Ritmo
Questa voce, dedicata al ritmo, è focalizzata sul sistema moderno di
notazione delle durate e delle misure, mentre per un inquadramento d’insieme
sulla concezione del tempo e della ritmica nella musica ci si può riferire
alla voce tempo.
La nascita della notazione ritmica
Il ritmo musicale iniziò ad essere misurato in base a definiti
valori temporali a partire dalla metà del secolo XII, e per un genere particolare
di musica, nato dallo sviluppo del canto gregoriano: la musica
polifonica liturgica. Gli enormi spazi delle cattedrali gotiche, costruite
proprio a partire da quel secolo nell’Europa occidentale, furono il
ricettacolo di una musica che si ampliava in tutte le dimensioni, tra le quali,
specie nelle occasioni solenni, anche la ’dimensione verticale’.
La dimensione verticale della musica è ciò che oggi definiamo polifonia, e
consiste nella possibilità di intrecciare linee melodiche diverse secondo
una logica armonica, cioè in modo tale che il risultato non sia un caos di
voci, ma un insieme significativo musicalmente (v. monodia/polifonia).
La necessità di organizzare due o più linee melodiche in contemporanea implicò
la necessità di elaborare un sistema che regolasse i ritmi di ciascuna in
modo che potessero essere misurati secondo un parametro comune di riferimento,
per permettere il loro reciproco ed esatto intreccio. Il ritmo, dunque, si
svincolò dal suo stretto legame con la parola cantata per divenire elemento
di coesione e organizzazione della costruzione polifonica.
Il nostro attuale sistema di notazione ritmica nacque e si sviluppò a partire
da questa necessità, e, sviluppandosi, arricchì enormemente le possibilità
creative della musica. Il primo compositore occidentale di cui abbiamo notizia
fu proprio un maestro della Cattedrale di Notre Dame di Parigi, il Maestro
Leonino, ricordato per la sua perizia nel comporre organa,
i primi canti polifonici in notazione, che impiegavano un sistema particolare
di notazione ritmica, chiamata modale e basata
sulla combinazione fra le principali tipologie di metri classici e i valori
musicali allora in uso (la longa e la brevis). Si aprì dunque, in sviluppi
successivi e consolidandosi agli inizi del secolo XIV, la vastissima stagione
della musica mensurata, la musica basata su un
ritmo costruito a partire da valori multipli e sottomultipli di una data unità
di tempo. Tali valori erano rappresentati dalla forma delle note, dalla
presenza di aste e di code sulle aste. La misura di tempo era invece stabilita
all’inizio del pentagramma attraverso una serie di simboli come il punto,
il cerchio, il semicerchio: in sostanza, è il sistema attuale di rappresentazione
ritmico/temporale della musica.
Valori di durata e nomi delle note e delle pause
Il sistema moderno di notazione ritmica prevede l’impiego di valori la cui durata relativa è fissata in modo univoco secondo sottomultipli di 2 (ma non è stato sempre così: nell’età medievale i valori perfetti di durata erano ternari, su base 3, in ragione della perfezione trinitaria). I valori sono organizzati in maniera fissa, che si avvale di simboli chiamati note (discendenti dagli antichi neumi) alle quali è abbinato un nome ed una durata relativa secondo lo schema seguente:
Questa è l’ossatura che fissa in maniera inequivocabile il rapporto tempo/ritmo. Stabilito infatti un valore assoluto di durata per una nota, ad esempio una semibreve (4/4) dura quattro secondi, tutte le altre note, in forza del loro valore relativo, dovranno durare: due secondi la minima (in quanto vale 2/4, la metà del valore della semibreve), un secondo la semiminima (poiché vale 1/4 del valore della semibreve), mezzo secondo la croma (che vale 1/8 del valore della semibreve) e così via. Lo stesso principio vale anche per i valori di durata delle pause. La pausa è infatti il silenzio della musica, il momento in cui il suono si arresta nel fluire del tempo musicale ed esprimendo così un respiro, un’esitazione, la dinamica ritmica o la naturale conclusione di un brano. Dunque, anche la pausa deve essere misurata secondo lo stesso principio di misurazione di durata delle note.
Oltre questi valori di durata di base, altri segni sono usati per rappresentare valori diversi. il punto di valore è un simbolo che, collocato a seguito della nota o della pausa, la aumenta di metà del suo valore, mentre la legatura di valore è una linea arcuata che lega due o più note della stessa altezza, in modo che l’unico suono risultante abbia il valore della loro somma. Ulteriore simbolo di valore è la corona, che permette all’esecutore di aumentare a piacere il suono cui si riferisce la corona. Questo simbolo in genere si trova alla fine del brano.
Come è stato segnalato alla voce tempo,
il metro misura lo scorrere del tempo secondo
una precisa periodicità. Quindi per avere un metro è necessario
che, a intervalli regolari, una delle pulsazioni possegga un accento
che la distingua dalle altre. Nel caso di un metro binario, si ha un accento
ogni due pulsazioni. Nel caso di un metro ternario, un accento ogni tre pulsazioni.
La battuta è l’unità metrica
compresa fra due battiti accentati, e nei due casi conterrà rispettivamente
due e tre pulsazioni, la prima delle quali accentata. La battuta è segnalata
utilizzando stanghette verticali. Il brano finisce
con una doppia stanghetta.
Nello schema seguente la misura di 4/4, indicata dopo il segno di chiave,
determina la somma di valori da inserire in ciascuna battuta. In questo caso,
ogni battuta è riempita con note dello stesso valore, alle quali corrisponde
la rispettiva pausa. La frazione 4/4 indica quattro pulsazioni della durata
di 1/4 ciascuna, ma tale valore complessivo si ottiene in musica utilizzando
qualsivoglia fra i valori di durata delle note e delle pause:
Abbiamo osservato al paragrafo precedente che la nota musicale è il luogo
che rappresenta graficamente il ritmo, mentre il pentagramma è il luogo che
rappresenta non solo l’altezza della nota, ma anche il tempo musicale.
La frazione posta all’inizio del pentagramma, subito dopo il segno di
chiave, indica infatti i due fondamentali elementi temporali. Il numeratore
indica se il battito, chiamato anche tactus,
si presenta in gruppi ternari o binari (2, 3 o multipli dei due numeri). Il
principio è che il primo battito è sempre accentato, ha un accento
forte, mentre gli altri battiti hanno accenti più deboli. Il denominatore
della frazione indica invece l’unità di misura,
il valore/nota di un battito. Ad esempio: il tempo di 2/4, binario, è il tempo
in cui in ogni battuta vengono scanditi due battiti di un quarto ciascuno,
il primo battito con accento forte, il secondo battito con accento debole;
il tempo di 3/4, ternario, è quello in cui la battuta racchiude tre battiti
da un quarto ciascuno, con accenti forte, debole, debole, il tempo di 4/4
(indicato con il simbolo C), binario, prevede quattro battiti con accenti
forte, debole, mezzo forte, debole:
Lo stesso principio si applica a tutti gli altri tempi, con denominatore in
mezzi, ottavi, sedicesimi, etc. Occorre inoltre considerare che nelle misure
ternarie l’unità di misura è suddivisa in gruppi
di tre battiti di uguale valore. Gli esempi fin qui fatti si riferiscono a
misure semplici, nelle quali l’unità
di base (nell’esempio precedente il quarto) è suddivisa in modo
binario. Nella musica sono però impiegate anche misure
complesse, sia binarie che ternarie. Tali misure implicano che le note
siano raggruppate per suddivisioni ternarie. Ad esempio, prendendo l’ottava
come unità di misura, il tempo 3/8 è misura ternaria semplice,
mentre 6/8 è una misura binaria composta, perché ogni battito
racchiude tre ottavi. Per ottenere una divisione ternaria è utilizzato
il punto, che, come ricordato, aumenta la nota di metà del suo valore.
In sintesi, le misure binarie semplici hanno al numeratore 2 o 4, le ternarie
semplici 3, le binarie composte 6 o 12, le ternarie composte 9. Nello schema
seguente, partendo dalla ternaria semplice 3/8, sono indicate la binaria composta
6/8, la ternaria composta 9/8 e la binaria composta 12/8:
La scelta di un tempo binario o ternario, semplice o composto, indirizza la dinamica e la ritmica di un brano, ma vi sono numerose altre possibilità di variazione offerte dalla notazione musicale per creare effetti ternari in ritmo binario e viceversa. Le più frequentemente impiegate prevedono l’impiego di raggruppamenti di note, come ad esempio le terzine o le sestine, che rendono ternaria una divisione binaria di tempo:
Altri espedienti che sono comunemente usati nella musica per
alimentare il dialogo fra ritmo e tempo consistono nella sincope
(v. glossario) che dà rilievo
a battiti non accentati privando di accento quelli forti, e nel contrattempo,
prodotto dall’esecuzione di note accentate in tempo debole, mentre il
battere è contraddistinto da pause.
La ricerca espressiva messa in atto nella musica, ed in particolare nella
musica colta del Novecento, ha condotto, come ricordato alla voce tempo,
all’elaborazione di costruzioni ritmiche e metriche enormemente complesse,
giocate sulla irregolarità degli accenti e la sovrapposizione o giustapposizione
di metri diversi. Queste particolari elaborazioni sono chiamate poliritmia.
Un esempio magistrale in tal senso è il balletto la Sagra della Primavera,
capolavoro del compositore russo Igor Stravinsky, nel quale il ritmo è
elaborato con audacia e con varietà di tecniche inedite su tutti i
piani del discorso musicale. L’assetto ritmico della Sagra è
determinante non soltanto come motore, pulsione interna e scansione esterna
del tempo, ma anche come veicolo di elaborazione tematica attraverso ingegnosi
stratagemmi di ripetizione e variazione, sincronizzazione e sfasamenti, regolarità
e irregolarità della battuta, spostamento di accenti ecc., nonché
come elemento caratterizzante delle singole scene e delle loro distinte atmosfere.
Fra le indicazioni che rientrano nella dinamica dei tempi e delle misure vi sono anche una serie di elementi segnalati all’inizio del brano. Anzitutto l’indicazione di metronomo. Il metronomo è uno strumento meccanico che fu brevettato a Parigi nel 1816 dal costruttore tedesco J. N. Mälzel. Esso permette di scandire il battito impostando un valore temporale assoluto per l’unità di misura del tempo: ovvero, se la frazione indica 4/4, l’indicazione di metronomo fornirà la durata temporale della nota da 1/4 (ad esempio 60 o 100 o 40 note del valore di un quarto al minuto). Non tutti i compositori, però, si servirono e si servono dell’indicazione di metronomo: spesso troviamo in apertura di brano una didascalia, di solito in italiano, che suggerisce la velocità e insieme il carattere del brano, elemento che l’indicazione metronomica non può rivelare. E’ molto comune, inoltre, trovare didascalie in partitura anche nel corso della composizione, ogni volta che il compositore (o in taluni casi l’editore o revisore della partitura) vuole indicare con maggiore efficacia e puntualità un cambiamento di tempo, di espressione, di carattere, di ritmo. Questi segni, interpretati dalla personale sensibilità dell’esecutore, sono costituenti di ciò che generalmente si chiama agogica musicale. (CP)