Marsilio da Padova
Vita e opere. Nato a Padova tra il 1284
e il 1287 e morto a Monaco di Baviera nel 1343, al servizio di Matteo
Visconti e di Cangrande della Scala tra il 1315 e il 1320, intraprende
poi, senza concluderli, gli studi di teologia, e successivamente si dedica
allo studio e alla pratica della medicina. Nel giugno del 1324 conclude
la composizione del Defensor pacis, opera per la quale condivide la responsabilità
ideologica, se anche non compositiva, con Giovanni
di Jandun. La censura che colpisce l’opera, la scomunica e le
condanne comminate dal pontefice Giovanni XXII nel 1327 accomunano i due
maestri, contribuendo a diffondere l’immagine di Marsilio averroista
e del Defensor pacis come l’opera in cui trovano espressione i principi
del cosiddetto averroismo politico. Entrambi trovano rifugio presso la
corte di Ludovico il Bavaro, che seguiranno anche in Italia nel 1327.
Il sodalizio filosofico dei due maestri è ulteriormente avvalorato
dall’affinità riscontrabile tra le Quaestiones in Metaphysicam
di Giovanni e un commento per questioni ai libri I-VI Metafisica aristotelica
(cod. Fesulano 161 della Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze) attribuito
a Marsilio, che è forse una seconda redazione, abbreviata, del
commento di Giovanni. Negli ultimi anni della sua vita (probabilmente
tra il 1340 e il 1342) Marsilio compone il Defensor minor, in cui riprende
e sviluppa temi presenti nel Defensor pacis, manifestando alcuni punti
di dissenso nei confronti di autori a lui contemporanei, tra i quali,
probabilmente, Guglielmo d’Ockham.
Il Defensor pacis. La condanna comminata
da Giovanni XXII nei confronti di Marsilio e si appunta in particolare
su 5 proposizioni presenti nel Defensor pacis considerate eretiche: 1)
Cristo era obbligato a pagare il tributo a Cesare; 2) non lasciò
un capo nella Chiesa, e Pietro non aveva più autorità degli
altri apostoli; 3) tutti i sacerdoti hanno uguale autorità e giurisdizione;
4) spetta all’imperatore eleggere e destituire il papa; 5) la Chiesa
non può stabilire sanzioni per nessuno, tranne che per delega imperiale.
A tali conclusioni Marsilio era pervenuto al termine di un’ampia
e sistematica riflessione sull’origine, la struttura e la finalità
di ogni forma di aggregazione politica, tesa ad individuare le cause delle
discordie civili e i loro rimedi. L’analisi si sviluppa in tre discorsi
(dictiones): la prima ha un’impostazione teorica ed è elaborata
secondo il metodo scientifico
aristotelico, richiamandosi ai principi non solo della
politica, ma anche della fisica;
la seconda è dedicata all’esposizione delle tesi che, presenti
nella Scrittura o nella tradizione esegetica, convalidano quanto dimostrato
nella dictio precedente; la terza è un riepilogo degli scopi e
delle conclusioni raggiunte nelle due sezioni precedenti. L’opera
si propone di individuare la causa della discordia civile, che già
turba alcuni regni e comunità e che minaccia di colpire tutte le
altre comunità politiche, poiché impedisce il libero e pieno
esercizio dell’azione propria del governante, causa efficiente e
conservante di tutti i vantaggi civili e della pace. Prerequisito essenziale
per l’esistenza e il buon funzionamento della civitas è l’esistenza
di un principio ordinatore supremo che fondi e regoli le singole parti,
funzioni o uffici della civitas, delimitando il campo di ciascuno, in
maniera tale da evitare ingerenze reciproche o prevaricazioni. Ognuna
delle parti che compongono lo stato ha, nell’ottica scientifica
di Marsilio, la sua ragion d’essere in vista del fine per cui la
civitas è stata istituita. Il funzionamento dell’insieme
è paragonabile a quello dell’organismo umano: come il corpo
è composto da parti il cui sviluppo dev’essere proporzionato
per non dar luogo a squilibri, “anche la città è composta
da parti, di cui spesso qualcuna cresce di nascosto, come la moltitudine
dei poveri in democrazia e il sacerdozio nella legge dei cristiani”.
La riflessione ecclesiologico-politica.
La determinazione del ruolo svolto dalla
gerarchia sacerdotale nell’ambito della
civitas e dei compiti che essa può legittimamente
svolgere costituisce uno dei punti cruciali
del Defensor pacis, per risolvere il quale Marsilio
non può basarsi unicamente su quanto
desumibile della Politica di Aristotele, per
cui il sacerdozio era una sorta di magistratura
civile deputata esclusivamente a ordinare i
riti di una religione. Marsilio rileva che sulla
necessità del sacerdozio non vi è
consenso unanime, perché essa non è
dimostrabile con argomenti certi e inoppugnabili,
in quanto rimanda a un ordine della realtà
in cui vigono leggi diverse da quelle che regolano
la comunità civile. Secondo la Politica
aristotelica (VII.6) ciascuna delle parti che
costituiscono lo stato, (gli agricoltori, gli
artigiani, l’esercito, la parte finanziaria,
quella sacerdotale, quella giudiziaria o deliberativa)
fornisce un contributo necessario per l’attuazione
del fine della comunità politica: il
vivere e il bene vivere. La necessità
del sacerdozio, tuttavia, non è dimostrabile
in maniera inoppugnabile né si è
posta come verità
evidente. Senza dubbio esso ha una sua funzione,
poiché fornisce un contributo indiretto
ma fondamentale alla sopravvivenza e al buon
funzionamento dello stato: attraverso le prescrizioni
morali, i precetti divini contribuiscono in
maniera determinante alla salvaguardia della
tranquillitas e della pax dello stato, legittimando,
in tal modo, l’indubbia utilità
di quanti sono preposti alla loro diffusione
ed interpretazione. Consapevoli di ciò,
afferma Marsilio esplicitando una convinzione
che diverrà poi tipica della letteratura
libertina,
i filosofi antichi, pur non credendo all’esistenza
di una vita ultraterrena, finsero e persuasero
che quella esistesse, per l’utilità
che sarebbe derivata alla comunità politica
da
tale asserzione. La religione assume in
tal modo una valenza esclusivamente politica,
rivestendo peraltro, come tale, un ruolo di
importanza fondamentale perché la civitas
possa attuare il fine per cui è stata
istituita e permanere il più a lungo
possibile in condizioni di pace. Marsilio precisa
chiaramente il compito legittimo della gerarchia
sacerdotale: la spiegazione dei praecepta e
dei consilia divini affidati al testo sacro,
l’insegnamento agli uomini di ciò
che è necessario credere e operare per
giungere alla salvezza eterna, la somministrazione
dei sacramenti. Tale compito, tuttavia, non
gode di uno statuto particolare rispetto a quelli
svolti dalle altre parti della civitas, ragion
per cui qualunque asserzione di superiorità
del gruppo sociale che ad esso è preposto
e, di per sé, infondata. La gerarchia
sacerdotale induce gli uomini a credere e ad
operare in vista della realizzazione di un ordine
che è altro rispetto all’ordinamento
politico: nel primo vige la giustizia divina,
nel secondo le leggi civili; tra l’una
e le altre sussiste una distinzione che esclude,
se rettamente intesa ed osservata, qualsiasi
possibilità di interferenza. Marsilio
mostra di condividere, asserendo ciò,
una delle convinzioni prevalenti nell’orientamento
filosofico-teologico del Trecento: l’idea
della distinzione tra la filosofia, che studia
il mondo naturale e la vita terrena, e la teologia,
che indaga la realtà dal punto di vista
sovrannaturale, permanente e divino. Contraria
al tentativo di sintesi proposto da Tommaso
d’Aquino, tale distinzione rivendica
per ciascun ambito un metodo d’indagine
proprio, una propria logica, e, conseguentemente,
una competenza professionale specifica.
Legge divina e legge
umana. Una analoga distinzione si ha
fra le leggi e dei precetti contenuti nel testo
sacro, e le leggi civili. L’osservanza
delle leggi sacre non è imposta dall’auctoritas
che, nella comunità politica, detiene
la potestas coactiva. La legge
civile è invece un’ordinanza
fatta intorno alle cose giuste o vantaggiose
che ha forza coattiva; essa consta di un elemento
formale (la vis obligandi, che le deriva dalla
sanzione dell’autorità politica),
e di un elemento materiale (il suo contenuto).
Le leggi che devono essere perseguite se si
vuole garantire la salvaguardia e il buon funzionamento
dell’ordinamento politico, precisa Marsilio,
sono le norme giuridiche caratterizzate da un
contenuto giusto e vantaggioso per la comunità
politica. La riflessione giuridica
marsiliana si colloca dunque su uno sfondo etico,
anche se si accompagna alla constatazione che,
ove esistano leggi non caratterizzate in maniera
etica, esse sono ugualmente valide (aspetto
che si avvicina al positivismo giuridico). E’
infatti la sanzione dell’autorità
politica che assicura la legittimità
della norma; di conseguenza viene negata la
validità della pretesa dei pontefici
di avocare a sé la plenitudo
potestatis, che li legittimerebbe ad attribuirsi
la giurisdizione spirituale e temporale nei
confronti di governanti ed individui e ad intervenire
nelle vicende delle comunità politiche.
Tale pretesa è frutto di un’esegesi
arbitraria del testo sacro: una lettura letterale
e non capziosa (in litterali et manifesto sensu)
restituisce l'esatta definizione
dei compiti che la gerarchia ecclesiastica
può legittimamente avocare a sé.
La difesa della pace.
Legge umana e legge divina hanno campi di competenza
e finalità distinti. La pretesa di disporre
di un’autorità coercitiva, derivante
dalla tesi ierocratica della pienezza di poteri,
è la causa efficiente della mancanza
di pace. Da essa la comunità politica
deve difendersi, eliminando ogni impedimento
a un pieno esercizio dell’attività
del legislatore e dei compiti di governo dell’autorità
politica: pratiche come l’immunità,
che sottrae i beni del clero ai pubblici contributi,
o l’istituzione di un tribunale ecclesiastico,
che consente ai membri della gerarchia ecclesiastica
di sfuggire ai procedimenti giudiziari dell’autorità
civile, non devono essere previste dall’ordinamento
della comunità politica. Marsilio intende
sottrarre a un corpo ecclesiastico corrotto
la facoltà di fare ricorso alla forza
e di avvalersi dell’accusa di eresia per
colpire i propri avversari politici: il monopolio
della vis coactiva è prerogativa esclusiva
di chi detiene la suprema autorità temporale,
che solo in casi particolari può essere
conferita agli esponenti del clero ed è
comunque
revocabile.
Il legislatore.
Il legislatore, causa prima ed efficiente della
legge, è il popolo o l’intero corpo
dei cittadini (l’universitas civium) o
la sua parte prevalente (valentior pars), intesa
non solo da un punti di vista quantitativo,
ma anche qualitativo. A tale assemblea spetta
il compito di valutare le proposte di legge
e di promulgarle assegnando ad esse la forza
della coazione. Il ragionamento che induce il
padovano a tale conclusione fa leva su alcuni
punti cardine: 1) la superiorità del
tutto sulla parte; 2) la constatazione che l’intero
corpo dei cittadini si preoccupa di più
del vantaggio comune della legge, poiché
nessuno danneggia se stesso consapevolmente;
3) qualsiasi cittadino osserva meglio quella
legge che ritiene di essersi imposto, ovvero
promulgata per comando dell’intero corpo
dei cittadini. Anche l’interpretazione,
la sospensione delle leggi e le altre azioni
connesse all’esercizio dell’autorità
legislativa spettano al legislatore. Non solo:
oltre alla facoltà di legiferare, egli
detiene anche il potere costitutivo della sovranità
(potestas factiva institutionis principatus).
La volontà popolare è dunque anche
fonte della legittimità dell’esercizio
del potere: essa specifica chi ha il compito
di esercitare le varie funzioni dell’attività
politica, istituendo il potere esecutivo, che
governa secondo le modalità che il
legislatore gli ha concesso. Una considerazione
di ordine meramente pratico induce Marsilio
a ritenere opportuno affidare l’esecuzione
delle disposizioni legali al solo governante,
evitando il coinvolgimento dei componenti della
comunità politica: non è opportuno
rendere partecipi, nelle varie fasi dell’iter
legislativo così come nell’esecuzione
della disposizione legislativa adottata, tutti
i membri della comunità. Ciò che
invece costituisce un principio inderogabile
è la convinzione che l’autorità
suprema resta appannaggio dell’assemblea
dei cittadini, che non possono delegare ad altri
il potere esecutivo e legislativo se non con
un provvedimento revocabile in ogni momento.
La volontà popolare diviene, nel disegno
elaborato da Marsilio, la pietra angolare di
tutto l’edificio politico.
La comunità dei fedeli. Altrettanto
decisa è l’opzione che egli manifesta per una ecclesiologia
alternativa rispetto alla tradizionale concezione gerarchica e piramidale
del corpo ecclesiastico: nel Defensor pacis tutti i fedeli che compongono
l’ecclesia sono sullo stesso piano, e ad essi spetta la scelta delle
norme che regolano la vita spirituale e dei funzionari il cui compito
è farle rispettare. Entro un’ecclesia così concepita,
il vescovo di Roma riveste un ruolo di raccordo e di coordinamento, utile
a preservare l’unità della fede, ma non per questo legittimato
ad inferire, da tale ruolo, un primato di origine divina rispetto agli
altri vescovi. Consegue a tale ecclesiologia l’importanza decisiva
assegnata da Marsilio al concilio
generale: ad esso spettano il compito di verifica del governo della chiesa
e tutte le decisioni che riguardano l’intera cristianità
(l’elezione del pontefice, la determinazione delle sentenze dubbie
della Scrittura e degli articoli di fede), ferma restando la suprema autorità
del legislatore, l’unica che detiene legittimamente una giurisdizione
coercitiva. Tali affermazione e la convinzione, ad esse sottesa, secondo
cui non esiste un criterio di giustizia trascendente e oggettivo precedente
rispetto alla formazione dello stato e non identificabile con la volontà
del sovrano, costituiscono un deciso superamento del concordismo teologico-politico
che aveva portato a considerare legittime due autorità universali.
Tale pretesa è infondata, oltre che estremamente pericolosa per
la sopravvivenza e il buon funzionamento dello stato.(LL)
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http://lgxserver.uniba.it/lei/rassegna/010728b.htm
http://www.intermed.it/liceo/materiali/crono2.htm
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