Dialogo fra religioni
Situazione storica.
La filosofia medievale si sviluppò in
un contesto geografico, il bacino mediterraneo
e l’Europa centrale, caratterizzato dalla
compresenza delle diverse religioni monoteistiche:
ebraismo, cristianesimo e, dal VII sec., islam.
Nei primi secoli dell’Alto Medioevo il
cristianesimo, erede della romanità occidentale
e religione ufficiale dell’impero d’Oriente,
si era diffuso nelle isole britanniche e nell’intera
Europa continentale, fino alle estreme regioni
nordiche, con la conversione dei sovrani e delle
popolazioni barbariche (Anglo-Sassoni, Visigoti,
Franchi ecc.). Le comunità ebraiche,
presenti in molte città mediterranee
a partire dalla diaspora, pur se usualmente
integrate nella vita economica conservavano
con cura la specificità della loro tradizione
religiosa e nei primi secoli medievali furono
oggetto di numerosi ‘incidenti’
connotati dal fattore religioso, per quanto
probabilmente motivati (anche) da problemi di
tipo economico e politico; una vera e propria
persecuzione ebbe inizio nella Spagna visigotica,
dopo la conversione al cattolicesimo del re
Recaredo (589); e diversi furono i tentativi
di conversione forzata: nel 576 a Clermont-Ferrand,
tra il 575 e il 581 a Uzès, nel 591 ad
Arles e Marsiglia, nel 632 a Bourges. Con la
formazione dell’Impero carolingio si completò
il processo di cristianizzazione dell’Europa,
quando già la prima fase di confronto
con l’Islam dopo la conquista della Spagna
(711-716) si era conclusa con la battaglia di
Poitiers (732), che bloccò l’ulteriore
avanzata degli Arabi a Occidente, mentre a Oriente
erano stati respinti dopo l’assedio di
Costantinopoli del 718. Il conflitto col mondo
islamico si riaprì nel XII secolo, con
l’inizio dell’età delle crociate,
e contemporaneamente gli episodi di antisemitismo
conobbero una recrudescenza, a partire dall’Europa
centrale. E tuttavia nella stessa epoca l’intensificarsi
degli scambi commerciali e dei contatti con
l’Oriente ebbe fra le sue conseguenze
l’apertura di nuovi canali di comunicazione
intellettuale col mondo islamico - venne
allora tradotto in latino anche il Corano; mentre
gli sviluppi culturali nelle comunità
ebraiche della regione catalana e occitanica
permisero i primi contatti con la tradizione
kabbalistica.
Ragione e diversità.
La societas christiana dovette dunque confrontarsi
per tutta l’età medievale con la
diversità religiosa al proprio interno
e ai propri confini; per molti secoli tuttavia
questa necessità non implicò l’uso
di argomentazioni di ragione. Il confronto intellettuale
con l’ebraismo avvenne nella forma dei
trattati polemici basati primariamente sulla
controversia interpretativa dell’Antico
Testamento, genere inaugurato da Isidoro di
Siviglia con il trattato Della fede cattolica
contro gli ebrei; mentre la chiusura geo-politica
nei confronti dell’Islam ebbe come effetto
il vuoto pressoché totale di scambi culturali
(anche se occorre ricordare che Gerberto d’Aurillac,
futuro papa Silvestro II, si recò in
Spagna nel X sec. per completare la propria
cultura scientifica e fu per questo sospettato
di magia). Ma l’intensificarsi
dei rapporti fra civiltà diverse, insieme
alla valorizzazione delle argomentazioni razionali
nell’ambito del discorso
teologico, portò ad un mutamento
in cui, significativamente, il primo episodio
fu la stesura di un testo di confronto fra ragione
e diversità religiosa ad opera del più
grande filosofo del XII sec., Abelardo.
Nel suo Dialogo tra un filosofo, un giudeo e
un cristiano, egli narra che in una visione
notturna gli sono apparsi i tre personaggi del
titolo, per chiedergli di fare da giudice nel
duplice confronto – da una parte fra le
due religioni (leggi) rivelate, e dall’altra
delle due religioni con la legge naturale di
cui è testimone il filosofo. La forma
del dialogo adottata sembra la più conveniente
alla volontà di un vero e proprio confronto
critico, che non si risolva nella disputa polemica
(altercatio); anche gli altri maggiori testi
medievali su questo tema sono del resto in forma
dialogica. La presenza del filosofo, inoltre,
sottolinea la volontà di adottare il
criterio della ragione per dirimere le questioni
affrontate: implica pertanto una precisa presa
di posizione rispetto all’uso della dialettica
e la ricerca di un metodo che permetta di riconoscere
la porzione di verità e l’insegnamento
positivo che si incontra in ogni ricerca razionale.
<testo 1> Le questioni affrontate nella
prima parte del dialogo (dove il filosofo discute
con il rappresentante della religione ebraica)
sono: la razionalità della legge mosaica,
il significato della circoncisione e della ricompensa
promessa al popolo eletto, i limiti della legge;
nella seconda parte il filosofo discute col
cristiano del rapporto fra autorità e
ragione, del sommo bene e delle virtù,
della natura del male. Il dialogo è interrotto,
privo di una conclusione; al di là delle
ipotesi legate alle circostanze della composizione,
il fatto che l’argomentazione non si chiuda
sottolinea il carattere non conclusivo, ma regolativo
e metodologico dell’uso della ratio nell’incontro
fra culture. Il mondo cristiano non fu l’unico
contesto in cui i medievali si posero il problema
del dialogo fra religioni diverse: una testimonianza
importante proveniente dal mondo ebraico è
il dialogo intitolato Kuzari, scritto da Giuda
Ha-Levi, un ebreo spagnolo quasi contemporaneo
di Abelardo (visse infatti fra il 1075 e il
1141), ove si mettono a confronto le ragioni
della fede cristiana, islamica ed ebraica, e
dove vengono affrontati il tema del sogno e
della profezia;
elementi interessanti di questo testo sono la
rivendicazione dell’origine semitica della
scienza e la sottolineatura del carattere storico
della religione ebraica.
L’arte della
conversione. Forma dialogica e funzione
regolativa della ragione caratterizzano anche
il Libro del Gentile e dei tre sapienti, scritto
da Raimondo
Lullo circa un secolo e mezzo dopo Abelardo
(1274-76). L’impostazione apologetica
della filosofia lulliana si esprime, in questo
testo fondamentale, nella sua forma più
chiara, mostrando la convinzione che sia possibile
usare la ragione per dimostrare le verità
delle fede, qualora ci sia accordo sui principi
razionali stessi. <testo 2> L’intera
opera filosofica di Lullo può essere
letta come sviluppo delle ‘rationes necessariae’che
dimostrano la verità della fede cristiana,
ma nel Libro del Gentile lo sbocco delle dimostrazioni,
articolate secondo lo schema dell’albero,
è assolutamente singolare: il Gentile
infatti, che i sapienti ebreo, cristiano e islamico
avevano cercato di convertire ciascuno alla
propria fede, per sollevarlo dalla disperazione
cui l’incredulità lo aveva condotto
al confronto col pensiero della morte, mostra
di essere stato convertito dalle loro argomentazioni,
ma non rivela a quale delle leggi abbia dato
la propria adesione. Il testo si conclude con
una splendida pagina, in cui il Gentile eleva
all’unico Dio una preghiera filosofica
<testo 3>, singolare esempio di un atteggiamento
che non possiamo definire anacronisticamente
nei termini della tolleranza,
ma che mostra l’utopia di un monoteismo
che, anziché fomentare conflitti fra
religioni, porti ad una convergenza nel riconoscimento
del principio trascendente. In questi termini
il progetto apologetico di Lullo (che doveva
essere, per lui, anche lo scopo delle imprese
crociate) va incontro alla medesima esigenza
espressa dal discorso di Tommaso
d’Aquino nella Somma contro i Gentili
a proposito della dimostrazione razionale dell’esistenza
di Dio attraverso le cinque prove. Entrambi
gli autori furono indotti ad utilizzare la ragione
come strumento di conversione dal progetto del
generale domenicano Raimondo di Peñafort
cui, in maniera molto più tradizionalmente
polemica, rispose anche Raimondo Martì
col suo Pugio fidei (Il pugnale della fede).
La differenza fra Lullo e Tommaso resta comunque
fondamentale, perché mentre per quest’ultimo
la ragione può portare solo fino ai ‘preamboli
della fede’ (cioè a riconoscerne
la ragionevolezza), e non tocca il mistero,
per Lullo la ragione è capace di per
sé di introdurre nell’ambito della
trascendenza. Al Libro del Gentile, così
come al resto dell’opera di Lullo, guardò
con interesse Nicola
Cusano, cui si deve il testo che conclude
la riflessione medievale sul confronto fra religioni
e, insieme, getta le basi per la moderna idea
di tolleranza: un dialogo anch’esso, Sulla
pace della fede (De pace fidei), scritto all’indomani
della presa di Costantinopoli da parte dell’esercito
ottomano (1454), in una data che, ancora ‘medievale’
dal punto di vista convenzionalmente cronologico,
segna però uno dei punti di svolta fra
il Medioevo e l’Età Moderna. Le
due idee centrali del testo del Cusano sono:
la coincidenza degli opposti nel Cristo, inteso
non tanto in senso storico-biblico ma come figura
teandrica che contiene il massimo ed il minimo
della realtà (il principio creatore e
il creato), e la convergenza di tutte le forme
di adorazione religiosa verso il principio unico
che tutte le trascende. <testo4 > La matrice
di queste concezioni è un’idea
di ragione non dissimile quella che si affaccia
nella preghiera del Gentile, anche se non identica
ad essa: la concezione della mente umana come
capax Dei, sviluppata a partire dalle concezioni
della mistica speculativa
tedesca e coerente con la concezione cusaniana
di fondo, che il finito può contenere
l’infinito. (MP)
Bibliografia
G. Dahan, La disputa antigiudaica nel medioevo
cristiano, ECIG, Genova 1993
Encuentro de culturas en la filosofia medieval,
Actas de V Congreso Internacional SIEPM, Editora
Nacional, Madrid 1977 (in special modo i contributi
di G.H. Allard, pp. 495-503; R. Arnaldez, pp.
521-531; E. Colomer, pp. 631-641, G.Dotto, pp.
663-669; J. Quillet, pp. 1139-51).
A. De Libera, Introduzione alla filosofia medievale,
Jaca Book, Milano 1995
A. Graboïs, Un chapitre de tolérance
intellectuelle au XIIe siècle: le Dialogus
de Pierre Abélard et le Kuzari d’Yéhudah
Halévi, in AA.VV: Pierre Abélard-Pierre
le Vénérable. Les courants philosophiques,
littéraires et artistiques en Occident
au milieu du XIIe siècle, Actes du Colloque
de Cluny 1972, CNRS, Paris 1973
W.A. Euler, Unitas et pax. Religionsvergleich
bei Raimundus Lullus und Nikolaus von Kues,
Würzburg-Altenberge 1990
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