Linea dorata

Gregorio da Rimini

Vita e opere. Nato a Rimini nel 1300, Gregorio ricevette la sua prima formazione presso gli Eremitani di sant’Agostino, ordine nel quale era entrato. Nel 1322 iniziò a Parigi lo studio della teologia, rimanendovi fino al conseguimento del baccellierato. Tornato in Italia, insegnò a Bologna, Padova e Perugia. Negli anni 1343-4 lesse le Sentenze a Parigi. Generale del suo Ordine nel 1357, morì nel 1358. Delle sue numerose opere, la critica recente ritiene possano essergli attribuite le seguenti: il Commento alle Sentenze, del quale sono pervenuti solo i primi due libri; il Tractatus de imprestantiis Venetorum et de usura; il Tractatus de intentione et remissione formarum, che probabilmente costituisce una versione ampliata della IV distinctio del I libro del Commento alle Sentenze. Dubbia è l’attribuzione a Gregorio di una Tabula super epistolis B. Augustini. La sua opera è espressione del nuovo orientamento che, nel XIV secolo, caratterizzò la riflessione teologica e, in particolare, l’agostinismo, la cosiddetta schola moderna, che si afferma dopo un periodo di indiscusso predominio, negli studi teologici, dell’interpretazione e della riflessione di Egidio Romano. Gregorio è considerato il fondatore del nuovo indirizzo teologico, che gradualmente s’impone sia alla facoltà teologica che negli Studia dell’Ordine, sostituendosi all’autorità egidiana.

L’oggetto della conoscenza. A connotare Gregorio come innovatore è, innanzitutto, l’uso degli strumenti logico-concettuali elaborati dalla filosofia a lui contemporanea e in particolare da Ockham, nei confronti della quale manifesta un’adesione critica. Gregorio condivide con i maestri universitari del suo periodo l’impegno per la ricerca del fondamento certo ed evidente del sapere, e assegna un ruolo di primo piano alla nozione di evidenza e alla distinzione tra conoscenza intuitiva e conoscenza astrattiva. Tale distinzione fa riferimento al modo in cui l’oggetto viene conosciuto: immediatamente in se stesso nel caso della conoscenza intuitiva, "in qualche medio rappresentativo" nel caso di quella astrattiva. Tale caratterizzazione elimina la necessità che un oggetto sia esistente nella realtà perché il processo cognitivo sia intuitivo: ciò che conta è che esso sia obiettivamente presente alla mente e sia il termine immediato dell’atto cognitivo. L’intuizione può essere conservata per potentiam Dei in assenza dell’oggetto, ma senza causare alcun giudizio di esistenza o di non esistenza. Altrettanto chiara è la soluzione che Gregorio offre alla questione dell’oggetto della conoscenza scientifica, preceduta da una serrata confutazione della teoria proposizionalistica di Ockham e della tesi realista. Oggetto dell’atto dimostrativo è per Gregorio, non la proposizione, ma ciò che da essa è significato, il suo significato totale. Come spiega O. Grassi, l’atto di conoscenza per Gregorio non si ferma alla proposizione, ma va oltre essa, rivolgendosi (figit suum aspectum) a ciò che essa significa, ossia al suo significabile. Solo tali significabilia, inoltre, possono essere oggetto di conoscenza scientifica, giacché, mentre le cose e le proposizioni possono mutare, essi rimangono sempre gli stessi, necessari e eterni.

Potenza divina e ordine del mondo. Nel Commento alla Sentenze, Gregorio ribadisce la convinzione della regolarità dell’ordine assegnato da Dio al mondo, opponendosi alle tendenze più radicali del dibattito filosofico-teologico che potevano conferire alla potentia absoluta divina finalità destabilizzanti, ponendo l’accento sugli aspetti di imprevedibilità e irregolarità e non consentendo di conoscere e indicare i mezzi per acquisire la salvezza. Un orientamento siffatto comporta la rinuncia alla possibilità di costruire un’etica teologica, una scienza cioè in grado di comprendere la struttura e la coerenza del piano divino di salvezza; ad esso Gregorio oppose la convinzione che l’intervento miracoloso, che provoca uno sconvolgimento dell’ordine naturale, è una possibilità che Dio attua solo in casi estremamente rari.

Lo statuto scientifico della teologia. Gregorio affronta tale questione nel prologo al Commento alle Sentenze opponendo agli argomenti in favore della scientificità della teologia la tesi secondo cui ogni scienza è tale se basa le sue conclusioni sul ricorso al sillogismo dimostrativo; nessun discorso teologico, tuttavia, è un sillogismo dimostrativo, poiché trae la propria evidenza da premesse credute e non immediatamente evidenti. Molte verità della Scrittura non sono evidenti, afferma in polemica con Francesco della Marca, e l’assenso ad esse richiede necessariamente la fede. Gregorio inoltre non condivide la teoria della subalternazione proposta da Tommaso d’Aquino, ossia la premessa teorica sulla quale si reggeva l’asserzione della scientificità della teologia. La nozione di scienza in senso aristotelico è applicabile per Tommaso tanto a quelle scienze che si costituiscono a partire da principi immediatamente evidenti, quanto a quelle che procedono da principi derivati da una scienza superiore. Gregorio concorda con l’Aquinate nell’asserire che requisito indispensabile perché si attui la scienza dimostrativa è l’evidenza dei principi primi, punto di partenza del processo dimostrativo. I principi primi devono però essere evidenti all’interno della stessa disciplina, non evidenti per qualcun altro: ed i principi da cui la teologia muove non sono evidenti per il teologo. Dunque chi dichiara la scientificità della teologia, scienza subalterna che si costituisce a partire da principi non conosciuti, ma solo creduti, stabilisce uno statuto scientifico che non richiede l’evidenza dei principi e che, come tale, può essere applicato anche a quelle discipline che non partono da principi immediatamente evidenti. Non solo: la teologia non può essere considerata disciplina scientifica perché si fonda su auctoritates. L’habitus theologicus è dunque un habitus non demonstrativus, ma creditivus, ossia una sorta di fede acquisita che genera un assenso che non deriva dall’evidenza. La conoscenza teologica può essere considerata scientifica solo se adotta l’accezione agostiniana di scienza: habitus grazie al quale si è in grado di difendere e corroborare la fede. Così intesa, essa può rivendicare una superiorità legittima nei confronti della conoscenza della fede, poiché consente una comprensione dei contenuti espliciti e impliciti presenti nella Scrittura. (LL)

Bibliografia

Edizioni: Gregorii Ariminensis Lectura super Primum et Secundum Sententiarum, a cura di D. Trapp e V. Marcolino, Berlin – New York 1979-1987

Studi
P. Vignaux, Justification et prédestination au XIVe siècle: Duns Scot, Pierre d’Auriole, Guillaume d’Occam, Grégoire de Rimini, Paris 1934
G. Leff, Gregory of Rimini. Tradition and Innovation in XIVth Century Thought, Manchester 1961
O. Grassi, La questione della teologia come scienza in Gregorio da Rimini, “Rivista di filosofia neoscolastica”, 68 (1976), pp. 610-644
Gregor von Rimini. Werk und Wirkung bis zur Reformation, a cura di H.A. Oberman, Berlin 1981
O. Grassi, L’agostinismo trecentesco, in Storia della teologia nel Medioevo, III, La teologia nelle scuole, Casale Monferrato 1996, pp. 605-643

Risorse on-line
http://plato.stanford.edu/entries/gregory-rimini/.

 

Università di Siena - Facoltà di lettere e filosofia
Manuale di Filosofia Medievale on-line

| Index | |La Filosofia nel Medioevo | | Caratteri fondamentali | | Interpretazioni |
| Medioevo e Filosofia Moderna| | Studio del Medioevo|