Fuga
Derivante dal latino ‘fuga’, il termine all’origine
(sec. XIV) è sinonimo di ‘caccia’, e come tale
indica una composizione strutturata in base a procedimenti imitativi
a canone. In seguito, il nome fuga significa sia l’arte del
contrappunto imitativo rigoroso (accezione prevalente nei secc. XV-XVII),
sia, metonimicamente, ciascuna delle opere composte in base a tale
tecnica compositiva (significato predominante dal primo Settecento
ad oggi).
Il meccanismo del canone è infatti
il cardine della logica espositiva della fuga: la linea melodica x
esposta nella voce (o parte) A è ripetuta, identica o pressoché
identica, nella voce (o parte) B. La prima enunciazione tematica prende
il nome di soggetto (impiegato dal teorico
Gioseffo Zarlino, ma altre possibili denominazioni usate nel passato:
‘thema’ ‘guida’, ‘antecedens’,
‘dux’, etc.); la ripetizione si dice, ancora con Zarlino,
ripresa (in epoche più o meno
remote era chiamata variamente ‘repetitio’, ‘replica’,
‘consequens’, etc.). All’epoca tardorinascimentale
risalgono le varie prescrizioni riguardanti i rapporti intervallari
tra soggetto e risposta, finalizzate, in ultima analisi, a garantire
la perspicuità della scelta modale (v. modalità);
in seguito, tali prescrizioni divengono regole più o meno rigide.
La norma che si afferma sin dal medio Seicento è quella per
la quale i gradi (v. scala)
sui quali deve situarsi la risposta sono il quinto o il quarto (in
precedenza, erano praticate anche altre possibilità: innanzitutto,
coerentemente con l’impostazione a canone, la risposta si dava
all’unisono e all’ottava, ma erano contemplate anche alla
seconda e alla nona). Inoltre, secondo una pratica invalsa sin dal
tardo Cinquecento, la risposta può essere ‘reale’
o ‘tonale’: reale, se il principio del canone è
rigorosamente osservato, ed essa si presenta assolutamente identica
al soggetto; tonale, se essa subisce alcune modificazioni necessarie
perché il profilo melodico sia del tutto coerente con l’assetto
armonico-tonale (v. tonalità)
della composizione. Tornando ora al processo espositivo fondamentale
della fuga, mentre la voce B enuncia la risposta, la voce A, esaurito
il soggetto, prosegue con una linea melodica relata contrappuntisticamente
(v. contrappunto*) alla risposta medesima: tale linea è detta
pertanto controsoggetto.
Nel dibattito musicologico contemporaneo, definire quali siano le
proprietà formali elementari della fuga – e addirittura
lo stesso stabilire se essa sia in realtà una forma –
è tema alquanto problematico. Dal medio Seicento circa, attraverso
la varia elaborazione di paradigmi sussuntivi degli innumerevoli ed
eterogenei casi particolari, si viene a definire progressivamente
ad opera dei teorici un modello generale, anzi, classico di fuga ‘culta’,
del quale l’esemplare preclaro è rappresentato dalla
sistemazione normativa di J.J. Fux (Gradus ad Parnassum, II, 1725).
Tale schema (il cui valore risulta limitato, tra l’altro, dal
fatto che esso è stato elaborato privilegiando le composizioni
posteriori al 1700), si fonda essenzialmente su tre principi, strettamente
interrelati: 1) l’uso del contrappunto imitativo rigoroso, e
dei relativi artifici tecnici; 2) il monotematismo; 3) la centralità
e la coerenza dell’assetto tonale – conseguita attraverso
l’esaltazione dell’intellettualismo, che è, con
la componente ludica, una delle qualità peculiari della tecnica
contrappuntistica.
Il paradigma generale della fuga si articola nelle seguenti partizioni:
a) ESPOSIZIONE: è la sezione iniziale
della fuga, più delle altre soggetta alla cogenza delle norme,
costituita dal soggetto, dalla risposta e dal controsoggetto. Le entrate
– entrata è detto l’iniziare, in ciascuna delle
voci, del soggetto o della risposta – devono di norma avvenire
a distanza regolare e costante, in modo che ogni entrata avvenga quando
la precedente enunciazione del soggetto si sia completata (naturalmente
soggetto e risposta si alternano ordinatamente nelle varie voci);
ciascuna voce enuncia il soggetto o la risposta solo una volta (solo
eccezionalmente la prima voce può enunciare nuovamente il soggetto
al termine dell’esposizione) e ad altezze diverse (nella fuga
a quattro voci le entrate possono essere disposte ordinatamente dall’acuto
verso il grave o viceversa, oppure coppie alterne di voci). Talvolta,
per ottenere un perfetto raccordo tra soggetto e risposta è
necessario aggiungere al soggetto una CODA.
Il controsoggetto accompagna la prima risposta e tutte le successive
enunciazioni del soggetto (tranne per l’ultima voce). In taluni
casi il controsoggetto può accompagnare la prima enunciazione
del soggetto: è tratto definitorio di quella che da alcuni
è definita ‘fuga doppia’.
b) EPISODI o DIVERTIMENTI: sezioni di
transizione, a carattere modulante, costituite da materiale motivico
(incisi o frammenti) tratto dal soggetto o dal controsoggetto. Talora,
il soggetto può esservi enunciato, ma in una tonalità
diversa da quella d’impianto (in genere nel contesto di progressioni
modulanti) e può essere sottoposto ad artifici contrappuntistici.
Dopo il primo divertimento può essere inserita una CONTROESPOSIZIONE,
ovvero una sezione nella quale è rienunciato il nesso soggetto-risposta,
in ordine inverso: risposta (V o IV grado)-soggetto (I grado).
c) REPLICHE: sono ulteriori enunciazioni
del soggetto e delle risposte nelle tonalità relative o vicine
a quella fondamentale.
d) STRETTO: è la parte conclusiva
della fuga, costituita dalle enunciazioni, nell’ambito della
tonalità d’impianto, del soggetto e della risposta, con
la particolarità che le entrate della risposta sono qui ravvicinate
al relativo soggetto. Un pedale di tonica può enfatizzare il
carattere conclusivo e cadenzale dello stretto, al quale può
seguire inoltre una coda.
Ovviamente, non può che essere tutt’affatto relativa
la rispondenza dello schema generale or ora delineato – presunta
ipostasi – a ciascuna delle particolari attuazioni tratte dai
diversi repertori – dovesse pure trattarsi delle fughe bachiane,
per tradizione quasi antonomasticamente assunte a specimina del genere.
Notiamo, in margine, che le caratteristiche e gli elementi
relativi al modello generale delle fuga ‘classica’ sono
sostanzialmente ripresi nel rigido paradigma noto come fugue
d'école, elaborato tra i primi decenni dell’Ottocento
e i primi anni del Novecento ad opera, per lo più, di teorici
attivi nell’ambito del conservatorio di Parigi. Caratterizzato
principalmente dalla grande importanza – immotivata sul piano
storiografico – attribuita alla controesposizione e al pedale,
certamente non destinato allo studio e all’analisi della forma
nel suo divenire storico, tale modello accademico è concepito,
soprattutto nella sua formulazione definitiva (A. Gédalge,
Traité de la fugue, 1901), come un dettagliato e rigoroso prontuario
destinato agli allievi impegnati ad apprendere, attraverso l’arte
della fuga, la tecnica fondante del magistero compositivo. (GMa)