Meister Eckhart
Vita e opere. Eckhart nacque in Turingia,
ad Hochheim, verso il 1260. Entrò molto presto come novizio nell’ordine
dei domenicani, presso Erfurt. Dal 1285 proseguì gli studi a Colonia,
allo Studium generale fondato da Alberto Magno.
A Parigi (1293-1294) divenne lector sententiarum (era cioè tenuto
a commentare le Sententiae di Pietro Lombardo).
Nel quinquennio 1294-1298 fu prima priore di Erfurt e poi vicario generale
di Turingia. A questo periodo possiamo far risalire le Istruzioni spirituali
(Reden der Unterscheidung), il Tractatus super oratione dominica e la
Collatio in libros Sententiarum. Nel 1302-1303 Eckhart è di nuovo
a Parigi, con il titolo di magister sacrae theologiae, su iniziativa di
Bonifacio VIII; gli è inoltre affidata la cattedra dell’Università
assegnata agli stranieri, quale magister actu regens. A questi anni risalgono
le prime tre Quaestiones parisienses: Utrum in deo sit idem esse et intelligere;
Utrum intelligere angeli, ut dicit actionem, sit suum esse; Utrum laus
dei in patria sit nobilior eius dilectione in via. Eckhart è chiamato
a ricoprire la carica di provinciale di Sassonia (1303) e nel 1307 diviene
vicario generale di Boemia. La fama del magister domenicano è tale
che viene chiamato di nuovo a Parigi, allo Studium di Saint-Jacques (1311-1313).
A questo periodo sono da ascrivere probabilmente le altre due Quaestiones
parisienses: Utrum aliquem motum esse sine termino implicet contradictionem
e Utrum in corpore Christi morientis in cruce remanserint formae elementorum.
Allo stesso periodo si può far risalire il Liber benedictus (Libro
della consolazione divina) e il breve trattato Dell’uomo nobile.
Nel decennio 1313-1324 Eckhart è in Theutonia, precisamente a Strasburgo,
dove ricopre la carica di vicario generale del Maestro dell’Ordine,
avente giurisdizione sui monasteri femminili. Nell’ambiente renano
la predicazione del magister lascerà un’impronta indelebile.
Negli ultimi anni dirige l’insegnamento teologico dello Studium
di Colonia, e proprio in questo periodo Enrico di Virneburg apre nel 1326,
a carico di Eckhart, un processo per eresia. Il materiale dell’accusa
è principalmente fornito dalle opere che possono essere fatte risalire
a questo periodo, sia tedesche sia latine: l’Opus tripartitum che
doveva costituire l’opera di più ampio respiro del magister
domenicano e di cui sono perduti l’Opus propositionum e l’Opus
quaestionum mentre dell’Opus expositionum ci rimangono solo i Prologi
(In Genesim, In Exodum, In Ecclesiastici cap. XXIV, In Sapientiam, In
Iohannem) e i Sermoni latini. L’ultima fase del processo si svolge
dopo la morte di Eckhart (1328?) e termina con la Bolla In agro dominico
(1329) in cui vengono condannate quindici proposizioni del magister domenicano
e altre undici sono considerate sospette.
Eckhart filosofo e teologo. Il primo scritto
filosofico eckhartiano che ci è pervenuto sono le Quaestiones parisienses
(1302-1303). Nella prima
quaestio Eckhart pone il problema della coincidenza di essere e pensiero
in Dio, una questione molto dibattuta nell’ambito dell’Ordine
domenicano e che aveva ricevuto una risposta pienamente affermativa con
Alberto Magno e Tommaso. Anche Eckhart risponde
di sì; però con una peculiarità che stravolge il
valore della questione: infatti per il magister domenicano Dio è
soprattutto l’Uno, posto al di là di ogni possibile concezione
di ente, e per questo molto al di là dell’essere. Dio è
in primo luogo pensiero da cui scaturisce l’essere. Nella seconda
quaestio parigina si pone il problema della coincidenza del pensiero
dell’angelo, in quanto compie un’azione, con il suo essere.
La risposta è no, e il ragionamento seguito può essere così
delineato: l’universale non è un ente (infatti l’ente
è determinato, e dunque il genere, che è indeterminato,
non può essere un ente); pertanto il pensiero, da cui risulta l’universale,
non è un ente. L’intelletto e il pensare non sono dunque
un ente, bensì qualcosa in Dio, da cui ogni ente discende, e in
essi non si trova la determinazione essenziale di ente, e dunque l’ente
nella sua causa non è un ente. Infine, il nostro pensiero, che
è causato da un ente, tende al non-ente.
L’essere di Dio e il nulla dell’uomo.
Dopo il secondo soggiorno a Parigi (1311-1312) Eckhart mette mano a quella
che nelle sue intenzioni avrebbe dovuto essere la sua opera più
importante: l’Opus tripartitum. Il testo ha una struttura molto
interessante: nel primo libro (Opus propositionum) sono enunciate una
serie di tesi di carattere strettamente filosofico; nel secondo sono affrontate
diverse questioni (Opus quaestionum) , molte delle quali possono essere
fatte risalire alla Summa theologiae di Tommaso; nel terzo infine Eckhart
affronta i commenti (Opus expositionum) al Genesi, a Sapienza I e al Vangelo
di Giovanni, ricollegandosi alle discussioni filosofiche affrontate nei
primi due libri. Fondamentale, nell’Opus tripartitum, la discussione
della proposizione “se Dio è”. Dio
è l’essere e l’essere è Dio; se Dio non
fosse essere, dovrebbe trovare il proprio fondamento in qualcosa di esterno
e diverso a sé, cosa che non è possibile ammettere. Il nesso
fra Dio e le sue creature è paragonato a quello esistente fra materia
e forma, la parte e il tutto, la potenza e l’atto: Dio, secondo
un’immagine desunta dal Liber
XXIV philosophorum è la sfera infinita il cui centro è
dappertutto e la circonferenza in nessun luogo. Il magister domenicano
sottolinea come le cose e le creature siano solo in virtù della
partecipazione con Dio: in realtà solo Dio è, mentre tutto
ciò che esiste è nulla. Il processo della creazione, coincidente
con una progressiva moltiplicazione diviene, dunque, anche una separazione
e un depotenziamento della perfezione originaria. L’allontanamento
e il depotenziamento celano tuttavia anche la possibilità del ritorno
a Dio: sussiste, infatti, nell’uomo un’ombra della luce divina,
un sigillo, che l’uomo conserva e fa vivere nella partecipazione
della vita divina, dopo aver naturalmente constatato il nulla di tutto
ciò che esiste rispetto alla perfezione di Dio. Esiste infatti
nell’intelletto umano una “scintilla” dell’eterno
pensiero divino, che in virtù di un’illuminazione, conduce
a trascendere le facoltà della memoria, del giudizio e della volontà
e a permanere nell’unità divina. Tale processo di elevazione
all’Unità in Dio passa attraverso la coscienza da parte dell’anima
del proprio nulla rispetto al tutto della divinità e attraverso
la via negationis di tutti i contenuti finiti e limitanti, propria della
teologia negativa.
Per Eckhart la gerarchia è partecipazione e la filosofia mezzo
per liberarsi dalle scorie della finitezza e per intraprendere il processo
di elevazione alla massima partecipazione della divinità. Per questo
è possibile parlare di mistica
speculativa: il processo di unione con Dio è assolutamente
dipendente dal contemporaneo processo di eliminazione delle immagini,
strettamente dipendente dall’esercizio della vita
filosofica.
Eckhart mistico. La fama di Eckhart dipende
strettamente dai suoi scritti mistici, in particolare da quei trattati
e da quelle prediche in tedesco che danno voce a quei fermenti che animavano
la Germania meridionale e il mondo fiammingo. Generalmente la critica
tende a riconoscere alle opere mistiche eckhartiane un maggior valore
rispetto ai testi filosofico-teologici, perché frutto dell’illuminazione
e della maggiore vicinanza alle verità divine. In realtà,
se è vero che le opere e i trattati in lingua tedesca ebbero una
maggiore diffusione, esiste una certa coerenza fra i testi dell’Eckhart
filosofo e teologo e quelle del mistico, per quanto sia complesso ricostruirne
i nessi: la mistica speculativa è infatti inscindibile dall’aspetto
gnoseologico e da un esercizio dell’attività filosofica
come via al vuoto che automaticamente è riempito da Dio.
Alla metafisica eckhartiana, basata sull’unità divina, corrisponde
la dinamica del ritorno, consistente nell’uscita dalla molteplicità,
attraverso l’attuazione di una radicale povertà e umiltà,
che comprende anche la rinuncia alla vita spirituale, e la conquista da
parte dell’uomo dell’unità. Attraverso l’intelletto,
l’uomo riceve nel “fondo dell’anima senza fondo”
(Grund und Abgrund) Dio. Il
fondo dell’anima è la stanza segreta in cui solo Dio
può entrare, perché vi può accedere senza immagini
(cioè senza contenuti finiti) e senza mediazione . Il fondo dell’anima
è quel luogo che la creatura non tocca: è l’essere
dell’anima distinto dalle sue potenze. La creatura può entrare
nelle potenze dell’anima al fine di produrre immagini, ed è
chiaro, quindi, che per permettere la nascita del Figlio nel fondo dell’anima,
nel luogo che è proprio dell’unità divina, è
necessario che la creatura si liberi della propria creaturalità
e liberi le potenze dell’anima dalla produzione delle immagini,
per diventare uno con Dio e in Dio. È necessario, in ultima istanza,
che la creatura si liberi della propria immagine, dei propri contenuti
finiti e, paradossalmente, per essere Dio (non ciò che Dio è,
cosa che può essere ottenuta anche attraverso la perfezione spirituale
e l’imitatio Christi), cioè per deificarsi, anche di Dio
stesso, inteso come finitezza e anche come Dio declinato nei modi delle
Persone della Trinità. Dio deve essere sine modis, e nessuna immagine
creaturale gli può anche solo minimamente corrispondere. Per questo
l’uomo ha necessità di distaccarsi dalle opere, dai contenuti
finiti della conoscenza, da timore, desiderio e da tutte quelle attività
che generalmente fanno riferimento all’operatività della
volontà dell’individuo, che implica automaticamente la scoria
dell’individualità.
L’uomo nobile. La liberazione dalla
finitezza è ottenuta principalmente attraverso il distacco, inteso
come svuotamento dell’anima da tutti i contenuti che derivano dall’io,
cioè dall’attività della creatura, che in modo del
tutto illusorio può produrre alcunché di simile al divino,
dal momento che è un puro nulla, al confronto del tutto di Dio.
L’intelletto, secondo un’immagine neoplatonica, è il
tempio di Dio: esso è ciò che ha per oggetto l’Uno,
non la verità ed è teso sempre verso l’essere, non
verso il conoscere. L’uomo
nobile è colui che è uno e ha realizzato in sé
la staticità massimamente produttiva dell’Unità divina,
partecipando al grado supremo dell’assoluta unità di Dio.
Ciò significa uscire dalla molteplicità per risalire all’unità
e liberarsi dalla finitezza della realtà accolta nella sua apparente
costituzione. Essere privi della finitezza significa agire senza perché,
non volere nulla ed esaurire le proprie facoltà. L’unione
con Dio, il tema della deificatio, percorre tutta l’opera di Eckhart:
la sua è una mistica dell’unione; come afferma Vannini, una
mistica della “pienezza della vita”, dell’innalzamento
della creatura al suo stato di non creatura: il movimento dalla finitezza
all’assoluto, dalla molteplicità all’unità,
dal nulla al tutto. Tale movimento non è altro che un ritorno ad
uno stato precreaturale e adamitico che azzera la finitezza fino alla
nascita del Figlio nell’anima vuota. Questa assoluta libertà
e la noncuranza verso le opere esteriori (fra queste sono da annoverarsi
anche i comandamenti di Santa Chiesa), sono tematiche riscontrabili anche
nei seguaci del Libero Spirito
e nell’opera di Margherita Porete
che probabilmente è stata la principale fonte della mistica di
Meister Eckhart.(EC)
Bibliografia
Edizioni
Meister Eckhart, Deutsche Werke (voll. I, II, III, V), Josef Quint (ed.)
Stuttgart, Kohlhammer.
Meister Eckhart Lateinische Werke, Stuttgart, Kohlhammer.
Traduzioni
Meister Eckhart Commento all’Ecclesiastico, a cura di M. Vannini,
Firenze, Nardini 1990.
Meister Eckhart Commento alla Genesi, a cura di M. Vannini, Genova, Marietti,
1989.
Meister Eckhart I Sermoni latini, a cura di M. Vannini, Roma, Città
Nuova, 1989.
Meister Eckhart Il natale dell’anima, a cura di G. Faggin Vicenza,
La Locusta, 1976.
Meister Eckhart La nascita eterna (antologia) a cura di G. Faggin, Firenze,
Sansoni, 1974.
Meister Eckhart Opere tedesche, a cura di M. Vannini, Firenze, La Nuova
Italia, 1982.
Meister Eckhart Sermoni tedeschi, a cura di M. Vannini, Milano, Adelphi,
1985.
Meister Eckhart Trattati e prediche, a cura di G. Faggin, Milano, Rusconi,
1982.
Studi
Ambrosini, G. Negatività e proposta morale in Eckhart, Padova,
Liviana, 1980
Masini, F. Meister Eckhart e la mistica dell’immagine in Problemi
religiosi e filosofici, Padova, La Garangola, 1975, pp. 1-36
Ruh, K. Meister Eckhart, trad. it. di M. Vannini, Brescia, Morcelliana,
1989
Vannini, M. Meister Eckhart e il fondo dell’anima, Roma, Città
Nuova, 1991.
Risorse on-line
http://www.ccel.org/i/inge/light/light.htm
http://www.mythosandlogos.com/eckhart.html
http://www.iep.utm.edu/e/eckhart.htm
http://www.geocities.com/hckarlso/eckhart.htm
http://www.ccel.org/e/eckhart/sermons/htm/i.htm
http://www.ccel.org/e/eckhart/sermons/htm/i.htm
http://www.hinet.hr/kosta-krauth/topics/free_spirit.html
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