Metafisica della
luce
Contesto storico e dottrinale.
La definizione "metafisica della luce"
fu coniata nel 1916 da Clemens Baeumker, ed
è volta ad indicare – anche se
con voci di dissenso - un contesto speculativo
della cultura filosofica e teologica latina
medievale che si innestò progressivamente
sotto la spinta di molteplici influssi: neoplatonici
(Proclo, Plotino, il Liber de causis), teologici
(la patristica greca, Agostino e lo pseudo-Dionigi)
e arabi (Alkindi,
Avicenna,
Algazel
e soprattutto Avicebron).
Nel secolo XII le opere delle pseudo-Dionigi
ebbero un impatto rilevante per l'indirizzo
del pensiero cosmologico e teologico: come dice
Guglielmo
di Saint-Thierry, l'orientale lumen permea
la riflessione dei pensatori delle scuole. Nello
stesso secolo viene tradotto Euclide, e la sua
geometria consente di assimilare più
facilmente, una volta tradotta, la complessa
dottrina della causalità geometrico-luminosa
esposta nel De radiis di Alkindi. Parallelamente,
la dottrina ilemorfica del Fons vitae di Avicebron
offre l'essenziale presupposto ontologico alla
metafisica della luce, permettendo di individuare
nella lux la prima forma di ogni realtà
materiale. Sullo sfondo, la dottrina agostiniana
dell'illuminazione divina dell'intelletto, ininterrottamente
trasmessa nel pensiero medievale, offre l'opportunità
di connettere insieme piano fisico, psicologico,
gnoseologico e teologico sotto l'insegna della
luce, ed in stretta continuità con la
dogmatica cristiana: espressioni come Cristo
lumen gentium, e la relazione trinitaria quale
lumen de lumine divengono più che una
metafora o pura analogia. La metafisica della
luce non fu un sistema filosofico coerentemente
strutturato, piuttosto un pensiero composito
e variamente declinato. Roberto
Grossatesta ne fu il principale rappresentante.
Egli raccolse e sviluppò tale eredità
cercando di integrarla, o comunque di metterla
in relazione, anche col sistema aristotelico,
che parallelamente egli veniva indagando.
Ontologia. Principio
ontologico basilare della metafisica della luce
è che essa costituisce la componente
strutturale essenziale di ogni essere fisico,
animato e inanimato. La lux prima forma è
la corporeità, concetto che deriva dall'ontologia
dei commentatori aristotelici, Avicenna e Averroè.
La luce non è corporeità in se
stessa (essendo priva di dimensioni), ma al
momento in cui si unisce alla materia, anch'essa
indeterminata. Moltiplicandosi indefinitamente
a partire da un punto a-dimensionale, la luce,
unita alla materia, genera il corpo, determinato
e quantificato. Il corpo dell'universo è
determinato in quanto si manifesta, 'appare',
essendo la sua forma prima, cioè la lux,
auto-manifestativa. Esso è quantificato
dal momento che la materia, non potendo espandersi
all'infinito, arresta la spinta di espansione
infinita della lux.
Cosmologia. In
ambito cosmologico la lux è dunque ciò
che permette la costruzione dell'universo, a
partire dal primo atto divino della creazione:
fiat lux. Il corpo dell'universo si espande
per autopropagazione,
grazie alla capacità automoltiplicativa
della luce. Nella cosmologia grossatestiana,
esposta nel trattato De luce, opera anche il
lumen, un corpo spirituale prodotto dal primo
cielo (la zona più estrema del corpo
dell'universo), che spingendo lo stesso corpo
verso il centro, determina la generazione di
strati di progressiva maggiore densità
di materia, cioè le sfere celesti. Grazie
all'azione del lumen, il centro dell'universo
è la zona in cui il corpo risulta più
denso. Le sfere elementari (del fuoco, aria,
acqua, terra) costituiscono le fasce di progressiva
massima densità di materia, dove l'azione
del lumen permane, permettendo così le
continue trasformazioni e alterazioni elementari.
Il lumen è inoltre la sostanza spirituale
che permette all’intelligenza celeste
di muovere il corpo del cielo. La forza del
movimento si imprime uniformemente nell'universo,
ma la capacità delle sfere di muoversi
dipende dalla purezza e densità del corpo.
Tale condizione rende gli elementi inferiori,
e in particolar modo la terra, pressoché
impassibili al moto del primo cielo, il moto
diurno che la virtù motrice impartisce
al firmamento, e che da esso si ripercuote a
tutti i corpi inferiori.
Filosofia naturale.
Nell'indagine fisica la luce (nella dottrina
grossatestiana è in realtà il
lumen) è l'elemento attivo che propagandosi
dai cieli opera causalmente nel mondo sublunare.
In questo contesto, le leggi dell'ottica (perspectiva)
permettono di interpretare coerentemente i fenomeni
naturali, lasciando così intravedere
la struttura matematica dell’opera della
Creazione. Altro tema caratteristico della metafisica
della luce è il superamento della rigorosa
bipartizione del cosmo aristotelico in super
e sublunare, quintessenziale ed elementare,
in quanto il sinolo di luce e materia costituisce
il composto primario di tutta la realtà.
Nella prospettiva grossatestiana, ripresa però
anche da maestri successivi, legati in particolare
all'ambiente francescano, il lumen celeste ha
la capacità di penetrare all'interno
dei corpi naturali (dottrina dell'incorporazione
della luce), determinando in tal modo un cambiamento
di stato e la relazione con altri corpi, in
particolare la possibilità della sensazione.
Psicologia e dottrina
della sensazione. La luce ha una funzione
operativa, è il medium attraverso il
quale l’anima agisce sul corpo permettendogli
di muoversi e di avere sensazioni. In una prospettiva
essenzialmente agostiniana, ove la sensazione
è il manifestarsi all'anima di una passione
subita dal corpo, il medium luminoso permette
il collegamento fra sostanza spirituale (anima)
e sostanza materiale (corpo); in Giovanni
de la Rochelle questa prospettiva sarà
originalmente coniugata con la dottrina aristotelica
dell’anima. Il medio o veicolo, inoltre,
garantisce la ricezione delle specie (anch'esse
luminose) che si propagano dai corpi esterni
raggiungendo il senziente. Inoltre il mezzo
stesso di trasmissione delle specie, cioè
l'aria, è ricolmo della luce solare,
che permette di veicolare le specie in un continuum
ininterrotto luminoso, come specifica Grossatesta
in relazione alla visione dei colori <testo
1>. Contrariamente alla dottrina
tomista, per la quale le specie sensibili
sono puramente intensionali (forme non corporee),
nella prospettiva dei maestri francescani (ad
esempio in Ruggero
Bacone) esse sono corporee.
Gnoseologia.
Nel contesto gnoseologico, la metafisica della
luce accompagna e consolida la tesi agostiniana
dell’illuminazione divina dell’intelletto,
che è concepito come luce spirituale
creata, inserendola però all’interno
di una teoria della conoscenza
costruita a partire dall’aristotelico
conoscere per causas e per via dimostrativa.
Teologia. Infine,
il nucleo centrale del pensiero metafisico e
teologico grossatestiano, che sarà sviluppato
ad esempio in Bonaventura,
si articola intorno all’assunto che Dio
è luce, e non in senso metaforico. La
luce di Dio non è né spirituale,
come quella dell’intelletto angelico e
umano, né corporea come quella che costituisce
gli enti naturali: è indefinibile e completamente
trascendente. Tuttavia è luce, e poiché
tutto ciò che è creato è
a somiglianza di Dio, ogni ente è aliquod
genus lucis. Dunque anche sul piano teologico
si avvalora l'assunto che ogni esistenza è
una forma della luminosità.
Altri sviluppi.
Il tema della luce, che sulla scia delle ricerche
oxoniensi Giovanni
Peckham sviluppa sia sul piano della ricerca
scientifica sia nella dottrina della conoscenza
come illuminazione, è al centro dell'elaborazione
metafisica di un altro francescano suo contemporaneo,
Bartolomeo di Bologna, autore di un Tractatus
de luce. Bartolomeo distingue la lux (Dio),
dal radius, dal lumen e dallo splendor, entità
causate dalla luce secondo un processo scalare
di gerarchia degli esseri creati; da questi
presupposti discende una teologia simbolica
in cui si riconosce la tradizione esegetica
agostiniana e francescana. La metafisica della
luce sottende anche il Memoriale rerum difficilium,
attribuito ad Adamo Belladonna (Adam Pulchre
mulieris), dove la sostanza prima, identificata
con una intelligenza, è luce, e da essa
deriva tutta la catena dell'essere. Il tema
permea anche un poema di vasta diffusione, lo
pseudo-ovidiano De vetula, attribuito al poeta,
astrologo e bibliofilo Riccardo di Fournival,
contemporaneo di Grossatesta. Il De vetula presenta
notevoli somiglianze con il De luce del Grossatesta
relativamente alla dottrina della formazione
dell’universo, anche se in esso si sostiene
che la luce sia dominante nei corpi superiori,
mentre negli inferiori domina la materia. Lo
pseudo Pietro Ispano, un autore che scrive attorno
al 1240 un commentario al De anima di Aristotele,
ci presenta una teoria dell’incorporazione
della luce molto simile a quella di Grossatesta:
ogni corpo composto, afferma, ha in sé
una natura celeste che è come una luce
incorporata, attraverso la quale il corpo si
conserva e compie le sue operazioni. Ma il meccanismo
che sta alla base delle sensazioni per lo pseudo-Ispano
è in parte diverso rispetto a quello
grossatestiano. Egli ritiene infatti che la
luce, incorporata nella materia, ne fuoriesca,
trasportando l’elemento sensibile fino
all’organo di senso. Un altro autore che
utilizza l’idea di incorporazione della
luce nella materia è Alessandro
di Hales, per il quale la luce che agisce
sugli elementi è la quintessenza. Egli
però ritiene, differentemente da Grossatesta,
che la luce incorporata abbia bisogno di una
luce “spirituale” per rendere il
sensibile percepibile dall’anima. In Ruggero
Bacone la tematica luminosa ha rilevanza soprattutto
in ambito di filosofia naturale. Bacone elabora
il concetto di species come forma corporea di
natura spirituale, una sorta cioè di
radiazione immateriale proveniente da ogni ente,
che, propagandosi per auto-moltiplicazione in
tutte le direzioni secondo linee rette, imprime
la sua azione sugli enti circostanti. Poiché
ogni ente risulta tanto produttivo quanto ricettivo
di species, queste ultime sono in grado di spiegare
ogni nesso causale fra le cose. E' evidente
l'influsso, in tale concezione, del De radiis
di Alkindi. Anche la Summa philosophiae attribuita
a Grossatesta, ma che risulta essere stata scritta
verso il 1270, fa ampio uso del concetto di
incorporazione della luce, ad esempio nel trattare
la natura del suono. Il tema ebbe tale diffusione
che anche un anonimo glossatore, probabilmente
inglese, del De institutione musica di Boezio
ricorse all’idea di suono come luce celeste
incorporata nell’aria, e addirittura presentò
sulla base di questa teoria il tema boeziano
della musica delle sfere. Nessuno di questi
autori si richiama esplicitamente a Grossatesta,
e molti, invece, individuano in Agostino e/o
in Avicenna la fonte della dottrina. In Bonaventura
la luce è la prima forma di tutti i corpi,
"che hanno l'essere in modo più
vero e più degno nei gradi degli enti
secondo la maggiore o minore partecipazione
ad essa"; a questa forma si aggiunge l'informatio
specialis di ciascun esistente, attraverso le
successive forme che costituiscono gli esseri
nella loro concretezza. Bonaventura, dunque,
come Grossatesta ritiene che la luce irraggiata
agisca come forma comune motrice, regolatrice
e conservatrice dei corpi; suppone che l’aria
sia il veicolo che la trasmette e che, incorporandosi
nella materia, abbia la capacità di penetrare
fin nel cuore della terra, dove presiede alla
generazione dei minerali, degli animali e delle
anime vegetativa e sensitiva. In ambito teologico,
inoltre, Bonaventura elabora a partire dall'analogia
luminosa il percorso di ascensione a Dio, descrivendolo
come un processo di conoscenza, ma che termina
col superamento di essa, verso la pura
contemplazione, tema in cui egli riecheggia
motivi dello pseudo-Dionigi e dei Vittorini:
"Così la mente nostra, irradiata
e irrorata da tanti splendori, se non è
cieca può, attraverso di sé, essere
condotta a contemplare quella eterna luce."
(CP)
Bibliografia
Servus Gieben, Das Licht als Entelechie bei
Robert Grosseteste, in La filosofia della natura
nel medioevo. Atti del terzo congresso internazionale
di filosofia medievale. Passo della Mendola
(Trento) 31 agosto - 5 settembre 1964, Milano
1966, pp. 372-378
K. Hedwig, “Sphaera lucis”. Studien
zur Intelligibilität des Seienden im Kontext
der mittelalterlichen Lichtspekulation, Münster,
Westf. 1980
Roberto Grossatesta, Metafisica della luce.
Opuscoli filosofici e scientifici, ed. P. Rossi,
Milano 1986 (in particolare l'introduzione di
Pietro Rossi)
J. McEvoy, Gli inizi di Oxford. Grossatesta
e i primi teologi (1150-1250), Milano 1996
Cecilia Panti, L'incorporazione della luce in
Roberto Grossatesta, Medioevo e Rinascimento
13, n.s. 10 (1999), pp. 45-102
Cecilia Panti, I sensi nella luce dell’anima.
Evoluzione di una dottrina agostiniana nel secolo
XIII, Micrologus 10 (2002), pp. 177-198
Servus Gieben, Grosseteste and Universal Sceience,
in Robdert Grosseteste and the Beginnings of
a British Theological Tradition, ed. Maura O'Carroll,
Istituto storico dei Cappuccini, Roma 2003,
pp. 219-238
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