Linea dorata

Magia

Tradizione e scienza. Nel mondo greco a partire dal V sec. la magia aveva indicato l’insieme di credenze e rituali propri dei sacerdoti zoroastriani della Persia, che si erano diffusi poi anche nel mondo romano, suscitando diffidenza e condanne, ma finendo per inserirsi in profondità nel tessuto sociale. La sopravvivenza delle antiche forme di divinazione, delle pratiche di guarigione e propiziatorie, degli incantesimi, nei primi secoli dell’età cristiana era stata duramente condannata da Agostino, che nella Città di Dio aveva identificato con i demoni le divinità dell’età pagana cui tali pratiche si riferivano. Ripetute condanne ecclesiastiche non riuscirono a sradicare le antiche credenze su cui si basavano i rituali magici, che si conservarono come pratiche diffuse presso il popolo, guardate con sospetto ma non ignorate dagli uomini di chiesa, che comunque non potevano dimenticare la stella di Betlemme e la presenza dei Re Magi nelle narrazioni evangeliche della nascita di Gesù. Come per molti altri campi del sapere, un buon punto d’osservazione per comprendere quale fosse il rapporto fra magia e filosofia nell’alto medioevo ci è fornito da Isidoro di Siviglia, che nelle Etimologie presenta le varie articolazioni della magia riferendosi ad autori classici e premurandosi di distinguere gli aspetti ammissibili e quelli nefandi delle arti magiche. Fra i primi elenca le forme di divinazione mediante gli elementi: geomanzia, idromanzia, aerimanzia e piromanzia (divinazione mediante la terra, l’acqua, l’aria, il fuoco), osservazione del volo e dei gridi degli uccelli, delle viscere di animali sacrificali, degli astri. Vediamo dunque che l’astrologia è, per Isidoro, una delle varie forme della divinazione e che le diverse forme di quest’ultima coprono l’intero campo della magia ammissibile. La magia operativa (per esempio gli incantesimi, basati sull’uso magico delle parole, e le legature, oggetti magici, spesso erbe o altre sostanze medicinali, legati al corpo del paziente) viene invece disapprovata come “arti demoniache, che provengono dal nefasto associarsi degli uomini con gli angeli malvagi” <testo 1>.

La magia nell’Islam. Lo stato della questione cambiò nettamente con l’ingresso dei nuovi testi tradotti nel XII secolo. Infatti nel mondo islamico la connessione fra saperi teorici e pratiche di trasformazione del mondo e il contatto con culture diverse, come quella harraniana, ove si erano sviluppati motivi orientali come l’adorazione degli dei astrali e in cui si erano diffusi testi e temi di origine ermetica (fra i quali la magia vera e propria e l’erboristeria magica erano prominenti), aveva favorito lo sviluppo dei vari rami della magia. L’episodio di Gerberto d’Aurillac, che nel X secolo era venuto in contatto con la cultura islamica in Spagna, ed era stato sospettato di aver appreso le arti magiche, è un indicatore preciso del fatto che il mondo latino riconosceva lo scarto fra la magia tradizionale di origine classica (peraltro non vanno dimenticate, nel più complessivo panorama europeo, la tradizione celtica e quella nordica, testimoniate dalla letteratura romanzesca e dalle saghe) e la magia islamica che si fondava su presupposti filosofici di ampia portata. Il contesto cosmologico e ontologico in cui la magia era collocata dai filosofi arabi, a partire dal De radiis di al-Kindi, la rende razionalmente comprensibile: l’intera realtà, infatti, viene concepita come un campo di forze in cui l’alto e il basso sono in relazione di ‘simpatia’che permette un agire reciproco e un’influenza dell’uno sull’altro, e l’uomo può introdursi in questo gioco attivando il proprio nucleo energetico in maniera da inserirsi con armoniosa potenza nel tessuto delle forze. L’idea centrale è quella di trasformazione, del soggetto (il mago) e del mondo, che si attivano reciprocamente, senza che vi sia separazione né confusione fra soggetto e oggetto; caratteristica incomprensibile nell’ottica dualista della ragione occidentale, che non riesce a concepire la magia se non nei termini di una caduta nell’irrazionale, nel migliore dei casi caratterizzandola in termini di ‘religione’ contrapposta alla ‘scienza’.

I filosofi di fronte alla magia. La considerazione della magia come pratica irrazionale caratteristica degli incolti, o al massimo come espressione della fantasia (i cicli di romanzi sono ricchi di episodi magici), non poteva reggere, evidentemente, di fronte all’ingresso nella cultura medievale di opere come il Libro dei segreti della creazione dell'arabo Balinas (pseudo-Apollonio), il De radiis del ‘filosofo degli arabi’al-Kind il Picatrix di al-Maghriti, tradotti a fianco delle opere di Avicenna e di Aristotele, di Albumasar e di Razi, di matematici e geografi. Fra gli autori del XII secolo, che per primi accolsero nella loro riflessione le nuove scienze arabe, gli scritti magici furono in gran parte attribuiti ad Ermete Trismegisto o a suoi ‘discepoli’: Ermanno di Carinzia parla di una scienza dei talismani di Iorma Babilonese, Daniele di Morley nomina la scienza delle immagini di Toz Greco. La diffusione e l’interesse per le opere magiche ed ermetiche incontrò però molto presto la diffidenza dei teologi, legata al giudizio di Agostino sul coinvolgimento diabolico nelle arti magiche, che nella letteratura apocalittica dell’Alto Medioevo erano considerate le arti dell’Anticristo. La posizione di Guglielmo d’Alvernia a questo riguardo è emblematica: egli mostra una vastissima conoscenza dei nuovi testi magici, in particolare del Picatrix e di quelli attribuiti ad Ermete, a Toz Greco e a Balenus (Balinas), ma al contempo ripropone con molta forza la condanna agostiniana. Il sospetto di commistione col diavolo (necromanzia) fu l’argomento principale dei teologi che si opponevano alla magia; sul fronte opposto, però, due pensatori del calibro di Alberto Magno e Ruggero Bacone proposero un’idea di ‘magia naturale’ che, basandosi sulla concezione unitaria e dinamica del cosmo espressa nell’astrologia, ammetteva la possibilità di attivare le ‘virtù occulte’ latenti nel mondo naturale, producendo effetti di magia operati esclusivamente nell’ambito della natura, senza intervento diabolico. Bacone sosteneva che l’uso della magia poteva rivelarsi un’arma risolutiva contro l’Anticristo (i Tartari di Gengis Khan, che a metà del XIII sec. si erano spinti fino all’Europa orientale, erano considerati il popolo dell’Anticristo contro cui il mondo cristiano doveva combattere alla fine dei tempi); nello Speculum Astronomiae, attribuito ad Alberto Magno, distinguendo le immagini magiche realizzate su base astrologica da quelle “di tipo abominevole, che richiedono incensi e preghiere … che impiegano come esorcismi i nomi di cinquantaquattro angeli … ma che forse sono piuttosto nomi di demoni”, si arriva a giustificare la conservazione e anche l’uso di questo tipo di magia come estremo rimedio contro un oscuro pericolo che minaccia la cristianità <testo2>. Nella Somma contro i Gentili Tommaso d’Aquino aveva esaminato accuratamente i vari tipi di azione magica, distinguendo quelle che potevano essere compiute per vie naturali (soprattutto ricorrendo alle influenze astrali) e quelle che implicavano il ricorso ai demoni <testo 3>.

Magia e stregoneria. La distinzione fra magia naturale e magia diabolica o necromantica non era però così netta come i difensori della magia naturale ritenevano; soprattutto in un contesto ove la separazione fra mondo fisico e mondo spirituale, natura e sovranatura, caratteristica della ragione scolastica, era ormai sostenuta da una impalcatura filosofica salda e coerente, le possibilità di agire sugli aspetti occulti della realtà (il regno dell’immaginazione e delle energie ‘sottili’) risultava sempre più sospetta, nonché aggravata dalla diffusa commistione fra magia colta e pratiche superstiziose. I teologi insistevano sui pericoli cui la pratica della magia esponeva: in ordine di gravità, si andava dalla semplice frivolezza, all’usurpazione dei misteri del creato, all’eresia. E’ difficile, forse impossibile, distinguere fra la condanna morale e teologica e i provvedimenti legislativi: già nell’alto medioevo erano presenti sanzioni legali contro la magia utilizzata per danneggiare il prossimo, e i manuali per confessori (penitenziali) contemplavano penitenze severe in simili casi; non si attribuiva però realtà alla stregoneria, intesa come commercio col diavolo. Negli ultimi secoli del medioevo il problema centrale diventò invece proprio il tipo di rapporto che le persone che si dedicavano alle pratiche magiche rischiavano di intrattenere, coscienti o no, col demonio: le formule magiche contenenti parole sconosciute erano, ad esempio, fortemente sospettate di essere invocazioni dei demoni, e l’uso di preghiere e invocazioni sacre era considerato un inganno del demonio. Nel Manuale dell’Inquisitore di Bernardo Gui (1262-1331), nel trattato Contro i necromanti (1399) dell’Inquisitore della Corona d’Aragona Nicola Eymerich e nel celeberrimo Martello delle streghe (Malleus Maleficarum), scritto nel 1487 da due teologi tedeschi, Heinrich Sprenger e Jacob Institoris la procedura argomentativa era, schematicamente, quella di ridurre ogni forma di magia (compresa la magia naturale) a magia demonica, e dunque ad eresia; non solo, ma l’eresia dei maghi poteva non essere espressa esplicitamente in un complesso di credenze, ma presentarsi come ‘eresia pratica’, implicita nelle azioni compiute. L’età rinascimentale conobbe così, accanto alla fioritura della magia naturale, i roghi su cui donne e uomini (più donne che uomini) venivano bruciati dopo essere stati giudicati colpevoli di stregoneria e, pertanto, eretici. (MP)

Bibliografia

R. Kieckhefer, La magia nel Medioevo, Laterza, Bari 1989
F. Cardini, Magia, stregoneria, superstizioni nell’Occidente medievale, La Nuova Italia, Firenze 1979
V. Perrone-Compagni, Picatrix Latinus. Concezioni filosofico-religiose e prassi magica, “Medioevo. Rivista di storia della filosofia medievale” 1 (1975)

Università di Siena - Facoltà di lettere e filosofia
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