Sigieri di Brabante Vita e opere. Vissuto tra il 1240 ca. e il 1284, fu magister artium a Parigi tra il 1266 e il 1276, quando venne denunciato per eresia. Nella Divina Commedia è lo stesso Tommaso d’Aquino a presentare a Dante Sigieri, riconoscendone l’autorità di filosofo: "luce etterna di Sigieri, che, leggendo nel Vico degli Strami, sillogizzò invidiosi veri". Fu autore di vari commenti ad Aristotele e di diverse raccolte di questioni; in particolare si ricordano le Questiones logicales, quelle sulla Fisica, sulla Metafisica, sul De anima, sul Liber de causis. Oltre a commentare opere di Aristotele scrisse anche trattati: De necessitate et contingentia causarum, De aeternitate mundi, De intellectu e De felicitate (di questi ultimi due si ha notizia da Agostino Nifo tramite ampie citazioni nelle sue opere). L'insegnamento di Sigieri è programmaticamente racchiuso in quest'affermazione: "Coloro che intraprendono l'esposizione delle opere di Aristotele non ne debbono nascondere il pensiero anche se contrario alla verità." Contingenza e necessità nel dibattito sull’eternità del mondo. Sigieri sostiene una necessità causale assoluta fra la prima causa e il suo effetto, da cui discende la tesi dell'eternità del mondo e della specie umana, causati dal movimento eterno delle sfere celesti che, ripetendosi in un grande ciclo cosmico, fa sì che "le cose che furono ritornano nella stessa specie secondo un processo circolare, e anche le dottrine, le leggi, le religioni e tutte le altre cose, in modo che le cose inferiori si svolgano circolarmente in dipendenza della circolazione delle cose superiori, benché di alcuni cicli si sia perduto il ricordo per la lontananza nel tempo". Per questo "tutto avviene di necessità", sebbene la volontà umana resti libera per l'indifferenza del giudizio della ragione, da cui dipende l'atto di scelta. La struttura della realtà è interpretata nei termini rigorosamente aristotelici di potenza e atto. La materia è principio d'individuazione e ad essa soltanto è dovuta l'introduzione di un elemento di contingenza, perché la materia può non essere disposta a ricevere le forme che necessariamente promanano dalla causa prima. L’unicità dell’intelletto e l’averroismo latino. La tesi che maggiormente caratterizza l'insegnamento di Sigieri è quella dell'unicità dell'intelletto possibile, che egli riprende dal commento di Averroè al De anima: “Ecco perché Averroè presenta questo argomento: se vi fossero tanti intelletti quanti singoli uomini, l’intelletto sarebbe una facoltà del corpo” (In III de anima, 9, 27 rr.52-54). In virtù di questa posizione egli è considerato, insieme a Boezio di Dacia, uno degli esponenti del cosiddetto “averroismo latino” (o “aristotelismo radicale”, o aristotelismo integrale”). Per salvaguardare la singolarità della coscienza individuale, Sigieri ricorre alla dottrina dell'anima "composta": le facoltà vegetativa e sensitiva dell'anima, che provengono dalla materia, si uniscono al principio intellettivo che viene da fuori, per cui l’anima non può esser detta semplice. La posizione di Sigieri è mitigata nel De anima intellectiva (1273-4), successivo al De unitate intellectus di Tommaso d’Aquino. In quest’opera il maestro brabantino distingue fra due tipi di forme, quelle materiali (che costituiscono il corpo e ne sono costituite: di questo tipo sono le facoltà vegetativa, sensitiva, cogitativa o immaginativa) e quelle che lo costituiscono senza esserne costituite: fra queste ultime rientrano i motori dei cieli e l'anima intellettiva dell'uomo, che è "forma sostanziale dell'uomo, che costituisce l'uomo nella specie, ma non è costituita dal corpo", e quindi non dipende da esso per la sua esistenza. L'intelletto si unisce infatti ad un corpo già informato dalla facoltà cogitativa (la più alta delle facoltà legate alla materia corporea): l'anima intellettiva che risulta da questa unione è sì individuale, ma composta da due "semianime", perché costituita dalla unione della facoltà cogitativa con l'intelletto. Nel faticoso tentativo di mediazione di Sigieri percepiamo il tentativo di venire incontro all'esigenza, espressa con vigore polemico da Tommaso d'Aquino, di non negare il carattere individuale della vita intellettiva, pur mantenendo il distacco dell'intelletto dal corpo: "la sostanza intellettiva, benché sia perfezione della materia, sussistendo in sé nel proprio essere non ha bisogno della materia." La felicità intellettuale. Da questa concezione dell’intelletto deriva una posizione etica che fa perno sull'idea di "felicità intellettuale" e che rifiuta di intendere alla lettera il sistema di pene e castighi corporali sostenuto dalla Chiesa cristiana. La felicità consiste, per Sigieri, nel congiungimento dell'intelletto con le intelligenze separate e con Dio; secondo tale accezione essa è raggiungibile in questo mondo, come risultato della "vita filosofica". (P.B.) Bibliografia Edizioni Studi |
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