Linea dorata

Intenzione (Intentio)

Il termine Intentio viene usato nella filosofia medievale con diverse accezioni e sfumature di significato che solo in parte derivano dall’etimologia latina del termine, ma che si accostarono alla parola nel corso dei secoli, specialmente all’interno del processo di ampliamento del vocabolario filosofico che comportarono le traduzioni dall’arabo, sempre più numerose a partire dal XII sec. Nel latino classico Intentio significa originariamente tensione, sforzo, in senso figurato applicazione, attenzione, ed inoltre proposito, intenzione, volontà. Etimologicamente il termine indica un movimento dinamico, un tendere verso, che si esplicita in due sensi, che corrispondono ai due principali ambiti d’uso della parola: tendere verso un’azione, cioè intenzione intesa come volontà (uso nella teoria etica) e tendere verso un qualcosa da comprendere, cioè intenzione come contenuto della conoscenza (uso nella teoria Logica e Gnoseologica).

Etica. In età alto medievale il termine Intentio viene impiegato nella sfera delle dottrine etiche per intendere la finalità di un atto volontario o, con un accezione più religiosa, il fine ultimo dell’esistenza, come possiamo vedere già nel De consolatione philosophiae di Boezio. E’ però solo successivamente nel XII sec., con le teorie di Abelardo che la tematica dell’intenzione come condizione della moralità di un’azione diventa rilevante all’interno del dibattito filosofico. Per Abelardo un’azione può essere giudicata morale soltanto valutando l’intenzione che sta dietro di essa e non in base all’azione stessa o ad una mera regola etica esteriore: questo problema venne affrontato anche da Pietro Lombardo e passò quindi alla tradizione dei commentari medievali alle Sententiae.

Intenzione e intenzionalità nella Teoria della Conoscenza e nella Logica. L’uso logico del termine Intenzione nella filosofia medievale è influenzato direttamente dalla tradizione neoplatonica araba e deriva dal modo in cui i commentari arabi ad Aristotele vennero tradotti in latino. Intentio nel senso di concetto è il modo in cui viene reso in latino il termine arabo ma‘qûl con cui Alfarabi nel suo commento al De Interpretazione traduce il greco noema; chi studia l’arte logica deve poi considerare questo concetto da due punti di vista, da una parte nelle sue relazioni con le cose esteriori reali e dall’altra con le parole. Intentio viene usato anche per tradurre il termine arabo ma‘nâ che in Avicenna assume diversi significati (forse traducendo il greco eidos): il senso di una proposizione o il significato di un termine; la rappresentazione sensibile com’è colta dal senso interno (la facoltà estimativa) e soprattutto la forma intelligibile, cioè il concetto come semplice rappresentazione mentale. In Averroè intentio ricopre un campo semantico ancora più vasto, che va dal significato di una parola, alla considerazione formale di un concetto, alla causa, la ragione su cui si basa una teoria (sembra quasi stare per il greco logos) ed infine all’oggetto della conoscenza in tutti i gradi del processo conoscitivo. Tutte queste varie accezioni di intentio negli autori arabi influenzarono la ricezione e l’uso latino del termine che venne ad indicare primariamente il contenuto di un atto conoscitivo. All’interno della teoria logica in senso stretto, il termine intentio svolse un ruolo cruciale, non solo per la problematica del rapporto fra intelletto e res, le cose reali, ma addirittura nel determinare lo status stesso dell’arte logica nel contesto delle discipline scolastiche. Seguendo le traduzioni latine di Alfarabi e Avicenna i logici medievali distinguono dunque fra primae intentiones, ovvero i concetti delle realtà esterne, degli enti reali, e secundae intentiones, cioè i concetti generali a cui gli altri concetti si riferiscono (es. genere, specie), sovrapponendo questa nuova distinzione a quella, proveniente dalla grammatica, fra nomina rerum e nomina nominum. In questa concezione, le secundae intentiones sono assimilabili agli universali logici e quindi prendere una posizione sullo statuto ontologico o il valore delle seconde intenzioni equivale a prendere parte al dibattito sugli universali, ad affrontare cioè una delle questioni che stanno al centro della teoria logica medievale. La distinzione fra prima e seconda intenzione è fondamentale per comprendere lo sviluppo della logica dal XIII al XIV sec., per capire come si passi da un concetto di logica come scienza del significato dei termini (scientia sermocinalis) ad una logica come scientia rationalis, metalinguistica, capace di andare al di là del contenuto significativo del linguaggio: questo processo parte proprio dalla definizione di secundae intentiones che abbiamo appena dato, definendo a sua volta l’arte logica come scienza delle seconde intenzioni, cioè come scienza di entità epistemologiche. Alberto Magno riprodusse e diffuse la distinzione fra prima e secunda intentio, che ritroviamo in Tommaso d’Aquino e che divenne poi usuale nella filosofia del XIII sec.. Il filosofo catalano Raimondo Lullo rielaborò in modo originale i concetti di prima e seconda intenzione, probabilmente influenzato da altri testi arabi quali l’enciclopedia dei Fratelli della Purezza, e li utilizzò all’interno del suo progetto di ristrutturazione del sapere, per dimostrare la superiorità della sua Arte, che si propone come scienza delle prime intenzioni, capace di arrivare a conoscere la realtà delle cose, sulla logica aristotelica tradizionale. (EB)

Bibliografia

A. Saccon, Intentio e intenzionalità nella filosofia medievale: il commento di Alberto Magno al De Anima, in «Rivista di Estetica», (2000) p. 71-91.
C.H. Lohr, Islamic Influences in the Llull’s Logic, in «Estudi General» 9 (1989)

 

Università di Siena - Facoltà di lettere e filosofia
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