Che cos’è la musica
Le origini della musica sono celate, come quelle del linguaggio, nel passato
più remoto della storia dell’umanità. A prescindere dal
punto di partenza della speculazione sulle origini (il ritmo
come battito interiore che si traduce in suono? la coscienza primitiva delle
potenzialità imitative ed espressive della voce
umana?), la ricostruzione dell’evoluzione della musica dipende dalla
definizione che se ne dà e, viceversa, la possibilità di definirla
è condizionata dalla conoscenza delle sue manifestazioni e dei suoi
sviluppi. Fenomeno e attività, disciplina scientifica e diletto dei
sensi, linguaggio simbolico e codice cultura: da qualsiasi punto di vista
la si guarda, la musica offre sempre una prospettiva ulteriore. Come la vita,
il mito, la filosofia e la religione, essa non si presta ad una definizione
univoca e assoluta. Ciò che noi occidentali chiamiamo “musica”
si è trasformato e continua a trasformarsi con il mutamento delle civiltà,
assumendo funzioni diverse nelle diverse società e presso i singoli
individui che le compongono. Una risposta esaustiva alla domanda posta dal
titolo di questa sezione implicherebbe pertanto lo studio della fenomenologia
del suono e della sua percezione; delle modalità con cui i suoni
diventano veicoli di espressione; delle funzioni
della musica nei diversi contesti culturali e dei vari aspetti della sua
prassi.
L’idea che la musica sia un “linguaggio universale” ha radici
antiche e attraversa in maniera più o meno esplicita l’intera
storia del pensiero occidentale (musica e linguaggio).
La nostra scelta di circoscrivere gran parte della trattazione alla musica
d’arte in occidente è innanzitutto pragmatica: l’impossibilità
di comprendere in un unico iperteso l’intero universo dei linguaggi
e delle pratiche musicali, ma in essa è implicita la convinzione che
soltanto la conoscenza degli elementi
e dei processi costitutivi di questa tradizione – nella piena consapevolezza
che essa non sia l’unica – può demistificare l’idea
astratta della sua superiorità, e fornire strumenti concreti e concettuali
per lo studio di altre tradizioni musicali. L’individuazione dei tratti
specifici di ogni tradizione, e la distinzione tra questi e quelli comuni
a tutte le musiche, possono incrementare la comprensione
della scena musicale odierna che sembra allargare i confini del concetto di
musica, evolvendosi verso una visione sempre più aperta e “universale”
dell’arte dei suoni.
Definizioni ed etimologie
I tentativi moderni di fornire una definizione sintetica e universale della
musica rendono manifesta la complessa generalità del fenomeno e implicano
la densità concettuale che contraddistingue la riflessione sulla musica
in occidente.
Ecco qualche esempio, altri possono essere visionati nella scheda aforismi
e riflessioni:
“Arte di combinare più suoni in base a regole
definite, diverse a seconda dei luoghi e delle epoche” (Vocabolario
della lingua italiana di Nicola Zingarelli, da 1967 in poi);
“Suono umanamente organizzato” (John Blacking, 1973);
“Il sonoro costruito e conosciuto da una cultura” (Jean Molino,
1975);
“La musica è tutto quello che ascoltiamo con l’intenzione
di ascoltare musica … tutto può diventare musica” (Luciano
Berio, 1993).
Come è stato ripetutamente ribadito dagli etnomusicologi,
gran parte delle culture non occidentali “non hanno mai avuto nelle
loro lingue un termine la cui estensione semantica corrispondesse, in tutto
o in parte al concetto eruropeo di musica, ma ciò non ha impedito che
producessero e utilizzassero, nel corso dei secoli, forme e strutture sonore
anche estremamente elaborate” (Francesco Giannattasio). Presso queste
culture, la musica non è concepita come “cosa in sé”
ma viene identificata nelle sue manifestazioni concrete (la voce che canta,
gli strumenti che producono suoni diversi) e in rapporto alle sue funzioni
nella vita della comunità (riti, celebrazioni, attività lavorative,
ricorrenze familiari ecc.). Anche nell’antichità occidentale
la musica non era concepita come arte a sé bensì come la componente
sonora di un insieme di attività intellettive e fisiche, creative ed
esecutive che partecipavano a tutte le manifestazioni rituali e artistiche
delle società in questione. Il termine greco mousikè
– da “musa” (etimo di origini oscure e dibattute: potrebbe
essere nato da una radice che indica “montagna” in riferimento
alle vette dell’Olimpo, oppure dal verbo “ideare” ) - era
strettamente legato a quello di “techné” (arte) sottolineando
la complessa sinergia tra le tre componenti dell’arte delle muse: la
poesia, la danza e la musica.
D’altra parte, l’origine mitologica del concetto di musica traspare
senza un’analoga denominazione in altre civiltà antiche per le
quali l’elemento sonoro era considerato il principio fondante dell’universo:
la risata del dio egiziano Thot, le cosmologie e lo studio astrologico dei
pianeti in Mesopotamia, la parola creatrice del Dio della Genesi biblica ne
sono gli esempi più noti. L’idea di un’armonia delle sfere
ha attraversato l’oriente e l’occidente lungo i secoli dalla più
remota antichità fino alle soglie dell’età moderna, attribuendo
alla musica un potere e un’aura divina e sublime. Oltre alla derivazione
etimologica del termine greco da “musa”, appare nel Medioevo anche
l’ipotesi che rimanda al vocabolo egiziano “moys”, acqua
(a sua volta legato a Mosé che pertanto viene indicato, senza nessuna
appoggio nelle scritture, come l’inventore della musica – ruolo
che la Bibbia affida a Jubal figlio di Lamech). Su questo accostamento di
musica e sorgenti d’acqua (che trova ampia conferma nella letteratura
mesopotamica – sia nella Bibbia ebraica sia nelle mitologie assiriche
e babilonesi) i trattati medievali edificano teorie sul movimento e sul flusso
della voce – canale e veicolo sonoro degli
umori dell’essere umano. Nella voce si incontrano e si fondono le due
componenti distinte ed essenziali della vita, di cui la musica è la
più fedele e complessa espressione: la materia e lo spirito; l’umano
e il divino; il corpo e l’anima; i sensi e la ragione.
Cenni storici
La storia della musica e del pensiero musicale occidentale è attraversata
da una dialettica tra un approccio razionale, che vede la musica come scienza
della combinazione dei suoni secondo regole oggettive che ne stabiliscono
anche le modalità espressive, e un approccio soggettivo che parte dalla
realtà sonora ed esplora le modalità espressive della musica
e i suoi effetti sull’ascoltatore. Il primo, che ha le sue radici nella
tradizione pitagorica, ha prevalso nella trasmissione di un sapere musicale
“oggettivo” basato sul numero, sulle proporzioni e su un sistema
modale che regola l’universo sonoro assumendo, nel pensiero scientifico-filosofico
della tarda antichità e del Medioevo, una valenza cosmologica, teologica
e quindi religiosa. La distinzione di Severino Boezio tra “musica mundana”
(delle sfere), “musica humana” (della mente e dell’anima)
e “musica instrumentalis” (la musica realmente cantata e suonata)
(il testo è riportato negli aforismi
e riflessioni) che ha avuto un peso determinante nelle scuole di pensiero
successive, trae l’attenzione ad un’altra opposizione dialettica,
strettamente legata alla prima: quella fra teoria e prassi. Il sapere (“musica
scientia”) – riservato nel Medioevo ai pochi e dotti teorici della
musica (“musici”) – era rimasto a lungo distinto e separato
dalla prassi musicale – campo d’azione di chi la musica la “faceva”
cantando e suonando (“cantores”). L’evoluzione della notazione
musicale e la codificazione scritta del repertorio liturgico a partire dal
VI secolo hanno incrementato da una parte la l’invenzione compositiva
e dall’altra la vocazione teorica relativa allo statuto scientifico
della musica come parte del Quadrivium delle arti liberali (assieme all’aritmetica,
alla geometria e all’astronomia). Il concetto medievale di ars
musica riflette questa evoluzione indicando l’insieme delle conoscenze
tecniche e speculative relative ai suoni: la combinazione di parole e melodia,
le tecniche strumentali e la valutazione delle opere prodotte, ma non cancella
la distanza reale tra la sfera della teoria e della tecnica compositiva e
quella della pratica artistica e la sua ricezione effettiva e affettiva.
Il sorgere nel Rinascimento dell’idea di “musica poetica”,
che proclama la qualità espressiva del suono musicale in quanto fenomeno
assieme naturale e umano, segna una tappa fondamentale nel lungo processo
di emancipazione della musica, la quale tende a rinnovarsi e a superare sia
le griglie della teoria sia l’appellativo religioso, per affermarsi
come arte umana e autonoma, dotata di codici espressivi e capace di comunicare
stati d’animo e idee. La dialettica tra vecchio e nuovo, che si manifesta
puntualmente lungo la storia della musica occidentale, talora con vere e proprie
polemiche tra opposte scuole di pensiero, è un’ulteriore indice
della natura intrinsecamente dualistica e movimentata del fenomeno e dell’esperienza
musicali.
Sul piano concreto dell’invenzione e della prassi, uno dei fattori principali
nel processo di emancipazione della creatività musicale, è stata
la graduale cristallizzazione della tonalità
con il relativo compendio di principi
compositivi che regolavano invenzione e scrittura
senza irrigidirne la libertà creativa. La fioritura della musica
strumentale come veicolo espressivo ricco di potenzialità quanto
quello della musica vocale costituiva
un importante aspetto di questa nuova libertà. Già a partire
dal XII secolo, con i componimenti lirici dei trovatori e le prime composizioni
polifoniche per la chiesa, le creazioni musicali (successivamente definite
come opere) recavano la firma e il marchio stilistico
di un autore, erano dotate di determinate Forme e attribuibili a diversi generi
(v. principi formali). Gli alberi
di questa magnifica tradizione hanno nutrito e sono stati nutriti da secoli
e generazioni di compositori il cui statuto mutava dalla sottomissione alle
autorità ecclesiastiche e alle corti ad un’indipendenza artistica
e materiale raggiunta pienamente soltanto all’inizio dell’Ottocento.
Con l’emergenza della borghesia anche il pubblico della musica colta
cambiava fisionomia allargandosi rompendo i confini di classe e promuovendo
un’interazione sempre maggiore tra vita musicale e realtà sociale.
Dalla seconda metà dell’Ottocento, la produzione musicale del
passato, fino ad allora oggetto di ispirazione, studio ed esercitazione per
gli addetti ai lavori, diventava sempre più oggetto di consumo passivo
e di culto “museale” presso i teatri d’opera e le società
di concerti. Gli sconvolgimenti politici e morali della prima metà
del Novecento e la contemporanea rivoluzione tecnologica (v. tecnologie)
con l’introduzione dei mezzi per la riproduzione della musica (v. i
mezzi di diffusione), hanno cambiato radicalmente la scena musicale in
Europa e nel mondo. La cosiddetta “crisi della tonalità”
agli inizi del XX secolo, e il superamento del vecchio sistema con la ricerca
di nuovi principi compositivi (la dodecafonia, il serialismo integrale) o
nell’esplicita rinuncia ad ogni regola (aleatoria e casualità),
hanno coinciso con un profondo ripensamento del concetto di opera e di musica
in generale. La materia stessa della musica – il suono – è
diventata oggetto di indagine e di sperimentazione aprendosi a fenomeni che
prima non erano considerati “musicali” (il rumore, i suoni registrati
nella strada e nella natura, i suoni prodotti sinteticamente) generando nuove
visioni dei processi e dei linguaggi compositivi, nonché del contenuto
e della funzione socio-culturale della musica.
Musiche
La cultura musicale occidentale si è sviluppata e trasmessa attraverso
la scrittura allontanandosi sempre più dalle forme spontanee della
“musica quotidiana” delle tradizioni orali – quella che
accompagna il lavoro, le ricorrenze, lo svago della gente comune. La musica
d’arte europea ha inglobato in sé gli idiomi popolari delle diverse
comunità sublimandoli e inserendoli in un sistema complesso di tecniche,
valori estetici, costumi sociali e dinamiche economiche. Il sapere musicale
accumulatosi nei secoli e istituzionalizzato in un sistema di istruzione sempre
più specializzato e mirato, si è diffuso nei cinque continenti
rendendo fruibile il suo splendido “prodotto” (il grande repertorio
della musica occidentale) ma – all’interno del processo di globalizzazione
socio-economica – ha messo a repentaglio un enorme bagaglio di tradizioni
locali che, grazie alla sensibilità e alla lungimiranza di antropologi
ed etnologi (v. etnomusicologia), che a volte si trovavano
tra i missionari e altre volte operavano in conflitto con loro, sono state
salvate come documenti (v. oralità e scrittura)
ma non più come realtà.
La forza prorompente con la quale sta avanzando, negli ultimi decenni, la
musica popolare (c’è chi preferisce l’inglese “popular
music”, per sottolineare la differenza con la “folk music”)
in tutte le sue espressioni e generi, potrebbe essere spiegata, tra l’altro,
come una rivendicazione di un diritto all’espressione musicale spontanea,
comprensibile e, volendo, eseguibile da tutti, ovunque, con o senza appellativi,
con o senza istruzione. Musica della gente e per la gente. L’esame di
questo fenomeno fa emergere alcuni punti in comune con altre culture musicali,
lontane nel tempo e nello spazio dal mainstream della tradizione colta europea:
1) la natura essenzialmente orale del fenomeno;
2) lo stretto rapporto tra espressione poetica ed espressione musicale; tra
sentimento, parola e canto;
3) l’esigenza di novità;
4) la spinta della musica a farsi veicolo delle tendenze rituali di una società:
i miti e i culti individuali e collettivi hanno bisogno della componente dionisiaca
della musica, della sua risposta a e del suo stimolo di una fusione di corpo
e anima, che trova espressione spontanea nel movimento, nel ritmo, nel canto
e nel suono degli strumenti che accompagnano canto e danza.
L’individuo, la comunità e la società che si evolve nell’interazione
tra individuo e comunità, rispondono a questi stimoli con i mezzi che
la musica del tempo e del luogo mette a loro disposizione. Non è un
caso che in un’epoca di sconfinata e saturante “comunicazione”
come la nostra, in un pianeta sempre più piccolo (perché sempre
più globalizzato) troviamo nell’ambito della musica popolare
un po’ di tutto: dai ritmi autenticamente indigeni ai recuperi nostalgici
di melodie dal sapore antico, dalle semplici canzoni d’amore alle sofisticate
costruzioni elettroacustiche, dal rituale di un ballo iberico all’estasi
di un concerto rock, dalla musica “etnica” suonata con alle batterie
amplificate con potenti mezzi tecnologici; dalla musica “classica”
resa jazz o rielaborata per tastiere midi a una “world music”
che annega le proprie radici in un idioma uniforme e ibrido. Lo statuto stesso
dell’ascolto si è modificato radicalmente all’interno di
questa nuova cultura musicale, ed è emerso il fenomeno di un ascoltatore/arrangiatore
che assembla e manipola musiche altrui rivendicando la competenza e il diritto
di costruirne creativamente un proprio mélange personale da consumare
o ascoltare a piacere, liberamente dalle norme estetiche formate nell’ambito
della musica “seria”.
Uno dei compiti più importanti di chi insegna e studia la storia della
musica oggi, è quello di analizzare questa realtà alla luce
dell’esperienze del passato e all’interno dei contesti culturali,
sociali ed economici del presente. La prospettiva antropologica nella ricerca
etnomusicolgica, i nuovi approcci alla cultura musicale in epoche remote (dall’antichità
al Medioevo), la crescente diffusione di studi sulla musica “leggera”
in quanto un fenomeno centrale anche dal punto di vista musicale (e non soltanto
da quello sociologico), e l’apertura sempre maggiore degli studi musicologici
ad un’impostazione interdisciplinare – tutti questi possono favorire
una visione più ampia e più realistica di una realtà
musicale in continua e profonda trasformazione. (TPB)
Riferimenti bibliografici
Carl Dahlhaus e Hans Heinrich Eggebrecht, Che cos’è
la musica? (1985), trad. it. di A. Bozzo, Bologna, Il Mulino, 1988.
Francesco Giannattasio, Il concetto di musica in una prospettiva culturale,
Enciplodeia della Musica, diretta da J.-J. Nattiez, vol. III (Musica e culture),
Torino, Einaudi, 2003, pp. 679-1004.
Jean Molino e Jean-Jacques Nattiez, Tipologie e universali,
Enciplodeia della Musica, diretta da J.-J. Nattiez, vol. V (L’unità
della musica), Torino, Einaudi, 2005, pp. 331-366.