Linea dorata

Vita filosofica

L'ideale della teoresi. Nel corso del XIII secolo gli statuti delle nascenti università sancirono nell’articolazione delle facoltà l’istituzionalizzazione del corso di arti, che accoglieva gli studenti giovanissimi e li preparava prima della successiva specializzazione in teologia, diritto e medicina. Fu proprio alla facoltà di arti che l’ideale filosofico proposto da Aristotele nell’Etica a Nicomaco fece il suo ingresso, conquistando le aspirazioni dei docenti che acquistarono progressivamente la consapevolezza del loro ruolo e desideravano il riconoscimento dell’autonomia della disciplina. Aristotele aveva infatti spiegato come per l’essere umano fosse raggiungibile una felicità tutta terrena tramite l’esercizio della sua facoltà più peculiare, ovvero l’intelletto: coltivare la conoscenza corrisponde quindi all’essenza dell’umanità, unica e suprema realizzazione per la nostra specie. Di questa posizione si fecero portavoce dei maestri di arti, per lo più identificati con esponenti dell’averroismo, Sigieri di Brabante e Boezio di Dacia. Il primo ribadiva l’esigenza naturalmente insita nell’uomo di appagare il desiderio di conoscenza (dall’incipit della Metafisica aristotelica: “Omnes homines naturaliter scire desiderant.”). Se per comprendere l’ideale etico di Sigieri abbiamo a disposizione solo alcuni riferimenti contenuti nelle sue opere principali, il De summo bono di Boezio di Dacia rappresenta forse, insieme ad alcuni commenti anonimi all’Etica uno dei più alti momenti di celebrazione di questa morale intellettualistica.

Il confronto con l'etica cristiana. Il contrasto con la dottrina cristiana era inevitabile: pur senza rinnegare in alcun modo la loro fede in un Dio trascendente, unica fonte di verità e di vita, e meta finale degli affanni umani, il modello etico proposto dai giovani artisti concedeva all’essere umano la possibilità di raggiungere una felicità tutta terrena che niente aveva a che fare con la beatitudine eterna, concessa solo dopo la morte ed in virtù della grazia divina all’uomo e alla donna che si fossero distinti per la fede e il retto operare. Nella prospettiva del credente, quindi, non è la sete di conoscenza a rappresentare la più alta espressione dell’umanità, quanto il pio desiderio di sottomettersi alla legge divina; la condanna del 1277 mirava a colpire proprio l’intellettualismo etico propugnato dai filosofi e ristabilire l’ordine di priorità stabilito dalla dottrina cristiana.
Tra i teologi che attaccarono duramente la nuova filosofia, Bonaventura pose in evidenza la distanza tra l’ideale filosofico pagano e quello cristiano, ricordando il ruolo determinante della Rivelazione, che sola indica la strada per il raggiungimento della beatitudine (Bonaventura, Collationes in Exaemeron, VII, 2-3, da Ricerca della felicità e piaceri dell’intelletto, p. 28, testo indicato alla nota 30); diverso è l’atteggiamento di Alberto Magno, che pur sottolineando l’estraneità del pagano rispetto al messaggio cristiano di salvezza, riconosce la limitatezza del punto di vista di Aristotele e di chi, da filosofo, non può spingersi oltre. Questo limite, invalicabile per la ragione, non indica un errore, ma solo una parzialità di vedute.

La felicità mentale. Se, nonostante la censura, l’idea aristotelica di una felicità tutta terrena, consistente nell’esercizio delle facoltà speculative umane, ebbe Parigi come centro di propulsione, essa conobbe un’ampia circolazione in Italia, particolarmente a Bologna; tra i maestri italiani, Giacomo da Pistoia, attento lettore dell’operetta di Boezio di Dacia, compose un trattato De summa felicitate, dedicandolo all’amico Guido Cavalcanti, che, come testimoniano alcune sue composizioni poetiche e come ci ricorda il Boccaccio in una sua celebre novella, era sensibilmente attratto dalle nuove idee filosofiche. Anche Dante nelle sue opere esalta a più riprese il ruolo della filosofia nella vita umana e l’amore per il sapere come unica via per la realizzazione della specie umanità; in particolare il Convivio riecheggia tracce dei dibattiti svoltisi nelle università sul tema della felicità come fine della vita filosofica. (inserire testo, Dante, Convivio, IV, XXII, 10-13, da Ricerca della felicità e piaceri dell’intelletto, p. 36-7; e Dante, Convivio, III, XV, 4-5, da Ricerca della felicità e piaceri dell’intelletto, p. 39).(PB)

Bibliografia

Traduzioni
Boezio di Dacia, Giacomo da Pistoia, Ricerca della felicità e piaceri dell’intelletto, a cura di F. Bottin, Firenze, Nardini editore 1989

Studi
Maria Corti, La felicità mentale. Nuove prospettive per Cavalcanti e Dante, Torino 1983
Idem, Scritti su Cavalcanti e Dante. La felicità mentale. Percorsi dell'invenzione e altri saggi, Torino, Einaudi, 2003
Ruedi Imbach, Dante, la filosofia e i laici, Genova-Milano, Marietti, 2003


Risorse on-line
sito del convegno SISPM settembre 2003


 

Università di Siena - Facoltà di lettere e filosofia
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