Fantasia
L’impossibilità di determinare univocamente le caratteristiche
generali, stilistiche e formali, proprie della fantasia è in
certo modo implicita nella sua stessa denominazione (derivante dal
greco ‘phantasìa’, che vale ‘rappresentazione
visiva’, ‘facoltà immaginativa’). Se, infatti,
nei primi decenni del Cinquecento per fantasia si intendeva un brano
strumentale scaturito dall’estro musicale e dal virtuosismo
esecutivo del compositore, nel corso dei secoli successivi, e sino
all’Ottocento, i significati relativi al titolo polisemico di
fantasia configurano un ampio campo semantico, la cui estensione va
dalle accezioni che esprimono estemporaneità e assoluta licenza
riguardo alle convenzioni formali e di stile, sino alle connotazioni
che, all’estremo opposto, rimandano all’adozione di modelli
strutturali definiti e di rigorosi processi contrappuntistici.
Come si è detto, il nome fantasia era inteso sin da principio
come significante il concetto di immaginazione musicale, giusta l’accezione
originaria del termine, e come tale indicava senz’altro la pratica
dell’improvvisazione strumentale;
non desta meraviglia il fatto che il termine ‘fantasia’
fosse spesso inteso, nei secoli XVI e XVII, come sinonimo di ricercare
e di altre denominazioni (come, ad esempio, in area germanica ‘Präambel’)
comunque riconducibili all’area semantica della performance
libera ed estemporanea e dell’esibizione tecnico-virtuosistica.
Non essendo intonazione di un testo poetico, la fantasia era slegata
dai vincoli che comporta la relazione tra poesia e musica; ma dalla
polifonia vocale, sin dalle origini, essa traeva la tecnica dell’imitazione
(v. glossario) quale principio
compositivo fondamentale, sia che essa fosse destinata ad un complesso
strumentale, sia che fosse concepita per l’esecuzione su un
solo strumento polivoco (il liuto, la viuhela, strumenti a tastiera).
Connotata profondamente da una scrittura definita da tipici idiomatismi
strumentali, la fantasia divenne presto il luogo eletto per il dispiegamento
della somma maestria contrappuntistica (v. contrappunto*) ed al contempo
occasione ideale per dar prova del perfetto dominio della tecnica
esecutiva (è il caso di ricordare che l’improvvisazione
di una fantasia in contrappunto a quattro parti, su un soggetto tratto
a caso, costituiva una delle prove da superare per ottenere l’incarico
di organista in S. Marco a Venezia, al tempo di Andrea Gabrieli).
Sul piano compositivo, il problema dell’unità della composizione
era spesso risolto con l’adozione dell’assetto monotematico,
ovvero elaborando contrappuntisticamente in una serie di sezioni distinte
un unico soggetto, spesso tratto dal repertorio della polifonia vocale
sacra o profana (la fantasia parodia
cinquecentesca e di primo Seicento); altrimenti, la fantasia poteva
essere costruita con due, tre, quattro temi. Frequentemente, soprattutto
per l’esigenza di bilanciare l’eterogeneità del
materiale musicale, la coesione era ricercata sul piano modale, mediante
il rigoroso mantenimento di un determinato ambito (v. modalità)
così si motivano denominazioni quali ‘fantasia primi
toni’, ‘fantasia secundi toni’, ecc. Se un unico
soggetto era ripetuto costantemente per tutto lo svolgimento della
composizione, contro figurazioni vieppiù ricche ed animate,
si configurava il tipo della fantasia ostinato;
fantasia cromatica, invece, è
detta quella costruita applicando ad un tema cromatico l’elaborazione
contrappuntistica tipica della fuga; infine,
non estranea alla forma della fantasia è la strutturazione
per la quale, in un contesto imitativo meno austero, gli stessi segmenti
melodici sono presentati nelle diverse voci, non a guisa di fuga ma
secondo il noto stilema dell’imitazione dell’eco.
L’estrema libertà formale della fantasia consente in
ogni caso ai compositori di attingere opzioni struttive e soluzioni
stilistiche dai modelli più o meno stabilmente fissati nelle
forme e nei generi contemporanei.
Nel secolo XVIII, la fantasia continua a mantenere le principali connotazioni
che, sin dalle origini tardorinascimentali, ne definivano l’identità:
la propensione allo sfoggio di bravura, l’estrema libertà
metrica e ritmica, peculiare dell’esecuzione improvvisa e talora
evidenziata dall’omissione delle stanghette di misura; infine,
ormai in ambito perfettamente tonale, il passaggio per audaci percorsi
armonici. Nel secolo successivo, e nella temperie romantica, in un
contesto nel quale le forme musicali sono sottoposte a una progressiva
cristallizzazione, la fantasia è vieppiù considerata
come la forma nella quale il compositore può giovarsi ancora
di ampi margini di libertà, sia nel trattamento dei soggetti,
che nella sperimentazione stilistica. In tal modo essa acquisisce
maggiore estensione, e, corrispondentemente, un’articolazione
tematica più complessa, spesso costituendosi come un’unità
nella quale sono accolte ed integrate ampie sezioni, quali, ad esempio,
interi movimenti; secondo una siffatta configurazione sono strutturate
le fantasie su celebri temi tratti da opere liriche, in specie pianistiche,
ove il virtuosismo gioca un ruolo di
assoluto predominio. Alla categoria estetica del recupero arcaistico
sembra debba essere ascritta la fantasia primonovecentesca, della
quale numerosi e notevoli sono ovviamente gli esempi appartenenti
al repertorio organistico (nel quale si rileva una forte influenza
bachiana), non mancando, d’altra parte, composizioni destinate
ad ensemble cameristici o – con dimensioni formali di più
ampio respiro – a gruppi orchestrali. (GMa)