Linea dorata

Mistica

Definizione. Mistica è il termine che indica l’unione con Dio ottenuta attraverso la rinuncia ad una comprensione astratta della Divinità e la ricerca di una via esperienziale, una via unitiva che implica l’abbandono di tutti quei contenuti determinati che impediscono la piena realizzazione dell’unio mystica. Mistica indica allo stesso tempo quella parte della teologia che attiene al ritorno dell’uomo a Dio, che può avvenire essenzialmente in due modi: 1. attraverso un percorso ascetico che implica l’abbandono della maggior parte delle esperienze sensibili e della riflessione razionale e filosofica e che ha come esito il raggiungimento di uno stato extra-razionale, o meglio supra rationem, in cui il mistico fa esperienza del «numinoso» attraverso ripetuti e altrettanto brevi episodi estatici; 2. attraverso un percorso di liberazione dai contenuti finiti, dalle briglie dell’individualità che ostacolano l’esperienza di Dio, nella ricerca di una purissima esperienza intellettuale della Divinità che implica una trasformazione della conoscenza e dell’intero essere umano, fino alla coincidenza con Dio stesso. Il secondo percorso mistico, che è possibile definire mistica speculativa, è animato da una profondissima unione intellettuale con Dio che, prolifica, implica l’invasione dell’anima dell’uomo, resa vuota dall’esercizio della vita filosofica come arma atta a purificare vita e conoscenza umane dalla materialità e dall’individualità, da parte della Divinità. Una delle caratteristiche principali della mistica medievale, soprattutto del periodo basso medievale, è quella di essere scandita nei gradi di un percorso che, al contrario della viva materia umana che lo affronta, sembra essere fondamentalmente statico. In realtà a questa rigidità si contrappongono, come vedremo, varie eccezioni e un tale modo di descrivere l’esperienza mistica deriva spesso dall’eccezionale difficoltà di saper parlare di un percorso identificabile quasi integralmente con una via misteriosa, come del resto l’etimologia stessa della parola rivela e che è definita ebbrezza, morte, pazzia, liquefazione etc.

Sviluppo fino al XII secolo. La via mistica, almeno fino al XII sec., ha come proprio fine il raggiungimento della contemplazione, o stato contemplativo, e quindi è un percorso ascensionale, affettivo (implicante cioè il desiderio, la volontà di raggiungere questo stato che si esplica anche nell’esercizio di certe pratiche ascetiche), e che tuttavia sembra raggiungere una stretta vicinanza a Dio, che conserva comunque una certa distanza: Dio è infatti raggiunto solo per estasi, cioè per uscita da se stessi, attraverso il rapimento mistico, ed è quindi sempre qualcosa di «esterno» a se stessi, in questo senso. L’estasi è temporanea e sembra un’esperienza non trasformatrice: è esperienza fugace del divino. La stessa parola contemplazione indica efficacemente la qualità di tale stato: il guardare faccia a faccia Dio da parte dell’uomo, sebbene da una distanza che tale rimane al momento del termine dell’esperienza estatica.
La linea mistica che segue la via dell’estasi, collegata all’esercizio della via unitiva dell’amore, si sviluppa a partire da Agostino e Dionigi, che insistono sulla necessità di conoscere Dio supra rationem, abbandonando cioè l’idea della mistica orientale di un’ascesa che conduca alla divinizzazione dell’anima, praticando la via estatica dell’amore, che spesso implica la compartecipazione del proprio essere con quello di Dio: significa essere ciò che Dio è, ma non significa essere Dio. Nel caso dello Pseudo Dionigi la cosa si delinea in modo diverso: l’esito della teologia negativa dionisiana è il silentium, conclusione esoterica, misteriosa, della theologia mystica. Nell’ultimo capitolo del De mystica theologia <testo 1> Dionigi, attraverso negazioni e negazioni delle negazioni, secondo le movenze della teologia negativa, pone in luce l’ineffabilità divina: Dio trascende ogni affermazione ed ogni negazione umana.
La mistica cisterciense dà nuova vita alla mistica occidentale e, facendo propri elementi del neoplatonismo cristiano uniti all’idea di una possibile ascesa, pone al centro della riflessione teologica il destino dell’anima. Bernardo di Chiaravalle delinea il destino dell’anima come un perfezionamento del «dovere di amare Dio» e dei gradi dell’amore, una mistica del bacio e dell’abbraccio, del sapor (sapientia deriverebbe appunto da sapor), una mistica affettiva che si nasconde dietro i veli del linguaggio del Cantico dei Cantici, che interpretato allegoricamente cela dietro le movenze di un rapporto d’amore fra uomo e donna il rapporto fra Dio e la sua sposa, l’anima del contemplativo. L’obiettivo finale del cammino spirituale dell’uomo sulla terra è la preparazione all’unione completa con Dio. L’uomo è stato creato ad imago et similitudo Dei e, nonostante che per il peccato originale abbia persa l’originaria similitudo Dei, ancora mantiene intatta l’impronta del Creatore, l’imago Dei, che gli assicura la possibilità del ritorno a Dio, del ripristino della similitudo. Nel caso di Guglielmo di Saint-Thierry, che C. Leonardi ha definito il teologo della divinizzazione, il percorso mistico giunge infine all’unitas spiritus, ovvero insieme atto unico di intelligenza e amore, spinta dell’intellectus amoris, che congiunge nello Spirito Santo Dio-Amore e l’uomo spirituale, che ha depositato nel cuore il mezzo stesso della sua unione, l’amore. Per Guglielmo l’amore è in fondo purissima conoscenza intellettuale che unisce l’uomo a Dio.

La mistica vittorina. Un primo tentativo di dar vita ad un’elaborazione mistica speculativa, che troverà piena realizzazione però solo tra la fine del Duecento e l’inizio del Trecento, è quello dei Vittorini, Ugo e Riccardo di San Vittore. In particolare Riccardo dà vita ad una interessante sintesi fra teologia e mistica, specialmente nelle sue due opere De praeparatione animi ad contemplationem (Beniamin minor) e De gratia contemplationis (Beniamin maior), in cui i gradi dell’ascesa dell’anima a Dio sono distinti per qualità che attengono alla capacità intellettuale dell’anima umana, nella ricerca dello sprofondamento nella conoscenza di se stessi: alcuni implicano la dilatatio della mente (cioè l’espandersi e l’acuirsi delle sue capacità) senza trascendere i limiti umani; altri la sublevatio della mente (l’irradiazione della luce divina che spinge la mente a trascendere i limiti umani); l’alienatio della mente da essa stessa, con il conseguente abbandono della memoria di tutte le cose presenti e il raggiungimento di uno stato che non ha più niente di umano. La prima qualità implica la sola attività umana, la terza la sola grazia divina, la seconda entrambe. Nell’alienatio, in cui si verifica l’excessus mentis, l’essere umano contempla il lume della sapienza divina direttamente, non per speculum et enigmate, e questa estasi ha luogo solo per dono della grazia.
Anche per Ugo la scansione della via mistica è triplice: pensiero e scienza (cogitatio), determinato dalla presenza nell’anima di una cosa in forma di immagine; meditazione (meditatio), una sorta di penetrazione razionale del mistero, lo sforzo di penetrare ciò che è nascosto; contemplazione (contemplatio), che può rivolgersi alle creature o al Creatore e si delinea come uno sprofondamento nell’abisso dell’anima che garantisce una visione compiuta di Dio. La triplice scansione proposta in modi appena diversi dai Vittorini ci introduce allo sviluppo della mistica nel XIII secolo.

Il XIII secolo. Nella seconda metà del Duecento la mistica occidentale ha ormai interiorizzato le tematiche della mistica cisterciense e vittorina e giunge ad una sintesi e ad una svolta innovativa con la mistica di Bonaventura da Bagnoregio. Il Doctor seraphicus si trova sul monte de La Verna, il 3 ottobre del 1259, e ripensando all’episodio delle stimmate di san Francesco, ritorna alla sua mente il Serafino in forma di Crocefisso che con la sua azione trasferisce le stimmate sul corpo del santo. Bonaventura, ispirato da questo pensiero, decide di scrivere un’opera mistica che renda conto del percorso della mens, intesa come quella parte spirituale dell’uomo coincidente con l’anima, percorso a Dio, nella pace. Il titolo dell’opera è appunto Itinerarium mentis in Deum, e descrive un percorso di ascesa mistica verso la pienezza della vita interiore, scandito in sei gradi, come il numero delle ali del Serafino, e contemporaneamente basato sulla triplice scansione, al pari di Ugo di San Vittore, dei tre occhi o facoltà della mente umana: il primo occhio è rivolto alle cose esterne ed è la sensibilità; il secondo è lo spirito, rivolto a se stesso; l’ultimo, rivolto al disopra di sé, è la mente. L’itinerario parte dalle cose sensibili e giunge a Dio: così è accessibile a tutti gli esseri umani. I sei gradi dell’Itinerarium sono raggruppabili due a due: i primi due riguardano la sensibilità e la ricerca di Dio nel mondo sensibile; il terzo e quarto riguardano la ricerca di Dio nelle potenze dell’anima, che il teologo francescano, seguendo il cisterciense Isacco della Stella, ritiene siano sei: il senso, l’immaginazione, la ragione, l’intelletto, l’intelligenza, l’apex mentis o scintilla della sinderesi; il quinto e il sesto sono dedicati alla contemplazione di Dio, che è al tempo stesso Essere e Bene. In tal modo Bonaventura fonde l’esperienza ascetica monastica con l’esperienza mistica dei Cisterciensi e quella teologica e mistica dei Vittorini, inserendo nel suo percorso la mistica dionisiana (l’excessus mentis è descritto con le parole di Dionigi). Partendo dal vestigium l’itinerarium si conclude con una sorta di trascendenza radicale rispetto alle cose e a se stessi. Il passaggio per la trascendenza radicale rispetto al mondo e a se stessi è Cristo, porta fra l’umanità e Dio.

Angela da Foligno. Sulla via della Croce, lungo il cammino della sapienza mistica, si pone anche Angela da Foligno (1248?-1309), dal quarto in poi dei sette passi più elevati verso Dio. Nel settimo passo le ripetute visioni rivelano alla mistica come il percorso precedente, che aveva condotto Angela all’esperienza della tenebra <testo 2>, è in realtà luminoso e si esplica nel rapimento nella non tenebra <testo 3>. È da notare come la dinamica tenebre-luce sia la stessa rintracciabile nella dinamica via negationis-via eminentiae del sistema della teologia negativa e che l’amore sia in ultima istanza ciò che uccide l’io della mistica e le permette di compiere l’ultimo passo del percorso mistico. Pur senza la sistematicità della teologia mistica, senza la scansione di un Itinerarium in cui è ricercato il rigore e l’ordine, è proprio all’apice tenebroso di Bonaventura che sembra di poter pensare a proposito della tenebra e della non-tenebra angelane.

Sviluppi della mistica fra Due e Trecento: la mistica speculativa. La differenza fondamentale nell’ambito mistico non è da ravvisarsi principalmente o soltanto nella distinzione fra teologia mistica e mistica femminile, quanto piuttosto nell’acuirsi della distanza fra mistica affettiva e mistica speculativa. Al centro delle due correnti mistiche è sempre l’amore e l’esperienza limite dell’unio, ma nel caso della mistica speculativa l’unio comporta una trasformazione antropologica, gnoseologica ed esperienziale definitiva, radicale e duratura. Nel caso della mistica speculativa Dio è qualcosa che invade il fondo dell’anima, come ha detto Meister Eckhart, quasi per necessità di colmare i vuoti del tutto, quasi per necessità fisica. Non esiste più volontà, non esiste più un io che partecipa ad un’ascesa. L’ascesa non può che condurre all’abisso, anzi, come efficacemente afferma Margherita Porete, un abisso inabissato senza fondo.
Nell’ambito della mistica speculativa, specialmente quella renana, grande importanza è assegnata all’intelletto, all’abditum mentis, alla possibilità del ritorno, questa volta sottolineato con forti elementi di carattere neoplatonico. La coincidenza dell’intelletto agente con l’abditum mentis era già stata rilevata in ambito filosofico e teologico da Teodorico di Freiberg, ma in ambito mistico è ancora più sottolineata: nella riflessione eckhartiana attraverso l’intelletto, l’uomo riceve nel “fondo dell’anima senza fondo” (Grund und Abgrund) Dio. Dio può penetrare il fondo dell’anima senza mediazione, solo attraverso un massimo di coincidenza fra l’Anima e Dio. Il fondo dell’anima è quel luogo che la creatura non tocca: è l’essere dell’anima distinto dalle sue potenze. La creatura può entrare nelle potenze dell’anima al fine di produrre immagini, ed è chiaro, quindi, che per permettere la nascita del Figlio nel fondo dell’anima, nel luogo che è proprio dell’unità divina, è necessario che la creatura si liberi della propria creaturalità e liberi le potenze dell’anima dalla produzione delle immagini, per diventare uno con Dio e in Dio. La mistica speculativa segue a tale scopo la via negationis: la teologia negativa conduce sulla via del Nulla, sulla via della negatio negationis e dell’esercizio della filosofia come mezzo per liberarsi di tutti quei contenuti finiti e della volontà che ostacola la nascita del Figlio nell’anima. È proprio questa la differenza fondamentale fra la mistica speculativa e la mistica affettiva della tradizione precedente: la fine della dinamica solo ascendente del desiderio e dell’affetto, dell’adesione completa alla propria individualità, dello sforzo. L’abbandono della volontà propria e dell’affetto sono il momento fondamentale e la chiave di volta per gettare il discrimine fra le due esperienze mistiche. Senza cadere in facili generalizzazioni è possibile dire che in ultima istanza la mistica occidentale approda attraverso le vie della teologia apofatica e della ricerca di Dio, a liberarsi dalla ricerca, a liberarsi dalla partecipazione a questo percorso, e in ultima istanza dall’idea stessa di Dio. Alla fine la teologia negativa approda alle forme della negatio negationis, esito finale di una via che porta Dio stesso a coincidere con il Nulla, al pari della creatura, che lo è per natura. È nel nulla che l’anima viene invasa da Dio.
Margherita Porete, che probabilmente è stata ispiratrice dell’opera eckhartiana, rende conto forse ancor meglio, seppure in modo non sistematico, del passaggio dalla mistica affettiva a quella speculativa. Nel suo caso infatti si tratta di un percorso d’Amore ascendente fino al quarto stato o modo d’essere, discendente dal quarto in poi. Per Margherita lo spirito della creatura, con l’affetto, il timore, il desiderio, la volontà, deve morire: la morte dello spirito è il preludio alla vita divina. Margherita propone un perfezionamento delle Virtù, della contemplazione, delle buone opere etc., che poi alla fine richiede un abbandono di tutti questi elementi che implicano l’individualità dell’essere umano.

Trecento e Quattrocento. Fra i personaggi più noti della mistica tardo trecentesca ed esponente di una mistica del desiderio e dell’unione con Cristo, si colloca Caterina da Siena (1347-1380): la tensione ad unirsi con lo Sposo è per Caterina anche tendenza a riformare la Chiesa e a favorire il ritorno del papa a Roma. Gli sviluppi ulteriori della mistica speculativa possono essere rintracciati nella mistica di area renana e fiamminga: Enrico Suso e Giovanni Ruusbroec sono i due esponenti di spicco di questo orientamento che accoglie ed elabora l’esperienza mistica delle grandi beghine, come Hadewijch d’Anversa o la stessa Margherita Porete. Nei Paesi Bassi si sviluppa un movimento mistico che è chiamato Devotio moderna, che si diffonde a partire dalla cerchia di Geert Groote (1340-1384) fino in Germania, Francia, Italia e alla Spagna. La linea dominante di quella che forse più che una mistica può essere definita una forma di spiritualità, è bene espressa dal De imitatione Christi di Tommaso di Kempis. La Devotio moderna va nella direzione di una profonda meditazione edificante, in cui l’imitatio Christi è la via principale per il raggiungimento dell’intimità con Dio, ottenuta anche grazie alla lettura personale e meditativa delle Sacre Scritture. (EC)

Bibliografia

Traduzioni
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