Musica strumentale

 

Medioevo: quale musica strumentale?

La musica strumentale fino all’età moderna (1400-1500) versa in una condizione apparentemente contraddittoria: attestata da innumerevoli documenti iconografici sin dall’antichità, ci sfugge quasi del tutto per ciò che riguarda i contenuti strettamente musicali, che nessuna fonte o quasi contribuisce a documentare in modo specifico. Al contrario di quanto avviene nella musica vocale, trasmessa in gran copia da fonti manoscritte o a stampa, tramite le quali premeva garantire la sopravvivenza e la diffusione, innanzitutto, dei repertori poetici ad essa correlati, la musica strumentale ha vissuto a lungo a fianco del repertorio vocale senza lasciar traccia scritta della propria presenza: sappiamo che c’era (ed era anzi un requisito indispensabile sin dal MOTTETTO ISORITMICO* e dalle forme dall’ARS NOVA*, i cui tenores, erano spesso affidati non a voci ma a strumenti) ma le fonti non ce ne danno notizia diretta, né conosciamo con certezza le modalità con cui, lungo tutto il Medioevo, gli strumenti sostenevano e/o sostituivano le parti vocali; la prassi esecutiva della musica strumentale del Medioevo ci è nota insomma solo in parte, e talora per via intuitiva e non documentale. Il repertorio eseguito, fino all’età moderna, non era quindi altro che il repertorio vocale condiviso tra voci e strumenti secondo rapporti mutevoli, in relazione alle diverse occasioni e alla disponibilità di strumentisti e cantori.


Progressiva definizione di un repertorio

Alcuni brani, privi di proprio testo poetico, erano concepiti appositamente per l’esecuzione strumentale: a parte il caso dell’estampie (costituita da una serie di sezioni accostate, concluse con formule differenti), da annettersi forse al genere strumentale ‘puro’, si trattava perlopiù di danze (trotto, saltarello), e ciò contribuì non poco alla definizione di un repertorio ben connotato ove alla parola veniva a sostituirsi il movimento del corpo – o la semplice idea astratta di tal movimento -: di qui la sussistenza nel repertorio strumentale dei secoli a venire di brani ‘in tempo’ o ‘col carattere di danza’ anche laddove il diretto impiego coreutico era decisamente dismesso. Ma anche in questo caso occorre sottolineare che ben poco è sopravvissuto in forma scritta, trattandosi perlopiù di repertori affidati alla tradizione e alle usanze locali, tramandate per secoli da generazioni di strumentisti, figure non certo di primo piano nella scala sociale antica e medievale, e quindi non nella condizione di fissare autorevolmente, in forma scritta, il loro patrimonio esecutivo.

Nel Rinascimento gli strumenti musicali divennero oggetto di studi specifici, di carattere prevalentemente scientifico-organologico, che contribuiscono a informarci sulla gamma sonora effettivamente disponibile e quindi sull’impiego di tali strumenti nel repertorio della musica vocale-strumentale coevo. Nel Musica getutscht und ausgezogen (Sommario di scienza della musica, 1511) di Sebastian Virdung e soprattutto nel celebre Syntagma musicum di Michael Praetorius del 1618 si danno ampie informazioni strutturali sugli strumenti allora in auge, talora supportate da incisioni esplicative. Oltre ai più noti e affermati strumenti a corda (viola da gamba o da braccio, all’origine delle moderne famiglie di archi) si ebbe fra Medioevo e Rinascimento una considerevole varietà di strumenti a fiato (cornetti, tromboni, trombe), disposti in famiglie a seconda del registro di ognuno, dal grave (basso) all’acuto (soprano) (v. strumenti musicali). La gamma strumentale persegue lo stesso principio di ‘copertura’ integrale dello spazio sonoro già praticata dal repertorio vocale, per il quale il compositore già disponeva di voci differenziate per altezza, estensione e timbro.

Sin dal Cinquecento va affermandosi una tecnica di scrittura specifica per la musica strumentale, l’intavolatura, maturata nel repertorio per liuto, ma talora applicata anche ad altri strumenti (ad es. organo e clavicembalo, o alcuni strumenti a fiato) in cui vengono annotate non le altezze delle note, bensì la posizione della mano dell’esecutore sulla cordiera (o sui fori); di qui anche la progressiva definizione di un repertorio specifico, reso autonomo dalla voce umana.


Prime forme strumentali

Alla definizione di un repertorio specificamente strumentale concorsero soprattutto i due maggiori strumenti a tastiera, organo e clavicembalo (v. strumenti musicali), cui furono nel Cinquecento destinate specifiche composizioni strumentali, le prime documentate in gran copia dalle stampe dell’epoca e nettamente definite nella struttura e nello stile; si tratta del ricercare e della toccata, il primo di impianto prevalentemente polifonico (il corrispettivo, si direbbe, del mottetto vocale), la seconda dal carattere liberamente improvvisativo (ma non priva all’occorrenza di sezioni contrappuntistiche): carattere suggerito sin dal nome, che allude al contatto fisico con lo strumento. Per la prima volta si fissano in tali composizioni gli elementi ‘idiomatici’ della scrittura per tastiera attraverso i quali far rifulgere le doti esecutive degli strumentisti: perlopiù, in quest’epoca, scale ascendenti e discendenti, imitazioni fra le due mani, ‘diminuzioni’ ed altre figurazioni ritmico-melodiche di matrice propriamente ‘digitale’ non riconducibili a stereotipi già praticati nella musica vocale. A queste due forme prevalenti si aggiungono altre composizioni di stile improvvisativo, quali la fantasia e il praeambulum (antenato del successivo PRELUDIO*), la canzona, derivata alla lontana dalla CHANSON* francese, genere polifonico vocale, e suddivisa in più sezioni, forme di danza quali pavana, gagliarda e passamezzo, nonché l’allemanda e la corrente, destinate ad un fulgido futuro in epoca barocca, spesso combinate fra loro (è il criterio della pur successiva suite). Tali forme di danza vanno ad arricchire il patrimonio già significativo del ballo di corte e talora beneficiano di pubblicazioni ad esse specificamente riservate (memorabili quelle di Petrucci e di Attaingnant).

In queste tipologie, sia di matrice vocale, che coreutica, che liberamente improvvisativa, inizia a farsi strada, e talora anche a fissarsi su carta, il principio della variazione (v. tema con variazioni), non di esclusiva pertinenza strumentale, ma soprattutto in questo repertorio funzionale alla definizione della struttura e dell’impianto complessivo dei brani anche in epoche successive. Oltre alla tradizione italiana, spicca tra fine Cinque ed inizio Seicento la scuola tastieristica inglese (dei ‘virginalisti’), il cui ampio repertorio ci è trasmesso dal celebre Fitzwilliam Virginal Book, stilato attorno al 1620, che dà conto di una vasta produzione caratterizzata da particolare insistenza proprio sul principio della variazione e ancor più della ‘collana’ di variazioni poste in stringata successione, tipologia mai più abbandonata in epoca barocca, classica e romantica.

D’altra parte la ‘concertazione’ fra voci e strumenti assume rilievo sempre maggiore e a fine Cinquecento si manifesta con particolare brillantezza nella ‘scuola veneziana’, dai Gabrieli a Monteverdi. In quest’epoca inizia anche a farsi strada, in modo del tutto generico, il termine sonata, destinato ad ampia diffusione nei secoli a venire, riservato a brani per uno o più strumenti, sul filo della tradizione che origina dalla canzona. Al primo Seicento risalgono anche l’affermazione del genere polistrumentale, con strumenti predeterminati o lasciati in tutto o in parte alla libera scelta degli esecutori, e la diffusione stabile di una nuova pratica di accompagnamento, detta basso continuo (v. tonalità), consistente nell’indicazione numerica, sul pentagramma più grave, degli accordi da realizzarsi di momento in momento, debitamente arricchiti da elementi improvvisati, da parte di uno o più strumenti deputati a quel ruolo (organo, clavicembalo, liuto, chitarrone ed altri), a sostegno dei restanti strumenti e/o voci.


Musica polistrumentale e musica in più movimenti

Durante il XVII secolo pure si definiscono altri generi capitali di musica strumentale, soggetti nei secoli a continue modifiche in relazione al gusto e alla pratica musicale corrente ma sostanzialmente riconoscibili nelle loro matrici originarie. Oltre alla sonata, per un solo strumento o per più strumenti (da cui anche la sonata a tre, destinata a due violini e basso continuo, nelle due tipologie ‘da chiesa’ e ‘da camera’), la SINFONIA*, composizione polistrumentale – ossia orchestrale – dapprima relegata al ruolo di interludio in opere teatrali o sacre, quindi genere indipendente, e infine il concerto, termine denso di significati e di accezioni ad esso correlate (‘concertare’, ‘concertante’, ‘concertato’) ma invariabilmente contraddistinto dalla dimensione dialogica di ‘solo’ o ‘soli’ contrapposto/i a ‘tutti’: relazione identificata a fine Seicento dai termini di ‘concertino’ (i solisti, talora riassumibili nell’organico della sonata a tre) e ‘concerto grosso’ (l’orchestra nel suo complesso). Il concerto grosso viene ad essere appunto una tipologia a sé, secondo l’assetto sopra definito, a fianco del concerto solistico (il ‘concertino’ è lì espresso da un solo strumento) e del concerto di gruppo (affine alla sinfonia secentesca, polifonico-imitativo senza distinzione preliminare fra ‘solo’ e ‘tutti’).

Al tempo stesso fra Sei ed inizio Sette si amplia il repertorio monostrumentale a carattere di variazione (nelle accezioni di partita, passacaglia e ciaccona), laddove la ‘variazione’ è costituita dalla riproposizione perlopiù costante di una sequenza accordale di base (talora tradizionale o di derivazione popolare) cui vengolo giustapposte strutture melodico-imitative sempre diverse e non necessariamente correlate fra loro da similitudini motivico-tematiche. La linea che aveva portato dal mottetto al ricercare (come sopra specificato) perviene nella stessa epoca alla definizione di una nuova tipologia compositiva monostrumentale di carattere imitativo, la fuga, che manterrà una propria presenza nel repertorio dei secoli successivi, fino alla modernità, e un preciso assetto formale. Le sequenze di danze vengono raggruppate in una successione piuttosto standardizzata, per caratteri contrapposti (dopo un preludio iniziale, l’allemanda, la corrente, la sarabanda, la giga, per citare solo le danze più note), e prendono il nome di suite o talora di partita.


Stile e forme classiche

Attorno alla metà del XVIII secolo una netta svolta nel linguaggio musicale (attenuazione della scrittura contrappuntistica, maggiore valore conferito alla dimensione melodica e alle sue trasformazioni secondo i principi della elaborazione motivica) induce una progressiva modifica delle forme e dei generi acquisiti e in certi casi l’introduzione di nuove tipologie, in direzione di quello che viene comunemente inteso come classicismo musicale, vale a dire l’era di Haydn, Mozart, Beethoven. Fra le tipologie compositive più caratteristiche di quest’epoca il quartetto per archi (due violini, viola, violoncello), derivato dalla scrittura ‘a quattro’ propria della compagine orchestrale standard e dall’uso di impiegare il ‘concertino a quattro’ nei concerti barocchi; a fianco del quartetto, espressione musicale complessa e destinata ad un pubblico di intenditori, convivono altri generi di musica da camera: il brillante trio per pianoforte, violino e violoncello, il quintetto ed altro (fra cui svariati generi destinati appositamente all’esecuzione all’aria aperta). Parallelamente la diffusione del concerto solista, già ampiamente praticato in Italia e Germania nella prima metà del Settecento, sopravanza quella del concerto con più ‘soli’; la SINFONIA* a sua volta beneficia di una orchestra di maggiori dimensioni e ricchezza timbrica tramite la presenza ormai stabile di strumenti a fiato (dapprima oboe, flauto e fagotto, quindi corni, trombe e tromboni, infine il più moderno clarinetto).

La suddivisione in più movimenti di ogni tipologia compositiva si stabilisce nel numero di tre (sonata, concerto e talora sinfonia) o quattro (ancora sonata, quartetto e altre forme cameristiche, sinfonia), di carattere contrapposto ma seguendo una logica tonale complessiva (i diversi movimenti tendenzialmente in tonalità vicine). La struttura interna dei singoli movimenti, ma soprattutto quella dei movimenti estremi, primo ed ultimo, si modella ai canoni della cosiddetta forma sonata (teorizzata solo nel XIX secolo), di origini complesse e molteplici (la forma bipartita del barocco, ma anche l’aria col da capo - v. aria - della tradizione operistica seria), caratterizzata da materiale motivico differenziato collocato ora sulla tonica ora sulla dominante (v. scala) e successivamente trattato secondo i principi della elaborazione motivica (ossia variato nella sostanza e nel carattere) quindi riproposto alla sola tonalità della tonica. A fianco dei movimenti in forma sonata continua ad essere applicata la forma tripartita già dell’aria (ABA) e la forma del rondò, di più recenti origini e fondata sull’alternanza di un motivo principali e i motivi alternativi (ABACADA etc.).


Otto e Novecento

Il primo Ottocento veniva quindi a disporre di un patrimonio di forme strumentali assai ampio, variegato ed idoneo ad esecuzioni in ambienti ristretti, al cospetto di un pubblico selezionato, o in ambienti appositamente destinati ad una utenza ampia ed indifferenziata, secondo i lineamenti del moderno concerto pubblico, sviluppatosi nel corso del XVIII secolo: un patrimonio che fu conservato pressoché intatto nei principali elementi formali (pur nella maggiore complessità del lessico armonico impiegato). Si accentuano semmai la dimensione virtuosistica della scrittura strumentale, espressa nella sonata, nel concerto solistico e nei brani solistici in cui specificamente l’aspetto tecnico diviene oggetto di innovazione e sperimentazione, fra cui i generi dello studio e del capriccio. Si diffonde anche uno spiccato interesse per il pezzo breve ‘caratteristico’, già tentato nel secolo precedente e agli albori del nuovo (ad es. nelle Bagattelle di Beethoven) ma dagli anni Trenta-Quaranta assai più diffuso e dotato di propria autonomia estetica (notturno, romanza senza parole, preludio, intermezzo etc.). A livello estetico la musica diviene incline a farsi carico anche di contenuti extramusicali (poetici, storici, filosofici), sia in brani isolati sia in collane di pezzi caratterizzati da un proprio ‘argomento ideale’ (ad es., in Schumann, Kinderszenen, Waldszenen etc.); a fianco della cosidetta musica assoluta, fondata su contenuti strettamente musicali, senza ‘rinvii’ apparenti, si diffondono l’idea e la pratica della musica a programma, rintracciabili con grande evidenza nel poema sinfonico, in cui alla dimensione sonora-strumentale vengono affidati ruoli narrativi o quantomeno allusivi a contesti altri, apertamente dichiarati o talora descritti da titoli e da appositi ‘programmi di sala’ (da Liszt a Strauss ed oltre). A livello formale la tradizionale forma sonata si amplia in alcuni casi sino ad inglobare la sequenza dei diversi movimenti in un’unica vasta arcata formale articolata al suo interno: si parla allora di forma sonata ciclica, caratterizzata fra l’altro dal reimpiego del medesimo materiale motivico in ogni momento della composizione. Nella seconda metà del secolo la SINFONIA* della tradizione va per suo conto dilatandosi nel decorso temporale, talora accrescendo il numero dei movimenti, e giunge ad accogliere in sé elementi non strettamente sinfonici (Lied, coro); esperienze peraltro già tentate nella prima parte dell’Ottocento (Beethoven, Berlioz, Mendelssohn), ma in forma occasionale.

Per suo conto il Novecento storico (ossia il primo Novecento), pur nella sua complessità e nella estrema varietà dei linguaggi musicali impiegati e relative contaminazioni, erediterà le tipologie classiche affiancandole a quelle barocche o a modelli compositivi ancora più antichi, riconsiderati alla luce di nuove esigenze espressive e stilistiche: a livello di definizione e astrattamente tipologico ben poco di nuovo sarà inventato, ma ogni brano richiederà una analisi appropriata per identificarne l’esatta matrice, a prescindere dall’intitolazione ad esso assegnata. Pur sotto l’influenza della tradizione la ricerca formale infatti non cessa e perviene alla delineazione di strutture e processi del tutto innovativi, quali la forma ad arco, la variazione in sviluppo e molto altro. Finché, più o meno dal secondo dopoguerra, ogni inquadramento in termini di ‘genere’ e ‘forma’ diverrà problematico in sé e sarà superato da istanze totalmente rinnovate: la ricerca di nuovi linguaggi, forme e generi mediante l’ausilio della tecnologia o di altre risorse, motivazioni estetiche perlopiù dissociate dall’estetica tradizionale, un rapporto dialettico col pubblico fondato non più sull’identificazione e la condivisione del già noto, ma semmai sulla messa in discussione di ogni retaggio storico nella percezione dell’opera d’arte e, a sua volta, del mutevole rapporto dialettico fra il pubblico e la medesima. (AC)


Riferimenti bibliografici

Anthony Baines, Storia degli strumenti musicali, Milano, Rizzoli, 2002

Lorenz Welker, La nascita della musica strumentale, in Enciclopedia della musica, diretta da J. J. Nattiez, IV, Storia della musica europea, Torino, Einaudi, 2004, pp. 267-295

Franco Piperno, Modelli stilistici e strategie compositive mdella musca strumentale del Seicento, ivi, pp. 430-446

William Drabkin, La musica da camera da Haydn alla fine dell’Ottocento, ivi, pp. 698-712