Sabei di Harran
Antichi abitanti della città di Harran
(prima Kharan), in Mesopotamia, la cui identità
ha fatto discutere gli storici fino all’epoca
moderna. Il dibattito lascia tuttora incerte
molte questioni. Ad Harran confluirono, nel
corso di secoli, tradizioni differenti facendone
un centro di interessante sincretismo. Ai Sabei
il Corano si riferisce a più riprese;
essi vengono anche chiamati “gente del
Libro”. (testo 1) Chwolsohn, capostipite
degli studi moderni sui Sabei, ha identificato
i Sabei menzionati nel Corano con la setta gnostica
dei Mandei. La sua ipotesi è stata superata
dagli studi successivi.
Il paganesimo.
Eredi dello gnosticismo egiziano da un lato,
della tradizione astrologica babilonese dall’altro,
i Sabei furono conosciuti per una serie di culti
pagani, riti divinatori, pratiche sacrificali
(inclusi raccapriccianti sacrifici animali e
umani), cannibalistiche e orgiastiche, di cui
è difficile stabilire con certezza la
veridicità, in quanto riferiti dalla
eresiografia cristiana e musulmana. Con maggiore
attendibilità sono stati ricostruiti
i culti astrali che prevedono, tra le altre
cose, la venerazione degli idoli degli dèi
planetari, il festeggiamento dell’equinozio
d’autunno, invocazioni degli spiriti planetari,
pratiche teurgiche e di magia astrologica, orazioni
e sacrifici al dio Saturno e numerosi riti indirizzati
alla Luna, considerata il principale pianeta
e fonte di ispirazione. Le informazioni al riguardo
sono state raccolte da Green in un recente studio.
E’ possibile affermare che l’astrolatria
è il principale connotato dei Sabei.
Tuttavia essi condividono questo aspetto con
molti popoli della Mesopotamia, ed è
per questo che il biobibliografo Ibn al-Nadim
(X secolo) afferma che i Sabei hanno la stessa
dottrina dei Nabatei (popolo babilonese); il
teologo Sahrastani (XII secolo) colloca sotto
il nome Sabei gli adepti (Nabatei siriaci o
babilonesi, Bizantini, Persiani, Indù)
di diverse religioni astrologiche sorte dal
paganesimo antico e ancora vive al suo tempo
nei paesi islamici e ai loro confini; e lo storico
Ibn al-Ibri (XIII secolo) afferma che la religione
dei Sabei è essenzialmente identica a
quella degli antichi Caldei, depositari della
tradizione astrologica babilonese. L’ultimo
tempio pagano di Harran fu distrutto nel 1081,
quando la città venne occupata dalla
dinastia nomade dei Numairidi.
Il Neoplatonismo.
Secondo le testimonianze dello storico e geografo
al-Ma‘sudi (IX secolo), e dello storico
della medicina Abi Usaibi‘a (XIII secolo),
alla chiusura della scuola platonica di Atene
(nel 529 per ordine di Giustiniano), essa si
sarebbe trasferita prima ad Alessandria, poi
ad Antiochia e, infine, ad Harran. Tale ipotesi
viene avallata in epoca moderna da Meyerhof
e da Tardieu il quale ritiene che gli stessi
neoplatonici Damascio e Simplicio, esiliati,
si recarono ad Harran. Al-Ma‘sudi riferisce
di aver visitato personalmente Harran, e di
aver visto due inscrizioni platoniche in carattere
siriaco sulla porta di un luogo di riunione
dei Sabei (“Colui che conosce la sua natura
diventa Dio” e “L’uomo è
una pianta celeste con la radice rivolta verso
il cielo”). Egli testimonia, d’altra
parte, che Porfirio difendeva le credenze dei
Sabei. E’ al-Ma‘sudi la prima fonte
della distinzione tra i Sabei volgari, di discendenza
babilonese, pagani, che hanno nel Tempio il
loro luogo di riunione, e i Sabei colti, di
discendenza greca, neoplatonici, che hanno il
loro luogo di riunione nell’Accademia.
Questa distinzione è stata seguita in
epoca moderna da Hjarpe che, su questa base
interpretativa, ha considerato come uno scisma
il trasferimento di un gruppo di Sabei filosofi
nella città di Baghdad, nel IX secolo,
dove essi hanno messo a frutto le loro attitudini
filosofiche entrando in contatto con la tradizione
islamica. Tra questi spicca la figura dell’astronomo
e matematico Thabit ibn Qurra, autore, tra le
altre cose, di opere sui talismani tradotte
in latino nel XII secolo da Adelardo di
Bath. L’ipotesi di una divisione tra i
Sabei pagani e i Sabei filosofi è stata
poi rivisitata da Tardieu, che ha sottolineato
il debito e la dipendenza di un autore come
Thabit dalla stessa tradizione astrolatrica
di Harran. Possiamo dunque dire che i Sabei
sono anche filosofi, vicini alla tradizione
neoplatonica con cui condividono importanti
elementi dottrinali: unità e trascendenza
di Dio e Sua conoscenza per
viam negationis; gli astri
sono mediatori tra il Creatore e il creato (per
i Sabei la divinità suprema di pluralizza
in figure epifaniche, manifestazioni di natura
spirituale che la rivelano e fungono da intermediari
tra la Sua trascendenza e l’uomo: gli
angeli dei pianeti); esistenza di esseri spirituali
che abitano i pianeti; simpatia tra le diverse
parti dell’universo (principio che sta
a fondamento della magia
astrale); eternità
del mondo; dottrina della metempisicosi
e delle ricompense e castighi delle anime dopo
la morte.
L’Ermetismo.
Il califfo abbaside al-Ma’mun (IX secolo)
obbligò le popolazioni stanziate sul
territorio di dominazione islamica a scegliere
un profeta e un Libro rivelato cui ispirarsi,
in modo da professare una dottrina religiosa
e sfuggire all’accusa di ateismo. Fu così
che i Sabei di Harran si dichiararono seguaci
di Hermes (il profeta Idris menzionato nel Corano)
e dei suoi testi. Secondo la tradizione riportata
da Abi Usaibi‘a, Dio avrebbe rivelato
ad Hermes trenta pagine, ed è possibile
che i Sabei fossero a conoscenza di opere ermetiche.
Inoltre, vi sono testimonianze di una loro dedizione
ad altri personaggi ermetici: Asclepio, Agathodaimon
e Seth che essi identificano. Infine, vi sono
testimonianze di un loro abituale pellegrinaggio
alle piramidi d’Egitto, ove erano le tombe
di Hermes e Agathodaimon. Storicamente, Harran
è stato il principale centro di diffusione
della tradizione ermetica
e, viceversa, la tradizione ermetica il principale
canale di diffusione delle notizie sugli harraniani
nella tradizione islamica e latina.
Bibliografia
D. Chwolsohn, Die Ssabier und der Ssabismus,
St. Petersburg 1856.
T. Fahd, Sabi’a, in Encyclopédie
de l’Islam. Nouvelle édition, VIII,
Leiden-New York-Paris 1995, pp. 694-698.
T. M. Green, The City of the Moon God. Religious
Traditions of Harran, Leiden-New York-Koln 1992.
J. Hjarpe, Analyse critique des traditions arabes
sur les Sabéens Harraniens (Diss.), Uppsala
Universitet 1972.
M. Meyerhof, La fin de l’École
d’Alexandrie d’après quelques
auteurs arabes, in “Archeion”, 15
(1933), pp. 1-15.
M. Tardieu, Sabiens coraniques et Sabiens de
Harran, “Journal Asiatique”, 274
(1986), pp. 1-44.
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