: il mondo è più descritto come una sfera 
        finita con al centro la terra, ma applicando ad esso l’immagine 
        della sfera infinita che l’ermetico Liber XXIV philosophorum aveva 
        utilizzato come definizione di Dio. In questo modo, prima di Copernico 
        (il cui De revolutionibus orbium caelestium apparirà nel 1494) 
        e per ragioni di ordine essenzialmente metafisico, Cusano scardina la 
        concezione tradizionale del mondo, aprendo la via all’ ‘infinito 
        universo e mondi’ di Giordano Bruno.
 
 La pace nella fede. 
        Sul piano etico-religioso, la coincidenza degli 
        opposti in Dio porta Cusano a concepire, sull’onda 
        dello sconvolgimento provocato nella cristianità 
        dalla caduta di Costantinopoli in mano ai Turchi 
        nel 1454, un progetto di ‘pace nella fede’ 
        basato sulla valorizzazione delle differenze 
        religiose che, pur mantenendo la forma del dialogo 
        medievale fra esponenti di ‘leggi’ 
        diverse, presenta due elementi innovativi: sul 
        piano puramente descrittivo, il Cusano non si 
        limita a dare una idea monolitica di ciascuna 
        delle tre religioni monoteistiche, ma ne prende 
        in considerazione le articolazioni interne, 
        nonché alcune forme di sincretismo filosofico-religioso, 
        attraverso i vari personaggi che partecipano 
        al discorso; sul piano dottrinale, va oltre 
        l’idea di un confronto mirante a stabilire 
        la superiorità di una religione e, come 
        a dare un contenuto positivo alla conclusione 
        del lulliano Libro del Gentile e dei tre Savi, 
        afferma che “non c’è che 
        una sola religione nella varietà dei 
        riti”, che “la loro (dei riti) stessa 
        varietà costituisce un incremento della 
        devozione”, e che l’unicità 
        dell’adorazione ricercata non deve corrispondere 
        ad altro che all’unicità del principio 
        divino, che con diversi riti e con diversi nomi 
        tutti ricercano, senza che nessuno dei riti 
        e dei nomi possa esaurirne l’infinità, 
        “non essendovi proporzione alcuna tra 
        il finito e l’infinito”. Si riconosce, 
        in questa argomentazione, l’idea di fondo 
        dell’epistemologia cusaniana; mentre nelle 
        parole con cui è presentato il 
        tema dell’Incarnazione ritroviamo 
        i temi del ‘massimo contratto’ elaborato 
        nel De docta ignorantia, nonché quello 
        dell’unione mistica. La centralità 
        della figura di Cristo viene dunque riproposta 
        (e come sarebbe stato possibile altrimenti, 
        nell’opera di un cardinale della chiesa 
        romana?), ma attraverso un’argomentazione 
        filosofica che lo presenta come simbolo estremo 
        dell’unione di finito e infinito, realizzabile 
        dall’uomo attraverso il “poter vedere” 
        della mente che supera il suo “poter comprendere” 
        e permette l’unione contemplativa col 
        “potere stesso” che è Dio.
 L’umanesimo del Cusano, la ‘modernità’ della 
        sua filosofia, hanno dunque radici in una lettura originale del problema 
        squisitamente medievale del rapporto fra Dio, il mondo e l’uomo: 
        lettura che si è nutrita di tutta la gamma possibile di elaborazioni 
        filosofiche dei secoli XII-XIII ed è maturata fuori dalle scuole, 
        nel contesto di un mondo scosso dai profondi mutamenti e dalle fratture 
        che avrebbero segnato l’età nuova. (MP)
 
 Bibliografia
 
 Edizioni
 Nicolai De Cusa Opera omnia, F. Meiner, Leipzig-Hamburg 1932 ss.
 
 Traduzioni italiane
 Opere religiose, a c. di P. Gaia, UTET, Torino 1971
 Opere filosofiche, a c. di G. Federici Vescovini, UTET, Torino 1972
 Scritti filosofici, testo latino e trad. it., a c. di G. Santinello, Zanichelli, 
        Bologna 1980
 De docta ignorantia, De coniecturis, testo latino e trad. it., a c. di 
        G. Santinello, Rusconi, Milano 1988
 Il Dio nascosto, a c. di L. Mannarino, Laterza, Bari 1995
 
 Studi
 E. Cassirer, Individuo e cosmo nella filosofia del Rinascimento, La Nuova 
        Italia, Firenze 1974 (ed. or.1927)
 Nicolò Cusano agli inizi del mondo moderno, Sansoni, Firenze 1970
 K. Flasch, Die Metaphysik des Einen bei Nikolaus von Kues, Brill, Leiden 
        1973
 Der Friede unter Religionen nach Nikolaus von Kues, “Mitteilungen 
        und Forschungsbeiträge der Cusanus-Gesellschaft” 16, M. Grünewald 
        Verlag, Mainz 1984
 G. Santinello, Introduzione a Nicola Cusano, Laterza, Bari 1987
 
 Risorse on-line
 http://www.nikolaus-von-kues.de/
 http://www.heiligenlexikon.de/index.htm?BiographienN/Nikolaus_von_Kues.html
 http://www.maasberg-therme.de/Cusanus.html
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