Rondò
Termine italianizzato del francese rondeau, a sua volta derivato dal
latino rondellus (rotundellus), esistente
pure in diverse varianti linguistiche - ad esempio nell'inglese round.
In ogni caso il senso è chiaro: ha a che vedere con qualcosa
di rotondo, con una forma circolare. Con rondellus, difatti, veniva
designato fino alle soglie dell'età moderna non tanto un tipo
di composizione quanto piuttosto una struttura poetico-musicale caratterizzata
dal ripresentarsi di un ritornello (refrain)
inframmezzato a episodi contrastanti. Invece il rondeau vero e proprio
era, nel Medioevo francese, un canto destinato a accompagnare il ballo
tondo. I cantori-danzatori, cioè, si disponevano in un circolo
destinato via via ad allargarsi all'entrata di nuovi partecipanti.
Ciascuno dei quali, inserendosi mentre gli altri stavano fermi, cantava
nuovi additamenta cui poi il coro che riprendeva a girare rispondeva
con un refrain omofonico sempre identico. Svincolatosi dall'originaria
funzione coreutica, il rondeau diviene una tipologia formale autonoma,
monodica, secondo gli schemi AAABAB o ABAAABAB - dove ciascun episodio
può includere da uno a tre versi - coltivata nel XIII secolo
dai trovieri. Gli stessi che ne cominciano la pratica polifonica sviluppatasi
nel secolo seguente, da compositori francesi e fiammingo-borgognoni,
su due, tre, quattro parti (di voci o strumenti, secondo le circostanze)
nelle quali ciascuna sezione musicale conta in media quattro-cinque
versi.
Pur non essendosi mai davvero eclissatasi (la si riconosce, per esempio,
nella musica concertata sacra rinascimentale e barocca), la forma
del rondeau riaffiora prepotente nel Seicento francese, non più
in ambito vocale ma strumentale. Sovente di ampie proporzioni, di
indole brillante e dal carattere di danza, è costituita da
un refrain alternato a diversi couplets (fino a un massimo di otto)
contrastanti per temperamento e tonalità, secondo lo schema
ABACAD…A. Diviene un appuntamento irrinunciabile soprattutto
all'interno delle Suites clavicembalistiche di François Couperin
(1668-1733) e Jean-Philippe Rameau (1683-1764), diffondendosi poi
in Germania e Italia.
A metà Settecento assume di norma la denominazione italianizzante
di rondò: lieve modificazione nomenclatoria che è nondimeno
anche il segnale di una modificazione nella struttura originaria,
ora imbastarditasi con la forma-sonata. Difatti, oltre a rondò
di schema ABA' (lo stesso già utilizzato per l'aria
con il da capo (v. aria), nonché
coincidente con la forma ternaria di canzone), se ne trovano varie
altre formulazioni tra cui quella ABA / C / AB'A, dove C è
lo sviluppo della forma-sonata e le sezioni estreme rispettivamente
l'esposizione e la ripresa. Tuttavia tra classicismo e romanticismo
il rondò si mostra tutt'altro che ingessato: comprensibilmente
la natura capricciosa, umoristica e giocosa che gli è propria
si riversa sulla sua architettura, al punto che di frequente gli standard
formali di cui s'è detto si piegano ad accogliere gustosi diversivi
strutturali, ritmici, agogici. Wolfgang Amadeus Mozart era un maestro
nel congegnare sorprese di questo tipo. Prendiamo i Concerti per violino
e orchestra (1775). A metà del rondò del K. 216, per
esempio, è inserito un "Andante" di tredici battute
in cui il violino, sorretto dal pizzicato degli archi, mima con divertita
pomposità una canzone popolare austriaca, seguito da un'altra
ventina di battute di un "Allegretto" che pare derivi il
suo tema da una danza originaria della regione di Strasburgo. Invece
nel K. 218 il rondò è preceduto da poche battute di
"Andante grazioso": all'interno del movimento, poi, si ripropone
per ben quattro volte l'alternanza Andante-Allegro; a interromperla,
giusto a metà, un nuovo "Andante grazioso" che accosta
una breve gavotta a una musetta. Nel K. 219 la struttura del rondò
è applicata a un Tempo di Menuetto che si interrompe a metà
per lasciare spazio a un episodio in stile turchesco in cui gli archi
suonano con il legno dell'archetto. Ultimo esempio, ancora mozartiano,
dal Rondò del Concerto per piano e orchestra K. 271 (1777),
dove a metà si intromette un amabile Menuetto in forma di tema
con variazioni. (GMo)