Alchimia
Alchimia e filosofia. L’alchimia
è un sapere teorico-pratico documentato da testi greci a partire
dall’età ellenistica, di cui la latinità classica
non ebbe conoscenza e che rimase ignoto in Occidente nell’Alto Medioevo,
ma fu invece noto a Bisanzio. I contenuti dottrinali dell’alchimia
erano nati nel contesto di pratiche di trasformazione dei metalli, miranti
ad ottenere un agente capace di perfezionare i metalli imperfetti con
cui veniva messo a contatto: questa finalità richiedeva, sul piano
filosofico, di sviluppare una nozione problematica nella filosofia antica,
quella della materia corporea e delle sue dinamiche; e inoltre chiamava
in causa l’idea di salvezza elaborata nelle religioni dell’epoca
ellenistica (cristianesimo, mitraismo ecc.) così come nella gnosi
e soprattutto nell’ermetismo, cui in
effetti la ricerca alchemica si collegò fin dall’inizio.
Le dottrine ermetiche, in particolare quella dell’Uno-Tutto e quella
secondo la quale non vi è distinzione fra i metalli e gli altri
corpi perché ‘il metallo è un vivente animato’,
posero le premesse per allargare all’intera realtà dei corpi
materiali le pratiche dell’alchimia originariamente limitate ai
metalli; mentre il modello alchemico della distillazione si riconosce
in aspetti fondamentali della cosmologia descritta nel Libro dei segreti
della creazione, uno dei più antichi testi dell’ermetismo
arabo, che si conclude con la celebre Tabula smaragdina <testo1>.
Questi aspetti si riflettono nel linguaggio alchemico, che sin dall’inizio
si caratterizza per la forte presenza di metafore e per il carattere spesso
volutamente oscuro e allusivo; ma quest’uso linguistico non deve
offuscare il contenuto di sperimentazione concreta e di riflessione filosofica
che è proprio dei testi alchemici sin dall’origine.
Alchimia araba. Sia la sperimentazione
pratica che l’elaborazione teorica ebbero un forte impulso nel mondo
islamico fin dall’VIII secolo, e poiché la presenza dell’alchimia
in India e in Cina è documentata a partire all’incirca dallo
stesso periodo, la possibilità e le eventuali modalità di
rapporto fra l’alchimia islamica e quella orientale sono state prese
in considerazione da diversi studiosi, per ora senza risultati acquisiti
in modo definitivo. L’alchimia di lingua araba non si limitò
a riprendere le pratiche metallurgiche dell’età ellenistica
ma, forte della base teorica fornita dalla dottrina ermetica, allargò
la ricerca alchemica alla struttura e alle trasformazioni di tutti i corpi
materiali, fino a prendere in considerazione l’origine stessa della
vita. L’idea di elixir, che nel suo stesso nome mostra la propria
origine araba (al-iksir), trasformò la nozione di ‘agente
della perfezione metallica’ in quella di ‘sostanza capace
di perfezionare qualsiasi tipo di corpo’, compresi i corpi umani.
I contributi più rilevanti sul piano filosofico riguardano la matrice
invisibile delle realtà visibili e la continuità fra materia
e spirito; la scienza detta della Bilancia, elaborata da una scuola alchemica
i cui testi sono attribuiti al fondatore Jabir, si fonda sul rapporto
fra linguaggio e realtà per indagare gli aspetti strutturali dei
corpi e definire le regole di trasformazione sulla base del significato
numerico delle lettere alfabetiche e dunque dei nomi <testo 2>;
nell’ambito delle ricerche di laboratorio, si devono segnalare i
tentativi di classificazione delle sostanze minerali e metalliche nei
testi alchemici di Razi, e l’introduzione di solventi e processi
sconosciuti all’alchimia greca. Sul versante opposto, testi costruiti
con linguaggio metaforico e densi di simboli vennero prodotti sia attribuendoli
ad autori antichi e autorevoli (Ermete, Platone, Aristotele) sia riferendoli
all’autore islamico vero e proprio, come la Tabula chemica di Ibn
Hamuel che i latini chiamarono Senior. Due testi di Avicenna,
la Epistola ad Hasen regem e lo Sciant artifices <testo 3> presentano
infine un’articolata indagine di ordine filosofico sulle condizioni
di pensabilità dell’elixir e della trasmutazione.
Alchimia latina. Il mondo occidentale ricevette
il sapere alchemico principalmente attraverso la traduzione di testi dall’arabo,
avvenuta nel contesto del movimento di traduzioni
filosofiche e scientifiche del XII secolo; nei secoli XIII e XIV la ricerca
alchemica destò l’interesse dei filosofi e medici, ma non
fu mai integrata nell’insegnamento universitario, a differenza della
medicina: l’esigenza di contatto con
la pratica e coi corpi, propria di entrambi questi saperi, era nell’alchimia
ancor più radicale e insopprimibile e la distanza delle dottrine
alchemiche dall’epistemologia aristotelica si manifestò con
forza crescente proprio in conseguenza dell’esame cui l’arte
della trasmutazione venne sottoposta. Nell’università si
sviluppò un dibattito (quaestio de alchimia) che, utilizzando la
forma questionativa, sottopose ad una verifica epistemologica l’alchimia;
sulla scorta dell’avicenniano Sciant artifices, che metteva in dubbio
la possibilità per l’artefice di trasformare le specie, da
una parte prese l’avvio la condanna degli alchimisti come falsari,
ma dall’altra si articolò un dibattito sul rapporto fra ‘arte’
e natura ben più ampio e spregiudicato di quanto non permettessero
gli apporti della filosofia aristotelica. Fra i primi a interessarsi all’alchimia
in Occidente vi furono filosofi della statura di Alberto
Magno e Ruggero Bacone:
il primo cercò nella vasta letteratura alchemica e nelle esperienze
pratiche elementi per completare il quadro della filosofia naturale aristotelica,
aggiungendo alla serie dei suoi commenti ad Aristotele un trattato sui
minerali (De mineralibus) <testo 4>; il secondo sviluppò
le implicazioni filosofiche e mediche della dottrina araba dell’elixir
e gettò le fondamenta per lo sviluppo dell’alchimia nel Trecento,
indicando nel farmaco alchemico il rimedio per prolungare la vita e ottenere
la perfetta salute. <testo 5>
Alchimia e medicina. Questo sviluppo fu
opera di alcuni autori di cui per lo più non conosciamo il nome;
le loro opere ci sono però note con attribuzioni pseudoepigrafe
a grandi figure della tradizione alchemica, ma anche filosofica e medica.
L’intero campo delle conoscenze alchemiche greco-arabe venne presentato
in un testo a carattere sistematico, la Summa perfectionis magisterii,
il cui autore fu un francescano italiano, Paolo da Taranto (XIII sec.),
che si firmò col nome del più celebre alchimista arabo,
Geber (Jabir); il carattere sistematico e la discussione sulla validità
dell’alchimia si riscontrano nell’opera del medico istriano
Pietro Bono (XIV sec.), Pretiosa margarita novella. Altri testi, attribuiti
a Raimondo Lullo (Testamentum,
Liber de secretis naturae seu de quinta essentia) e al celebre medico
che fu archiatra di Bonifacio VIII, il catalano Arnaldo da Villanova (Rosarius
philosophorum), testimoniano la diffusione dell’alchimia dell’elixir
all'inizio del Trecento. in ambienti medici e spirituali della Catalogna
e della Francia meridionale, da cui si sarebbe poi allargata a tutto il
resto d’Europa. L’ultima innovazione pratica e teorica dell’alchimia
medievale reca già nel nome l’impronta filosofica che la
caratterizza: a metà Trecento un francescano
spirituale, Giovanni da Rupescissa, elaborò un metodo di distillazione
del vino che secondo la sua interpretazione permetteva di estrarre la
‘quintessenza’, ovvero il principio sottile occulto nei corpi
materiali, che dimostra l’unitarietà di fondo sotto l’apparente
dualismo spirito-materia e mette a disposizione dell’artefice capace
di ottenerlo la materia vergine della creazione, medicina universale dei
corpi umani e non solo. <testo 6> Nella concezione della quintessenza
rupescissiana, che utilizzava il nome aristotelico della materia celeste
per indicare il nucleo generativo dell’intera realtà materiale,
culminò la ricerca alchemica medievale, che avrebbe aperto la strada
alla farmacologia paracelsiana e fornito materiali di riflessione alla
concezione rinascimentale del mondo. Da questi autori e da queste opere,
che divennero la spina dorsale della tradizione alchemica rinascimentale
e moderna, prese l’avvio una miriade di testi, molti dei quali appartenenti
a generi letterari non utilizzati in precedenza dagli alchimisti; e ben
presto, in conseguenza della delegittimazione epistemologica dell’alchimia
in ambito accademico e della sua diffusione negli ambienti più
diversi, si ebbe la fioritura di testi che utilizzavano un linguaggio
sempre più metaforico e poi di altri che gli affiancavano immagini
a forte valenza simbolica. Questi dispositivi avevano caratterizzato anche
ampi filoni dell’alchimia islamica, e divennero preponderanti nell’alchimia
tardo-medievale e rinascimentale. (MP)
Bibliografia
C. Crisciani-M. Pereira, L’arte del sole e della luna. Alchimia
e filosofia nel Medioevo, CISAM, Spoleto 1996 (con un’antologia
di testi)
B. Obrist, Art et nature dans l’alchimie médiévale,
“Revue d’histoire des sciences” 49 (1995)
Medicina e alchimia, a c. di C. Crisciani e A. Paravicini Bagliani, SISMEL
– Edizioni del Galluzzo, Firenze 2003
Risorse on-line
http://www.levity.com
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