Giovanni Wyclif
Vita e opere. Nato nei pressi di Richmond,
nello Yorkshire, prima del 1330, trascorse gran parte della sua vita ad
Oxford, dove studiò filosofia e teologia: membro del Merton College
nel 1356 e magister artium al Balliol College nel 1360, conseguì
il dottorato in teologia nel 1372. Divenuto uno dei più brillanti
professori di Oxford, entrò al servizio del governo. La sua intransigente
denuncia della corruzione della chiesa inglese indusse il duca di Lancaster
ad avvalersi della sua collaborazione per difendere i diritti della corona
sui beni ecclesiastici. Risalgono a questi anni alcuni dei suoi più
importanti scritti politici (De civili dominio, De ecclesia, de potestate
papae, De officio regis), come pure la prima condanna di alcune proposizioni
del De civili dominio comminata da Gregorio XI (1377). Riuscito a sfuggire
a questa e ad altre successive condanne grazie all’aiuto del duca
di Lancaster, dovette abbandonare l’università di Oxford
in seguito alla condanna da parte di una commissione di teologi delle
sue asserzioni sulla presenza contemporanea, nell’eucarestia, della
sostanza del pane e del corpo di Cristo (De eucharistia, De apostasia).
Sospettato di essere tra gli ispiratori della rivolta contadina del 1381,
trascorse gli ultimi anni della sua vita a Lutterworth, dove morì
nel 1384. Il suo corpo venne riesumato e bruciato in seguito alla condanna
pronunciata contro le sue dottrine dal Concilio di Costanza (1428).
Le due fasi della riflessione di Wyclif.
Sono chiaramente individuabili, nella riflessione di Wyclif, due versanti,
corrispondenti a una prima fase, dedicata alla produzione filosofica,
e una seconda, in cui prevale la tematica teologico-politica e politico-religiosa.
Caratterizzata da una progressione verso posizioni più eversive,
particolarmente sensibile negli anni successivi alla censura papale delle
proposizioni estratte dal De civili dominio (1377), la seconda fase ha
polarizzato l’attenzione degli studiosi, sebbene Wyclif stesso si
considerasse piuttosto un filosofo e un logico, e tale fosse considerato
dai suoi contemporanei e dalle generazioni immediatamente successive.
Una predilezione esclusiva per le tematiche teologiche di Wyclif rischia
di sottovalutare l’impatto che le sue teorie filosofiche hanno avuto
sul pensiero dei secoli XIV e XV e, in particolare, sulla genesi di nuove
forme di realismo tipiche
del tardo Medioevo. Non solo: tale orientamento rischia anche di compromettere
una corretta e completa comprensione delle teorie teologiche di Wyclif,
poiché queste trovano il loro fondamento nelle opzioni metafisiche
e nell’apparato logico utilizzato. È lo stesso Wyclif a dichiarare
che senza un’adeguata soluzione dei principali problemi filosofici
"non è possibile fornire una fondazione razionale rigorosa
della teologia, una corretta comprensione delle Sacre Scritture e una
sana e felice vita civile e religiosa”.
Filosofia e teologia. Che la riflessione
logica e metafisica di Wyclif costituisca il sostrato imprescindibile
per le opzioni teologiche da lui proposte è evidente, ad esempio,
nel caso di una questione centrale nel suo sistema teologico: la negazione
della possibilità dell’annihilatio, ossia della distruzione
totale di una creatura da parte di Dio, e il conseguente ridimensionamento
delle effettive capacità dell’onnipotenza
divina che essa comporta. Conformemente con l’indirizzo che
prevale nella tarda scolastica, Wyclif fa proprio l’orientamento
che mira ancora, come nei pensatori del XIII secolo, al raggiungimento
di un’unità del sapere basata su una logica comune a filosofia
e teologia. Ciò che distingue le istanze dei pensatori del ’300
da quelli del secolo precedente è la consapevolezza, giunta a maturazione
poco dopo l’interpretazione fornita da Tommaso
d’Aquino dei rapporti tra filosofia e teologia, che tale compito
non può essere assolto facendo ricorso unicamente alla filosofia
aristotelica. Il realismo costituisce, per Wyclif, una risposta a tale
esigenza, e ad esso egli perviene dopo un periodo di incertezza e, probabilmente,
di una qualche condivisione dell’approccio nominalista. Egli crede
nella realtà di concetti universali quali i concetti di genere
e specie, costitutivi delle sostanze individuali e non entità sussistenti
di per sé. La propensione per il realismo nasce dalla rigida applicazione
dell’isomorfismo di linguaggio e realtà: secondo tale teoria,
sulla quale Wyclif edifica il suo sistema filosofico-teologico, il pensiero
si conforma naturalmente al reale, in maniera tale da rendere possibile
la conoscenza di qualcosa nel mondo attraverso una considerazione dei
nostri concetti. La stessa convinzione era stata espressa da Egidio
Romano e da Tommaso d’Aquino, ai quali Wyclif fa riferimento
esplicito. Da essi, tuttavia, egli si distacca poiché ritiene che
il nostro sapere perderebbe in capacità esplicativa qualora si
parlasse, come i due maestri avevano fatto, di universali esistenti solo
in potenza nella realtà e in atto esclusivamente nel nostro intelletto.
Tale asserzione equivarrebbe ad ammettere che la nostra conoscenza non
verte sulla realtà, in quanto le essenze universali che ne sono
l’oggetto principale non sarebbero aspetti del reale. Filosofia
e teologia sono unificate da una medesima logica basata su una teoria
dell’identità che si applica in uguale modo sia alla sfera
umana che a quella divina: gli stessi schemi relazionali si ritrovano
in Dio e nelle creature, e tale convinzione conduce Wyclif ad ammettere
l’identità reale di essenza ed esistenza non solo in Dio,
ma anche nelle creature.
Il realismo e la teoria dell’esemplarismo
divino. L’opzione realista adottata da Wyclif gli consente
di riconoscere il carattere universale dell’essere individuale:
termini universali quali “uomo” o “animale” corrispondono
a qualcosa di reale, non denotando essenze mentali o logiche, come volevano
i nominalisti, né costruzioni grammaticali, come ritenevano i terministi.
Ogni ente, a qualunque grado dell’essere appartenga, ha prima un’esistenza
mentale o intenzionale in Dio. Gli esemplari eterni che la mente divina
ha di tutti gli esseri sono oltre i gradi dell’essere, ossia oltre
l’essere eterno intelligibile in Dio e gli altri gradi, che, in
un ordine che ne evidenzia la progressione, sono i seguenti: l’essere
essenziale o universale creato, suddiviso in cause più o meno universali
di esseri particolari; gli esseri individuali come esistono attualmente,
suscettibili di venire all’esistenza o di cessare di esistere; le
proprietà accidentali, non essenziali, che le sostanze individuali
hanno. Tali teorie non costituiscono, di per sé, un apporto del
tutto originale. Ciò che assegna alla riflessione di Wyclif il
suo carattere peculiare è piuttosto la particolare versione che
egli fornisce della teoria agostiniana dell’esemplarismo divino:
egli salda le idee eterne di tutti gli esseri possibili presenti nella
mente divina con gli attributi divini di necessità ed eternità,
che appartengono alla sua essenza. Tali premesse, unite alla convinzione
dell’unità indissolubile che lega i gradi dell’essere,
tutti aventi il proprio essere intelligibile in Dio, comportano una conseguenza
decisiva e significativa del modo in cui Wyclif concepisce l’onnipotenza
divina. Alla domanda “potrebbe Dio distruggere totalmente una creatura?”,
la risposta di Wyclif è negativa: Dio è eterno e, come tale,
non può cessare di essere, dunque neanche l’essenza intelligibile
di qualcosa può cessare di essere, poiché è parte
della sua essenza. Non distinguendo le idee dai principi costitutivi dell’essenza
divina, Wyclif estende anche ad esse la necessità assoluta che
è propria di quest’ultima. Posta questa condizione preliminare,
e posto che le idee rappresentano il primo livello d’essere delle
cose, “nessuna creatura può essere annichilata (cioè
distrutta totalmente, secondo i suoi vari modi d’essere) senza distruggere
anche l’archetipo nella mente divina che ne è alla base –
cosa ovviamente impossibile, perché implicherebbe un mutamento
in Dio stesso. Dall’altra parte, dal momento che tutte le idee sono
necessariamente modelli (exemplaria) delle cose che Dio ha prodotto e
produrrà, e non alcune soltanto, cioè quelle che la volontà
divina ha liberamente scelto di realizzare, ne segue che tutto ciò
che è esistito, esiste ed esisterà è necessariamente,
poiché Dio non poteva non volerlo – giacché Egli vuole
necessariamente se stesso, e perciò vuole necessariamente le idee,
che sono i principi costitutivi della sua essenza, e quindi le singole
creature, di cui le idee sono le cause necessarie” (A. Conti).
L’ecclesiologia. Così inteso,
l’esemplarismo proposto da Wyclif comporta una conseguenza di notevole
portata per quel che attiene all’ecclesiologia: la concezione delle
connessioni esistenti tra le idee presenti nella mente divina e i diversi
gradi dell’essere induce Wyclif ad asserire che la Chiesa deve essere
considerata non solo nelle sue effettive realizzazioni storiche, ma anche
nell’essenza in cui Dio l’ha eternamente concepita. La distinzione
tra quanti saranno dannati e quanti premiati nell’aldilà
non è riferita, come per Agostino, solo al mondo ultraterreno:
essa è, per Wyclif, onnipresente ed eterna, poiché lo stato
di elezione o di dannazione di ciascuno non è soggetto a mutamento.
La Chiesa è pertanto, poste tali premesse, la congregatio praedestinatorum,
ossia l’insieme degli eletti. Quanti la compongono sono tenuti assieme
dalla grazia della predestinazione, che rimane inalterata in eterno e
che conferisce loro l’immunità dalla conseguenze del peccato,
persino da quello mortale. Essa non è, pertanto, un’entità
fisica, poiché è là dove sono gli eletti, siano essi
in questo mondo o nell’aldilà. Non solo: il suo essere intelligibile
è, come per ogni essere, in Dio, ragion per cui essa esisteva già
prima dell’Incarnazione. L’appartenenza di ciascuno alla comunità
degli eletti o dei dannati è, dunque, irrevocabile. Le conseguenze
di tale convinzione per l’intermediazione della gerarchia sacerdotale
sono di grande portata: non è possibile comprendere, in questo
mondo, chi appartenga alla congregatio praedestinatorum e chi alla comunità
dei dannati. Salvo nel caso di una rivelazione particolare, tale appartenenza
resta per gli uomini un mistero: se è così, l’intermediazione
sacerdotale e sacramentale non hanno alcun valore. Tale conclusione, tuttavia,
rigorosamente deducibile dalle premesse logiche e metafisiche di Wyclif,
non è ribadita in tutta la sua nettezza là dove l’analisi
verte sulle questioni ecclesiologiche e sulle conseguenti concrete rivendicazioni
riformatrici. Il violento attacco alla chiesa storica, corrotta e identificabile
con l’Anticristo, poiché non agisce in conformità
con gli insegnamenti traditi nella Scrittura, non è coerente con
l’assunto, deducibile da quanto detto finora, secondo cui i dannati,
come gli eletti, non sono riconoscibili. Allo stesso modo, Wyclif non
trae dalle sue premesse logico-metafisiche le conseguenze deducibili là
dove si sofferma su ruolo e finalità dell’intermediazione
sacerdotale e sacramentale, né è disposto a sottoscrivere
che quanti agiscono contrariamente ai precetti divini non vengano puniti
perché l’appartenenza a uno dei due ordini, dei dannati o
degli eletti, è insondabile. Con ogni probabilità, l’esigenza
di tradurre in progetto concreto di riforma le idee dedotte dalla riflessione
teologica ed ecclesiologica ha indotto Wyclif ad attuare alcune modifiche
che ne consentissero una più immediata applicabilità. Ad
esempio, per rendere politicamente praticabile la sua idea della congregatio
praedestinatorum, Wyclif introduce l’idea secondo cui la condotta
morale è segno dell’appartenenza o meno alla vera Chiesa.
La teoria del dominio. Il suo attacco alle
istituzioni ecclesiastiche si avvale, come strumento privilegiato, di
una teoria del dominio che sancisce un’incompatibilità fondamentale
tra clero e dominio: il papa e i prelati possono usufruire, a puro titolo
di elemosina da parte dei signori civili, dei beni, purché non
ne detengano il dominio. L’appello per una chiesa povera si salda,
nella proposta di Wyclif, alla richiesta di una sua sottomissione al potere
civile: quest’ultimo è incompatibile con la dignità
papale, come dimostra in maniera inequivocabile la vicenda terrena di
Cristo. La condizione di povertà che Wyclif ritiene si addica alla
Chiesa si identifica con una mancanza di autonomo diritto al dominio sulle
cose e sugli uomini e con una dipendenza, indispensabile per la sua sussistenza,
dal potere civile. I beni della Chiesa sono concepiti, da Wyclif, come
possesso in comune di tutta la comunità cristiana, affidata da
Dio alle cure del sovrano secolare. Il rifiuto del principio dell’inseparabilità
del dominio di una cosa dal suo uso e la convinzione secondo cui la vera
povertà evangelica consiste in una condizione interiore inducono
al riconoscimento della necessità di escludere i ministri spirituali
da ogni responsabilità di governo.
Wyclif e Marsilio da Padova. Le analogie
con quanto teorizzato da Marsilio da Padova
sono notevoli: come Marsilio, Wyclif traccia una netta linea di demarcazione
tra gli ambiti di competenza del clero e dei governanti secolari, sostenendo
con fermezza che ogni attribuzione al pontefice di una giurisdizione civile
universale e suprema, così come ogni sua intromissione nelle questioni
di pertinenza dell’autorità civile, sono inconciliabili con
la testimonianza della pagina sacra. L’esempio di Cristo, che si
sottrasse ad ogni potere mondano ed insegnò ad suoi discepoli a
comportarsi in modo analogo, è, secondo i due pensatori, un argomento
cogente contro ogni pretesa ierocratica:
i membri del clero non possono legittimamente avocare a sé alcuna
autorità coercitiva; ad essi compete esclusivamente il compito
di insegnare ai fedeli la via da percorrere per giungere alla salvezza
eterna. Ancora: sia Marsilio che Wyclif concordano nel riservare esclusivamente
il monopolio della vis coactiva a chi detiene la suprema autorità
temporale, prevedendo la possibilità che quest’ultima la
conferisca, in casi particolari, agli esponenti del clero, ferma restando
la possibilità di revocare tale conferimento. Esemplificativa,
a tal proposito, è la posizione che entrambi assumono in merito
alla scomunica, che entrambi ritengono prerogativa dell’autorità
civile, lasciando al clero solo il compito di notificare al popolo tale
provvedimento. Infine: come Marsilio, anche Wyclif è disposto a
ripensare alcune sue tesi concernenti la genesi dell’autorità
coercitiva pur di contrapporre all’assolutismo papale un potere
secolare sufficientemente solido; se, infatti, Wyclif assegna un dominio
realmente fondato soltanto a chi si trova in uno stato di grazia, fornendo,
stavolta, una legittimazione del potere diversa da quella proposta dal
padovano, egli è disposto a rinunciare a tale convinzione, assegnando
un ruolo sempre più determinante al consenso dei sudditi nell’attribuzione
delle responsabilità di governo e nella valutazione dell’operato
di chi ne è investito. Assai diversa è, invece, le motivazioni
che inducono i due autori alle asserzioni su menzionate: i governanti
secolari detengono il monopolio della potestas coactiva; non solo: ad
essi è riconosciuto anche un importante ruolo spirituale e un ruolo
di sorveglianza del clero, conformemente ad un modello di regalità
veterotestamentaria. Le ragioni sottese a tale riconoscimento sono, però,
diverse. Per Marsilio esso consegue alla riduzione della pars sacerdotalis
a mera istituzione politica; per Wyclif esso scaturisce da una visione
profondamente unitaria della società umana e delle sue finalità:
il regnum non è infatti, per Wyclif, una struttura con caratteristiche
e finalità unicamente mondane, ma una comunità politico-religiosa,
composta da chierici e laici, il cui sovrano, immagine di Dio in terra,
ha il dovere di governare secondo le indicazioni presenti nella Scrittura.
Vicino all’immagine del re-sacerdote vetero-testamentario, il sovrano
è il solo a detenere legittimamente l’autorità coercitiva,
e di essa deve avvalersi per realizzare un ordine coerente con gli insegnamenti
della Scrittura, mantenerlo e avviare il processo di rigenerazione spirituale.
Un riassetto istituzionale è, ai suoi occhi, condizione necessaria
perché la Chiesa possa essere ricondotta alla purezza originaria.
Wyclif riformatore. Condizione fondamentale
per attuare un ordine della comunità politica conforme ai dettami
della Sacra Scrittura è sottrarre ogni possesso a quei ministri
spirituali che ne risultino indegni. Tale convinzione, che trova una giustificazione
teorica nella teoria del dominio e nel principio dell’assoluta condizionalità
delle dotazioni ecclesiastiche, assume toni sempre più intransigenti,
sino a trasformarsi, negli ultimi scritti di Wyclif, nell’idea che
l’esercizio di qualsiasi dominio civile da parte del clero costituisca
un’anomalia che non può essere tollerata. Il clero, così
come chiunque voglia vivere in maniera autentica il messaggio evangelico,
deve rinunciare a qualunque possesso civile, accontentandosi del semplice
uso di beni sui quali ciascuno ha solo un dominio spirituale, dominio
comune a tutti i cristiani che si trovano in uno stato di grazia. La proposta
riformatrice propugnata da Wyclif si scontrò contro gli interessi
della corona e della grande aristocrazia, che ritennero più conveniente
seguire la strada del compromesso e della trattativa anziché denunciare
e porre rimedio alla corruzione delle gerarchie ecclesiastiche. È
a questo punto che Wyclif comprese quanto fosse inderogabile permettere
a tutti la comprensione della Parola di Dio, fornendo a ciascun fedele
la possibilità di rendersi conto di quanto il comportamento degli
ecclesiastici discordasse dai dettami della Scrittura: la traduzione della
Bibbia in volgare e la formazione di un gruppo di predicatori itineranti
avrebbero consentito (questa l’aspettativa di Wyclif) di preparare
ed attuare una nuova era, rendendo possibile un ritorno alla chiesa delle
origini. La sua opera riformatrice ebbe in un primo momento grande adesione
e popolarità, in particolare in concomitanza con il Grande Scisma
(1378); successivamente andò attenuandosi, sino a ridursi all’azione
di un riformatore quasi isolato alla guida di una minoranza. Di grande
impatto fu la sua opera sulla riflessione e l’azione di altri riformatori,
in particolare Giovanni Hus e Girolamo
da Praga. (LL)
Bibliografia
Edizioni
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London 1966
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a cura di M. Fumagalli Beonio Brocchieri, Milano, Unicopli 1998, pp. 64-70,
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di John Wyclif, in John Wyclif. Logica, politica, teologia. Atti del Convegno
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Brocchieri e S. Simonetta, Sismel, Edizioni del Galluzzo 2003, pp. 71-85
Risorse on-line
http://plato.stanford.edu/entries/wyclif/
http://www.bible-researcher.com/wyclif.html
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http://www.fordham.edu/halsall/source/wyclif-euch.html
http://mahan.wonkwang.ac.kr/link/med/heresy/lollards/lollards.htm
http://www.georgetown.edu/departments/medieval/wyclif/work1/pg01.html
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