Intelletto Agente
nella filosofia araba
Il concetto di Intelletto Agente rappresenta
l’aspetto centrale delle dottrine gnoseologiche
nate in ambito arabo; esso verrà ampiamente
e variamente utilizzato dai filosofi latini
medievali.
Le fonti. Dal
trattato “Sull’anima” di Aristotele
(L III, cap. 4 e 5) i filosofi islamici, a cominciare
da al-Kindi, traggono l’idea di una distinzione
tra intelletto in potenza e intelletto in atto.
Il testo aristotelico era conosciuto, ai tempi
di al-Kindi,
grazie alla parafrasi di Hunayn ibn Ishaq (morto
nell’876); gli arabi ebbero accesso anche
alle parafrasi dei commentatori greci di Aristotele,
Alessandro di Afrodisia e Temistio e, forse,
al commento di Giovanni Filopono. Aristotele
è molto chiaro nel considerare l’Intelletto
Agente come un intelletto dotato di conoscenza
universale sempre in atto. Non definisce, invece,
se esso sia separato dall’intelletto individuale
umano oppure no, e, dunque, se esso sia il solo
a essere immortale ed eterno. E’ su questo
punto che i filosofi islamici operano una scelta
interpretativa che rappresenta un aspetto comune
a tutti loro, nonostante le differenze. L’Intelletto
Agente è esterno all’uomo e ha
un’origine divina. L’immortalità
non spetta, dunque, all’intelletto umano
bensì alla sua anima (creata e insufflata
da Dio) sede di tutte le facoltà intellettive.
Poiché l’Intelletto Agente è
la fonte ultima di ogni conoscenza veritiera,
la possibilità umana di avere accesso
a qualunque tipo di verità è posta
al di fuori dell’uomo: gli è data
dall’esterno. Ciò è valido
per ogni tipo di conoscenza intellettiva, che
riguardi, cioè, le forme della realtà
conosciute indipendentemente da ogni aspetto
sensibile.
Conoscenza profetica
e conoscenza razionale. La distinzione
tra la conoscenza
profetica e quella razionale è un
motivo conduttore della speculazione islamica
sin da al-Kindi. Sebbene entrambe queste possibilità
conoscitive raggiungano una medesima Verità,
si distinguono nella modalità di approccio
e conseguimento. E, tuttavia, è sempre
l’unione con l’Intelletto Agente
che garantisce l’accesso, come rappresentante
e dispensatore della divina unica Verità
presso gli uomini. Per i profeti, eletti da
Dio, questa unione può avvenire in maniera
immediata, senza lo sforzo, il tempo e la gradualità
che caratterizza la ricerca filosofica. L’Intelletto
Agente è, nella profezia, l’Angelo
della Rivelazione: Gabriele di cui parla il
Corano. La facoltà umana che accoglie
tale rivelazione è l’immaginazione.
Sebbene lo stesso al-Kindi, nell'Epistola sulla
sostanza del sonno e della visione, riconduca
tale funzione alla “fantasia” nominata
dagli antichi sapienti greci, noi sappiamo che
Aristotele non ha esposto una chiara e coerente
dottrina a questo riguardo, lasciando ampio
spazio alle differenti opinioni e interpretazioni
dei commentatori. Per i filosofi arabi l’immaginazione
è la facoltà della conoscenza
immediata, intuitiva e visionaria: essa può
avvenire sia in sogno che in veglia, nella misura
in cui si realizza una indipendenza dalla realtà
sensibile. Tale indipendenza caratterizza sia
la condizione di colui che conosce, sia l’oggetto
della conoscenza.
Conoscenza sensibile
e conoscenza razionale. Abbiamo richiamato
il concetto di Intelletto Agente, esterno all’uomo,
fonte ultima della conoscenza, come motivo conduttore
del pensiero islamico. Rimane allora da comprendere
se e come l’uomo, caratterizzato da una
natura corporea, contribuisca al processo conoscitivo.
E’ su questo punto che al-Kindi opera
quella rottura rispetto alla tradizione aristotelica
che continuerà a orientare la speculazione
gnoseologica islamica almeno fino ad al-Gazali.
Al-Kindi nega la continuità che Aristotele
aveva posto tra conoscenza sensibile e intellettiva,
e che aveva dato estrema importanza al processo
di astrazione dal sensibile percepito, per conseguire
concetti universali e veri. Sensi e intelletto
definiscono in al-Kindi due modalità
di conoscenza radicalmente differenti, perché
differente ne è l’oggetto. La realtà
sensibile è solo oggetto dei sensi. La
conoscenza vera, invece, è quella che
ha per oggetto la realtà immutabile ed
eterna, che non è soggetta alle leggi
della generazione e della corruzione. Si tratta
di una conoscenza intellettiva ma non intellettualistica:
essa, infatti, conosce le vie della ragione
filosofica come quelle della intuizione immaginativa
e della contemplazione di ciò che viene
rivelato. E, seppure l’astrazione e la
sensibilità possono intervenire nel processo
di conoscenza filosofico-razionale, esse non
ne definiscono l’essenziale: la conoscenza
intellettiva, la conoscenza vera, è dovuta
più all’Intelletto Agente che non
agli umani mezzi.
Intelletto. Nasce
con al-Kindi quella che viene comunemente denominata
la “quadripartizione dell’intelletto”,
ovvero la distinzione dei quattro intelletti
che intervengono nel processo
conoscitivo di tipo filosofico. Molti sono
i problemi interpretativi sorti intorno alle
denominazioni che talvolta variano nelle opere
di al-Kindi, come in quelle degli altri filosofi
dell’Islâm. E’ possibile,
tuttavia, trovare delle semplificazioni orientative.
Dell’Intelletto Agente abbiamo già
parlato. L’intelletto in potenza rappresenta
la pura possibilità conoscitiva propria
di ciascun uomo. Solo Averroè ritiene
che esso sia unico e comune per tutti gli uomini.
Vi è poi un intelletto in atto, ovvero
l’intelletto che possiede le forme pure
ricevute dall’Intelletto Agente. Un terzo
intelletto rappresenta la conoscenza acquisita
in passato e attualmente utilizzabile al bisogno.
Al-Kindi, in alcune opere, chiama questo intelletto
“secondo”, mentre in altre attribuisce
lo stesso termine all’intelletto in potenza.
L’esistenza di un terzo intelletto, accanto
ai due già presentati da Aristotele,
era stata già delineata dai commentatori
aristotelici e, tra quelli conosciuti agli arabi,
da Alessandro di Afrodisia, che parla di “intelletto
acquisito”. Semplificata in questi termini,
la distinzione che abbiamo esposto guida la
speculazione gnoseologica dei filosofi dell’Islam,
salvo poi articolarsi in ulteriori sottodistinzioni,
e differenti denominazioni, che non alterano
il senso generale: presentare la successione
dei gradi che caratterizza la ricerca filosofica
come pensiero che richiede tempo e sforzo per
esplicarsi. Rimane chiaro, tuttavia, il preminente
ruolo dell’Intelletto Agente anche in
questa modalità di conoscenza, in cui
persino lo sforzo umano, e il progressivo perfezionarsi
dell’intelletto a partire dalla pura potenzialità,
è diretto e reso possibile dall’Intelletto
Agente. Differente è, invece, l’ispirazione
della speculazione gnoseologica di al-Gazali
e Averroè,
in quanto essi separano radicalmente la conoscenza
filosofica da quella rivelata, e riconoscono
alla prima un procedere autonomo rispetto alla
divinità della rivelazione che è
data all’uomo dall’esterno. Per
quanto riguarda la filosofia, al-Gazali elabora
una distinzione che molto trae dalla tradizione
precedente, e che C. Baffioni ha sintetizzato
così: “La facoltà intellettiva
ha a sua volta dei gradi: 1) propensione ad
accogliere l’oggetto, come «intelletto
materiale» o «in potenza».
2) In seguito, appaiono in esso due specie di
forme intelligibili: a) la specie dei princìpi
primi, che si imprimono in esso senza acquisizione
dall’esterno; b) la specie dei noti, e
cioè le cose più evidenti nelle
arti e nelle attività, e allora si chiama
«intelletto passivo», cioè
che ha potere di acquisire gli intelligibili
per analogia. 3) quando dopo ciò sussiste
in esso uno degli intelligibili, si chiama «intelletto
in atto», come il sapiente, che trascura
le conoscenze e tuttavia ha potere su di esse
ogni volta che vuole; e 4) quando la forma delle
conoscenze (grazie all’intelletto agente)
è presente nella sua mente quella forma
si chiama «intelletto acquisito».
Non è possibile che queste percezioni
avvengano grazie a uno strumento corporeo, ma
il percettore di quegli intelligibili universali
è una sostanza sussistente in sé
che non è corpo né è impressa
in un corpo né svanisce con lo svanire
del corpo, ma resta viva per sempre, o godendo
o soffrendo, e quella sostanza è appunto
l’anima”. Con Averroè, infine,
nonostante egli parli di Intelletto Agente in
termini analoghi ai suoi predecessori, si ristabilisce
quella aristotelica continuità tra conoscenza
sensibile e intellettiva, per cui il processo
di astrazione dai dati sensibili torna ad avere
un peso determinante nella stessa conoscenza
intellettiva.(PT)
Bibliografia
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P. Zambelli, L’immaginazione e il suo
potere (Da al-Kindi, al-Fârâbî
e Avicenna al Medioevo latino e al Rinascimento),
“Orientalische kultur und europäische
Mittelalter. Miscellanea Medievalia” 17,
Köln 1984.
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