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Concerto

Se la sonata a solo coinvolge singoli esecutori, producendo un meccanismo comunicativo ‘diretto’, dall’esecutore al pubblico, se sinfonia*, quartetto, trio, nell’unità della compagine esecutiva (orchestrale o cameristica) e nel rilievo variabile che i diversi strumenti vi guadagnano di momento in momento, generano un effetto musicale che diremmo ‘collettivo’, ‘assembleare’, cui il pubblico assiste prendendo atto delle soluzioni proposte, il concerto come genere presuppone la presenza di uno o più solisti e di un ensemble (il ‘tutti’) con cui il solista o i solisti ‘dialogano’ manifestando una intesa variabile di caso in caso e istituendo così un meccanismo referenziale che prim’ancora che coinvolgere il pubblico pare riguardare loro stessi, i reciproci equilibri e l’espletamento della funzione musicale loro attribuita. In questo suo profilo strutturale e linguistico, che conferisce un senso latamente ‘drammatico’ al brano, il concerto non assomiglia ad alcuna delle altre forme classiche: persino la sonata per due strumenti (pianoforte e violino, poniamo), che apparentemente incarna una simile dualità, viene perlopiù a prefigurarsi come la formalizzazione di una ‘collaborazione paritaria’ (rivelata anche dall’interscambio d’un medesimo materiale motivico), che non come l’animato confronto di due punti di vista, consimili o dissimili che siano. Ma non è questa l’unica singolarità del concerto, come genere e come forma.

Il termine ha etimologia incerta (dal latino concertare la derivazione attualmente ritenuta più probabile) e origini tardocinquecentesche, con riferimento a generi vocali-strumentali (Banchieri, Croce, Viadana, poi Monteverdi). Fu durante il periodo tardobarocco (fra ultimo ventennio del secolo XVII e i primi decenni del successivo) che il genere trovò massima diffusione nelle diverse sue tipologie – ormai esclusivamente strumentali - in relazione alla compagine solistica impiegata: nel concerto grosso (Stradella, Corelli etc.) questa si individua nel cosiddetto ‘concertino’, costituito da un piccolo gruppo di solisti (inizialmente l’organico della sonata a tre: due violini e violoncello), contrappopposto al ‘tutti’ (cui pure il ‘concertino’ viene ad associarsi ai luoghi opportuni); nel concerto solistico il concertino si contrae ad un solo esecutore, appartenente a qualsivoglia famiglia strumentale (del gruppo degli archi o dei fiati soprattutto, ma in area nordica anche il clavicembalo o l’organo: Bach, Haendel), mentre nel cosiddetto concerto di gruppo (ad es. i Concerti per archi di Vivaldi), derivato dalla sinfonia secentesca, il solista manca del tutto e la ‘concertazione’ è affidata alla totalità dell’ensemble: si tratta di un genere che rifluirà direttamente nella sinfonia*, genere con cui, inizialmente, mantiene una certa interscambiabilità terminologica. In ogni caso tre sono di norma i movimenti, di cui quello centrale, concepito dapprima quale una semplice introduzione d’andamento lento al movimento successivo, assume rilievo e autonomia crescente sin nel primo Settecento, e da allora manterrà un ruolo e una dimensione paritaria rispetto agli altri movimenti.

La logica strutturale che governa ogni movimento e che diviene la caratteristica primaria del genere risiede nell’avvicendamento fra gli interventi ‘propositivi’ del ‘concertino’ o del ‘solo’ e quelli ‘confermativi’ del ‘tutti’, avvicendamento replicato per tutta la durata (variabile) del movimento attraverso un percorso armonico lineare, volto essenzialmente a sostenere un impianto dialogico serrato, in cui le proprietà idiomatiche degli strumenti solisti trovino adeguata valorizzazione. Il materiale motivico può caratterizzare separatamente ‘solo’ e ‘tutti’, secondo il principio della ‘polarità’, mantenendoli quindi su piani distinti, oppure circolare da ‘solo’ a ‘tutti’; si parla allora di ‘reciprocità’. Entrambe le condizioni avranno ampia eco nel repertorio successivo.

In epoca preclassica e classica, a seguito della progressiva affermazione di ciò che i teorici ottocenteschi denomineranno forma-sonata, un nuovo assetto formale si fa strada in tutte le forme strumentali, che lo assorbiranno con modalità variabili. Questo assetto, determinato da una articolazione formale tripartita (esposizione ritornellata, sviluppo, ripresa, talora ritornellata) in cui si realizza il progressivo consolidamento della tonalità di impianto (v. tonalità) attraverso un processo dialettico cui prendono parte uno o più temi, si avvale pure di una logica intrinsecamente ‘drammatica’, che si esprime sia nel confronto fra temi di diverso carattere e diversa tonalità, sia nel trattamento cui questi temi vengono sottoposti sulla base dei principi dell’elaborazione motivica, sia appunto nel percorso di assestamento armonico che il brano traccia attraverso le sue diverse sezioni, fino alla ripresa del materiale tematico tutto alla tonalità della tonica (v. scala). Nel caso del concerto questo processo compositivo, divenuto negli anni Sessanta-Settanta del secolo XVIII il principale metodo di scrittura nel genere strumentale, viene a confrontarsi con la tradizionale ‘forma ritornello’ del barocco, mai totalmente tramontata. Di qui la sovrapposizione organica di due diverse logiche, atte a soddisfare altrettante condizioni, che rendono la struttura del concerto, almeno in parte, diversa rispetto a quella della sonata, della sinfonia etc.

Queste singolari proprietà del concerto classico (individuabili, in diversa misura, nel repertorio di Johann Christian Bach, Haydn, Mozart, Beethoven) si colgono soprattutto nel primo movimento (ma non disertano gli altri), ove si applica la forma-sonata tripartita e ciononostante si mantengono in vita alcune delle proprietà del concerto delle epoche antecedenti. Questo sdoppiamento di funzioni lo si individua soprattutto:

- nella sostituzione del ritornello dell’esposizione proprio della forma-sonata con una ‘riesposizione’ differenziata e caratterizzata dall’ingresso del solista, cui spetta anche di introdurre la dominante (quando l’esposizione orchestrale si mantiene perlopiù alla tonica): il far coincidere solista e modulazione alla dominante (v. tonalità) significa accentuare la dualità insita nel genere concerto, inscrivendola nella logica della ‘moderna’ forma-sonata;
- nella persistenza dell’alternanza solo/tutti pur nel quadro di un impianto in forma-sonata;
- nel tematismo mutevole di solo e tutti, che può essere caratterizzato sia da ‘polarità’ (temi dissimili fra solo e orchestra, totalmente o in parte) sia da ‘reciprocità’ (temi consimili, interscambiati fra solo e tutti): dalla mutevole natura - consensuale o dissensuale - del trattamento tematico deriverà il carattere di ogni singolo concerto.

La logica dell’avvicendamento si estende a tutti i livelli e persiste anche nei movimenti successivi. Quello centrale, perlopiù in forma ABA o forme derivate, di carattere espressivo, tende ad esempio a concedere la prima parola al solista (che nel primo movimento attendeva, salvo eccezioni, la riesposizione per presentarsi al pubblico ed intraprendere il suo dialogo con l’orchestra); qualora ciò non accada al solista spetterà comunque il compito di aprire il movimento conclusivo, solitamente un brillante rondò, con l’esposizione ‘a solo’ del tema principale: lì la ritrovata comunione – o il definitivo dissidio – fra solista e orchestra guadagneranno una celebrazione definitiva.

Altra caratteristica specifica del concerto, e assai raramente recuperata in altre forme strumentali, è la cadenza solistica, posta verso la conclusione del primo e dell’ultimo movimento, prima della riaffermazione definitiva della tonica: una sezione allora affidata all’improvvisazione (spesso, poi, fissata su carta) in cui riversare, in un’ultima rapsodica sintesi, i motivi già ascoltati arricchiti da soluzioni ornamentali e virtuosistiche, al fine di riproporre la tonica conclusiva con più forza e persuasività. Ampio a tutt’oggi il dibattito sulle cadenze (v. glossario) dei concerti mozartiani, soprattutto laddove non si possegga la cadenza originale: affidarsi al solista di turno, recuperare qualche cadenza storica (qualora se ne disponga), o sopprimere del tutto la cadenza sono le scelte possibili, diversamente apprezzate.

L’ascolto di concerti d’epoca barocca non presenta in genere soverchie difficoltà, ma richiede dall’ascoltatore la cognizione complessiva delle tecniche compositive del tempo, che in questo repertorio come già nella sonata dell’epoca si avvalgono di un contrappunto* sollevato dalle più complesse soluzioni polifoniche e ove si rileva già una propensione al trattamento orizzontale dei temi e motivi: l’alternanza fra soli e tutti o fra soli diversi, la tecnica del concertato (differenziazione stilistica e intreccio fra solo/i e tutti), la progressione armonica, la ripetizione, il ritornello sono fra le soluzioni formali più praticate.

Il concerto classico, pur nella sua specificità, si avvantaggia, si è detto, della eleborazione tematico-motivica, nonché della forma-sonata – sia pure modificata al fine di preservare le proprietà del genere -: all’ascoltatore ne è richiesta quindi una conoscenza sommaria. Peraltro, tra le forme della classicità, il concerto è quella dotata di maggiore spettacolarità e di struttura più evidente; la natura dei temi evidenzia contrapposizioni più appariscenti di quanto non avvenga altrove, l’impostazione dialogica fra solo/i e orchestra, caricata di implicazioni drammatiche, agevola non poco l’ascoltatore, che è messo in grado di individuare con maggiore immediatezza la collocazione di quel determinato momento all’interno della struttura complessiva; le riprese sono sempre molto marcate. Il concerto mozartiano presenta peraltro non poche affinità con l’aria d’opera, per carattere e rapporto fra solo e tutti, nonché per l’impiego di simili figure esornative; a livello stilistico incidono anche le tecniche del concertato pure mutuate dal teatro musicale. In alcuni casi prim’ottocenteschi, in concomitanza con l’affermarsi della figura del grande virtuoso, la compagine orchestrale può limitarsi al ruolo di ‘accompagnamento’ del solista (Hummel, Weber, Chopin, Mendelssohn), svolto con presenza ed incisività variabili: la dimensione virtuosistica ha il netto sopravvento, le complessità strutturali dell’ascolto vengono meno a vantaggio di una fluidità monodimensionale, tutta appunto dalla parte del solista. Come nel caso della sonata non mancano infine nell’Otto e nel Novecento casi di concerti compattati in un solo movimento, secondo i principi della forma-sonata ciclica (celebri i casi di Liszt e di Ravel), in cui si ambisce alla massima fusione del solista – che mantiene comunque una assoluta preminenza nella scrittura strumentale – con la compagine orchestrale, nel tentativo di perseguire totale consequenzialità nelle diverse sezioni del brano, senza concessioni alla tradizione classica della suddivisione di un brano in movimenti fra loro dissimili per stile e contenuti. (AC)

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