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a b c d e f g h i l m n o p q r s t u v z

C

CADENZA. a) Collegamento obbligato/vincolante/preferenziale di due accordi. CADENZA PERFETTA: gradi V - I; CADENZA PLAGALE: g. IV - I; CADENZA D’INGANNO: g. V - VI (anziché V - I); CADENZA EVITATA: g. V - (anziché V - I). b) Sezione solistica vocale o strumentale a carattere virtuosistico-improvvisativo, situato in genere in prossimità della conclusione del brano (in generi che prevedono la presenza di uno o più solisti, quali il concerto, oppure, nell’opera, l’aria vocale).

CADENZA D’INGANNO. CADENZA che collega V e VI GRADO in una successione accordale. È una ‘falsa’ CADENZA PERFETTA (in quanto l’ascoltatore si attenderebbe la RISOLUZIONE V I, anziché V VI) e serve a prolungare lo sviluppo armonico di qualche passaggio - e quindi, indirettamente, la composizione (sovente per motivi di QUADRATURA).

CADENZA EVITATA. CADENZA che collega il V GRADO ad altro grado che non il I, il IV o il VI, spesso con l’introduzione di nuove alterazioni. In genere indica improvvisa MODULAZIONE.

CADENZA IMPERFETTA. CADENZA che collega V e I GRADO in una successione accordale, laddove il I grado non si presenta però allo stato FONDAMENTALE, ma in I RIVOLTO ( utile a prolungare il brano di un passaggio armonico).

CADENZA PERFETTA. CADENZA che collega V e I GRADO in una successione accordale.

CADENZA PLAGALE. CADENZA che collega IV e I GRADO in una successione accordale. Meno incisiva della CADENZA PERFETTA (in quanto non si ha la SENSIBILE), è una eredità dell’antica musica modale (MODALITÀ); è dai compositori tonali impiegata soprattutto nel genere sacro.

CÀNONE. Struttura musicale rintracciabile in forme ed epoche diverse, che talora dà il nome alla composizione intera. Il principio è sempre lo stesso, e consiste nell’iniziare una melodia in una determinata VOCE (strumentale oppure propriamente vocale, detta “antecedente”) per poi riproporre la medesima melodia, inalterata (si parla allora di CONTRAPPUNTO ‘obbligato’) alle altre voci (dette “conseguenti”), una o più. L’ IMITAZIONE della melodia può avvenire a scadenze di tempo regolari, o irregolari; l’ INTERVALLO con cui i “conseguenti” si distanziano dalla melodia base è variabile (si parla infatti di C. all’ottava, alla quinta, alla quarta, all’unisono). L’ imitazione può essere, nel disegno melodico, diretta, ma anche inversa, speculare, e, per quanto riguarda il rapporto ritmico, aggravata o diminuita. Nella polifonia medievale era detto enigmatico il C. in cui le parti “conseguenti” erano ricavate dall’antecedente, l’unica ad essere stesa sulla carta, in base alla risoluzione di un motto, di un indovinello etc.

CANTUS FIRMUS. Nella POLIFONIA medievale e rinascimentale (dal sec. XII in poi), la collocazione di un cantus prius factus, ossia di uno spunto melodico preesistente, direttamente all’interno nelle trame contrappuntistiche. Di solito il C. F. è posto alla voce del TENOR - anticamente la più grave, successivamente soprastante un contratenor bassus o semplicemente bassus, nuovamente composto -, ma vi sono casi di C. F. anche alle voci superiori (ad esempio in certi corali organistici bachiani). Il C. F. aveva dapprima valori ritmici identici alle voci superiori o ampliati nella durata (costituendo così una sorta di pedale); nel sec. XV fu spesso sottoposto ad elaborazioni ritmiche complesse, quali quelle derivate dal principio dell’ ISORITMIA. Il C. F. è derivato per solito dal repertorio gregoriano, ed introdotto in composizioni polifoniche in funzione simbolica, assegnando così loro un ‘fondamento’ liturgico, ma fu spesso assunto anche da composizioni profane di particolare notorietà (caso esemplare quello della canzone popolare francese L’Homme armé, il cui tema costituì il C. F. di parecchie composizioni sacre del Cinquecento.

CANTUS PLANUS. Locuzione latina diffusasi dopo l’avvento delle forme polifoniche, ad indicare il canto monodico della chiesa, non mensurale. Si riferisce al canto romano, al gregoriano, al canto ambrosiano, gallicano, mozarabico etc. L’espressione si trova frequentemente tradotta ad uso locale (plainchant, plainsong, canto llano, Choral etc.).

CARATTERISTICA. Vedi MEDIANTE.

CHIAVE. Segno convenzionale che indica, fra due puntini, la posizione sul pentagramma di una certa nota (il Sol - C. di Sol/violino (1); il Fa - C: di Fa (2); il Do - C. di Do (3). La C. di Fa si impiega in due diverse posizioni: come C. di basso e di baritono; la C. di Do in cinque diverse posizioni: come C. di soprano, mezzosoprano, contralto, tenore, baritono; la C. di Sol in unica posizione - qualche attestazione barocca di C. di Sol sul primo rigo -).

CHIUSA. Genericamente, il passo conclusivo di una sezione o di un brano intero. è caratterizzato dalla presenza di una CADENZA importante, di solito una CADENZA PERFETTA, e talvolta dall’indicazione di RITORNELLO.

CICLO/CIRCOLO DELLE QUINTE. La successione delle ventiquattro TONALITÀ, dodici maggiori e dodici minori, in relazione alla loro vicinanza relativa (ossia al numero suoni in comune, e quindi al numero di DIESIS o BEMOLLI posti in CHIAVE). Si sviluppa per quinte ascendenti nelle tonalità con i diesis e per quinte discendenti nelle tonalità con i bemolli); ad es.: da Do maggiore, tonalità con nessuna ALTERAZIONE in chiave, si procede per Sol maggiore, tonalità che prevede un solo diesis sul fa (lo si ricava dalla sequenza di intervalli previsti dalla SCALA stessa), e che con Do maggiore ha in comune tutti i suoni meno uno, e ancora per Re maggiore, che prevede due diesis (Fa e Do), e che, di nuovo, con Sol condivide tutti i suoni meno uno (mentre i suoni che la distinguono da Do son due), etc.; discendendo, da Do si giunge al Fa, col Si bemolle in chiave, che ha tutti i suoni di Do meno uno, etc.; è così possibile pervenire allo schema di tutte le tonalità). Le tonalità minori sono poste una terza minore sotto la relativa maggiore; fra loro sono collegate mediante analoghi percorsi di quinta. Lo sviluppo del C. delle quinte sta alla base del gioco tonale classico e conseguentemente delle forme classiche stesse, che prediligono muoversi per tonalità ‘vicine’, distribuendo in tonalità fra loro affini i temi musicali caratterizzanti la composizione stessa.

CODA. Sezione musicale posta a chiusura di una composizione strumentale. È perfettamente integrata con quanto precede, talora reimpiegando materiale sonoro già udito, talora proponendone di nuovo.

CODETTA. Sezione musicale posta a chiusura di un episodio interno di una composizione, in funzione di sutura (ad. es. la C. che può chiudere l’ ESPOSIZIONE in un brano in FORMA SONATA. A differenza di quanto può avvenire nella CODA vera e propria non supera l’estensione di qualche BATTUTA.

COL CANTO. Indicazione posta in PARTITURA a sottolineare la totale libertà del SOLISTA in quanto ad ANDAMENTO ed AGOGICA: l’orchestra o lo strumento che accompagna debbono attenderlo.

COLOR. Nella musica MODALE, la variazione ritmica di un medesimo schema melodico, permanendo invariati gli intervalli (vs. TALEA).

COLORATURA. Ornamentazione virtuosistica di una MELODIA vocale, prevista dal compositore oppure affidata all’estro estemporaneo del cantante.

COLORITO. Abbreviazione convenzionale di indicazioni relative all’intensità del suono (pp pianissimo, p piano, mp mezzopiano, mf mezzoforte, f forte, ff fortissimo; modernamente si sono usati anche tre o quattro p o f per indicare l’esasperazione dei rispettivi livelli dinamici).

COLPO D’ARCO. Ciascuno dei diversi modi di mettere in vibrazione la corda tramite l’arco. Nel corso del tempo questi tipi di risorse strumentali sono andate incrementandosi, apportando così nuove risorse timbriche agli strumenti ad arco (nel violino: alla corda, gettato, legato, martellato, picchiettato, portato, saltellato, sciolto, staccato, tremolo, col legno, glissando, pizzicato, e molti altri).

COMMA. Misura infinitesimale dell’ INTERVALLO di TONO (in un tono si individuano 9 C.). Sull’esatta spartizione dei C. nell’intervallo di SEMITONO si fondano le polemiche e le diverse metodiche antistanti all’adozione dell’intonazione temperata (TEMPERAMENTO).
CONCATENAZIONE ARMONICA. Sequenza di accordi fra loro collegati in base alle regole dell’ ARMONIA.

CONCERTATO. Nell’opera in musica sette-ottocentesca, sezione di considerevole ampiezza, posta di solito a fine atto (prende allora il nome di ‘finale’), caratterizzata dalla simultanea presenza in scena di un certo numero di personaggi (in genere quelli principali), che espongono le loro singole passioni sovrapponendole, contrapponendole o risolvendole. Il concertato è quindi l’area compositiva in cui ha bella mostra l’abilità contrappuntistica e drammaturgica del compositore. Entrò a far parte della pratica verso la metà del XVIII secolo, inizialmente in opere buffe (o drammi giocosi); è consuetudine fare il nome di B. Galuppi, che attuò fra i primi simili schemi compositivi su precise sollecitazioni del librettista C. Goldoni.

CONCERTINO. Nel concerto barocco, un gruppo ridotto di strumentisti (in genere da uno a tre) con funzioni solistiche, che si contrappongono al TUTTI costituito dall’organico orchestrale nella sua interezza.

CONSONANZA. Tradizionalmente è considerata C. l’esecuzione simultanea di due o più suoni dall’effetto gradevole; in realtà è più esatto qualificare come consonanti tutti quegli intervalli rintracciabili nell’ ACCORDO PERFETTO o nei suoi rivolti - ossia gli intervalli che per primi compaiono nella sequenza dei SUONI ARMONICI. Si evitano così alcuni fraintendimenti legati alla percezione: l’ INTERVALLO Do - Fab ad esempio produce un effetto gradevole (effetto in tutto simile all’intervallo Do - Mi), ma è da considerarsi DISSONANZA, in quanto i due suoni non trovano posto nel medesimo accordo. Nella teoria armonica moderna sono ammesse come consonanze: unisoni giusti, quarte quinte ottave giuste, terze e seste maggiori o minori.

CONSONANZA IMPERFETTA. Nella pratica contrappuntistica (secondo la formulazione di J. Tinctoris), le terze e le seste maggiori o minori.

CONSONANZA PERFETTA. Nella pratica contrappuntistica (secondo la formulazione di J. Tinctoris), l’ UNISONO, la quarta, la quinta, l’ottava.

CONTINUISTA. Strumentista addetto alla REALIZZAZIONE del BASSO CONTINUO (liutista, violoncellista, organista o cembalista).

CONTRAFACTUM. Composizione vocale in cui il testo poetico originario è sostituito con un altro, talora passando da ambito sacro ad ambito profano. Il procedimento è caratteristico del mottetto del secolo XIII e della lauda polifonica.

CONTRALTISTA. Cantante di sesso maschile la cui voce si estende nell’ambito del REGISTRO di contralto mediante l’uso del FALSETTO o perché evirato.

CONTRALTO. a) CHIAVE ‘antica’ di Do posta sul terzo rigo; modernamente è impiegata dalla viola. b) Nel CONTRAPPUNTO e nell’ ARMONIA la VOCE la cui ESTENSIONE corrisponde a quella del relativo ruolo vocale. c) Nel canto la voce più grave fra quelle femminili o bianche. Nel Cinquecento il REGISTRO di C. fu sostenuto da falsettisti maschi e successivamente da evirati. Da qui la consuetudine nel melodramma fino al primo Ottocento di affidare parti di C. indifferentemente a personaggi di ambo i sessi. La voce di C. è caratterizzata da un TIMBRO scuro.

CONTRAPPUNTO. Il termine deriva dall’espressione latina punctum contra punctum, in uso nel secolo XIII, ad indicare la combinazione di suoni simultanei di differente altezza (suoni inizialmente raffigurati sulla carta musicale come ‘punti’). Più volte il termine C. è stato contrapposto a quello di ARMONIA, e talora, nel corso dei secoli, con quello stesso confuso. Le due accezioni rispecchiano in realtà due dimensioni compresenti in pressoché tutti gli stili musicali non omofonici (OMOFONIA), l’una, rispettivamente, riguardante la dimensione lineare-orizzontale, l’altra la dimensione accordale-verticale; di epoca in epoca l’una o l’altra dimensione avranno peso decisivo nella formulazione e nell’analisi dei procedimenti musicali, pur non escludendosi reciprocamente a priori (di qui la necessità di richiamarsi, nello studio delle forme musicali, ad entrambi gli aspetti orizzontale e verticale). Il C. può esser fatto ricadere nella più generale nozione di POLIFONIA, ma più specifiche sono le sue caratteristiche. Per la maggior parte dei teorici è legittimo parlare di C. solo in ambito modale (MODALITÀ). Nel Liber de arte contrapuncti di J. Tinctoris (1477) l’autore individua due tipi di C.: il C. simplex (nota contro nota), e il C. diminuitus o floridus (con due o più note brevi contro una di lunga durata nel canto dato); il primo non ammette alcuna DISSONANZA, il secondo sì, qualora tale dissonanza risolva in una CONSONANZA. Il C. può essere costituito da note di uguale durata, e si dice planus, oppure da note variabili ritmicamente, e si dice figuratus. Il teorico quattrocentesco procede quindi all’enumerazione di otto regole fondamentali, derivate dalla pratica del suo tempo; in breve: 1) Si deve iniziare e finire con una CONSONANZA PERFETTA. 2) Sono ammesse successioni di CONSONANZE IMPERFETTE; è vietata la successione di consonanze perfette. 3) Quando il TENOR ripete la stessa nota si può replicare ogni tipo di consonanza, perfetta o imperfetta. 4) Il MOTO per gradi congiunti è sempre preferibile, o comunque il moto limitato ad un piccolo ambito, soprattutto se il tenor effettua salti. 5) Occorre evitare quanto più possibile la CADENZA, soprattutto se questa va a detrimento del libero fluire della melodia. 6) Evitare quanto più possibile le redictae (figure melodiche reiterate pari pari); sono tollerate in funzione simbolica o onomatopeica (per imitare suono di campane, trombe e via dicendo). 7) Evitare cadenza consecutive sulla medesima nota. 8) Ricercare la varietà, negli spunti melodici, nelle cadenze, usando sincopi, imitazioni, pause etc. Nella pratica didattica il C. si dice di prima specie quando avviene nota contro nota, di seconda specie quando ad una nota del canto dato corrispondono due note, di terza specie quando ad una nota del canto dato ne corrispondono quattro nel C.; il C. caratterizzato da una catena di sincopi e ritardi è detto di quarta specie, quello che prevede la libera combinazione di tutte le specie ad eccezione della prima è detto di quinta specie. Successivamente, nella pratica didattica, si passa al C. a tre o più parti, subordinato alle medesime regole ma reso più complesso dall’infittirsi dei rapporti.

CONTRATENOR. Vedi TENOR.

CONTRATTEMPO. Effetto ritmico prodotto dall’esecuzione di note accentate in TEMPO DEBOLE, mentre il BATTERE è contraddistinto da PAUSE.

CONTROCANTO. Genericamente, una MELODIA secondaria posta a far da sfondo ad una principale; ma non si tratta di termine tecnico.

CONTROSOGGETTO. Nella fuga o in composizioni fugate, elemento melodico posto a sostegno del SOGGETTO primario nelle sue varie manifestazioni. Talvolta può comunque essere sottoposto anch’esso ad elaborazioni, anche se il C. non entra mai in rapporto antagonistico col soggetto primario (al contrario di quanto avviene per il II TEMA della FORMA SONATA).

CORALE. Canto liturgico della chiesa luterana a partire dalla Riforma. Nella prassi musicale barocca culminata con J. S. Bach si è cristallizzato in una scrittura a quattro voci standard (BASSO, TENORE, CONTRALTO, SOPRANO) tendenzialmente in OMORITMIA, in cui la melodia, semplice e lineare, è sempre al soprano. L’ ARMONIZZAZIONE tipica del C. si avvale di accordi semplici (per lo più accordi triadi e rivolti, con qualche ACCORDO di settima), e di movimenti delle parti quanto più essenziali possibile, divenendo così un pilastro della prassi didattica. Una estensione di questa forma vocale è il C. organistico, di cui si individuano più tipi: C. a struttura omofona (nota contro nota col canto), con liberi interludi fra un versetto e l’altro; C. polifonico, nello stile del mottetto, del ricercare, della fuga; C. su CANTUS FIRMUS, originale o fiorito; C. variato, in forma di partita; C. libero, con parti concertanti.
CORDOFONI. Strumenti musicali in cui il suono è prodotto dalla messa in vibrazione di una o più corde, mediante pizzico, percussione, frizione. Ad es., rispettivamente: chitarra, liuto, arpa, cembalo; pianoforte; archi.

CORISTA. a) Cantore appartenente al coro. b) Vedi DIAPASON.

CORONA. Segno posto ad indicare la possibilità di estendere a piacimento un suono o un silenzio (ma perlomeno del doppio). È costituito da un archetto sovrastante un punto, da porre direttamente sopra o sotto la nota o la pausa.

CRESCENDO. Progressivo incremento di sonorità. Si esprime graficamente con una forcella più o meno estesa, aperta a destra (vs DIMINUENDO).

CROMA. Nota o pausa del valore di 1/8.

CROMATISMO. a) Anticamente l’annerimento grafico di note originariamente bianche, introdotto a scopo simbolico (effetto per gli occhi, in corrispondenza di riferimenti poetico-testuali quali “nero” “buio” “notte” etc.). b) Transizione melodica o armonica di SEMITONO cromatico (Do Do#, con o senza un rispettivo sostegno armonico - ad es. un accordo Sol Do Mi che diviene Sol# Do# Mi#); fu applicato occasionalmente da alcuni compositori rinascimentali (C. Gesualdo) e divenne la massima causa del dissolvimento della TONALITÀ (R. Wagner).

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