Tempo
Tempo assoluto e tempo musicale
Gli eventi sonori accadono nel tempo; essi impiegano del tempo per il loro
accadimento ed è soltanto attraverso il tempo che percepiamo l’evento
sonoro. Lo percepiamo e - anche senza accorgercene - lo scomponiamo mentalmente
per poi ricomporlo secondo la nostra capacità recettiva e con l’aiuto
attivo della memoria sia nel processo stesso dell’ascolto, per figurarci
il suo svolgersi futuro, sia dopo che l’ascolto è terminato,
per inquadrare la sua struttura e per ricordarlo. Il tempo musicale sta dunque
nel tempo dell’ascolto; ma il tempo musicale è una dimensione
diversa dal tempo che occorre per ascoltare la musica. I musicologi evidenziano
questa differenza sostanziale distinguendo il tempo
assoluto, cioè il tempo cronologico occupato dallo svolgersi
della composizione dall’inizio alla fine, ed il tempo
musicale in senso più specifico, cioè il tempo che un
brano presenta, o evoca (si veda Kramer, Il tempo musicale, ma anche Dahlhaus-Eggebrecht,
La musica e il tempo). Il tempo musicale, esperito all’ascolto secondo
le sue specifiche modalità, è comunque parte del tempo assoluto,
perché la dimensione cronologica è il presupposto essenziale per fruire
dell’esperienza musicale: il tempo della musica si struttura e si dipana
nel tempo assoluto come, potremmo dire, lo spazio della pittura si sviluppa
nella superficie. La superficie è il supporto di una concezione spaziale
che, pur inscritta nella bidimensionalità, la trascende, oppure la
nega o la asseconda. Analogamente, nello scandire periodico del tempo cronologico
(secondi, minuti, ore) il tempo musicale organizza la sua dimensionalità
e direzionalità.
Se il tempo cronologico e la sua organizzazione in impulsi regolari e ripetuti
è il supporto della musica, ciò che invece “fonda”
il tempo della musica sono i molteplici modi di organizzazione del materiale
musicale, come ha illustrato Michel Imberty. La ripetizione
anzitutto, nel suo stretto rapporto con la variazione
e lo sviluppo tematico, “è altamente
produttiva e creativa, fondatrice di un tempo e di una durata organizzati,
ritmati, anticipabili” (La musica e l’inconscio, p. 337). Ecco,
dunque, che il tempo musicale si struttura all’interno del tempo dell’ascolto
secondo le esigenze espressive della musica (v. espressione):
le forme di organizzazione tematica e ritmica creano il tempo musicale conducendo
l’ascoltatore all’anticipazione di ciò che verrà
(a trascendere, potremmo dire, il tempo dell’ascolto) e all’ingresso
nella dimensione creativa e comunicativa della musica: “La ripetizione
[…] genera il tempo e, nel tempo, una direzionalità, un presente
che va verso qualcosa: ma genera anche un prima e un dopo, con i quali il
compositore invita l’ascoltatore a giocare, ricordare e anticipare,
con un margine sufficiente d’incertezza affinché ogni volta si
insinui la sensazione che la ripetizione avrebbe potuto non realizzarsi, che
il futuro può sempre essere sconosciuto, che il medesimo atteso può
fondersi in un altro che, a sua volta, può tuttavia non essere completamente
diverso” (ivi).
La misura del tempo nella musica tonale
L’espressione più evidente della dimensione temporale
della musica è, come specificato nella voce ad esso dedicata, il ritmo.
Il ritmo musicale, infatti, è qualcosa che è percepito come strettamente connesso
al tempo e al movimento, cioè all’organizzazione “secondo il prima
e il poi” degli eventi musicali nel tempo cronologico. Il ritmo include
tutti gli aspetti del movimento musicale ordinati nel tempo, e che quindi,
essendo strettamente combinato con armonia, melodia, organizzazione strutturale,
risulta un fenomeno assai più complesso e difficile da definire di
quanto possa sembrare quando è smembrato dalle altre componenti del
discorso musicale e ridotto a semplice formula.
Potremmo concludere, da quanto appena detto, che il ritmo della musica sia
un elemento che si inscrive spontaneamente nella misurazione del tempo musicale.
In realtà non è sempre stato così: il ritmo in culture musicali diverse da
quella occidentale, nella musica pre-tonale, in molte esperienze della musica
del Novecento non è misurato con unità isocrone di tempo. Non è possibile,
ad esempio, “tenere il tempo” in un brano del repertorio gregoriano
(il canto liturgico della chiesa), ma questo non significa che questa musica
sia priva di ritmo. Concentrandoci sull’ascolto del canto, intuiamo
che l’andamento ritmico è dato dall’accento
tonico di ogni singola parola e dal respiro della frase, o meglio
della preghiera. Il ritmo, nel canto gregoriano, non è basato su un tempo
organizzato in figurazioni che implicano accenti regolarmente ricorrenti,
come accade nella musica occidentale, e soprattutto nel contesto della musica
tonale (v. tonalità). L’organizzazione
temporale della ritmica è stato un processo lungo e complesso che ha
riguardato gli sviluppi della musica occidentale, e che,in particolare, ha
accompagnato la nascita del canto polifonico liturgico e delle forme artistiche
di polifonia sacra e profana, come specificato alla voce ritmo.
Mettiamo dunque a fuoco le modalità di organizzazione del tempo musicale
nella musica di impianto tonale. Un metronomo o un orologio scandiscono una
successione di impulsi uguali. I loro battiti stabiliscono una successsione
indistinta di pulsazioni. Per avere un tempo musicale è necessario anzitutto
definire un metro. Assegnare un metro significa
stabilire la periodicità di un numero definito di pulsazioni attraverso
la ricorrenza di un accento. Il metro, individuato
dal ricorrere costante degli accenti, misura lo scorrere del tempo secondo
una precisa periodicità, quella delle
pulsazioni accentate. Nel caso di un metro binario,
ad esempio, si ha un accento ogni due pulsazioni. Nel caso di un metro
ternario si ha un accento ogni tre pulsazioni, e così via. La
battuta è, in musica, la distanza fra
gli accenti, e contiene tante pulsazioni quante sono quelle che intercorrono
fra gli accenti stessi. Facciamo una prova, ascoltando un breve passaggio
da brano musicale ben noto, l’Allegretto della VII Sinfonia di Beethoven.
E’ agevole ed intuitivo, in questo brano, tenere il tempo
musicale, scandendo la misura, cioè l’organizzazione
del tempo in battiti della stessa durata, e,
dentro la misura, avvertire i movimenti, le organizzazioni delle note attorno
ad accenti forti e deboli che si ripetono con
cadenze regolari: questo è ciò che potremmo definire ritmo
di quella musica. Possiamo sperimentare, attraverso questo ascolto, che l’ingresso
nel ritmo di una composizione passa attraverso una naturale inclinazione a
misurare il tempo musicale.
Immagine di alcune misure dall’Allegretto e audio delle stesse
L’Allegretto della Settima Sinfonia di Beethoven è
una composizione di altissima intensità in forma di tema e variazioni
con l’andamento tanto di una marcia quanto di un corale, basato su una
costante misura a due tempi (2/4), nella semplice alternanza di ritmo dattilico
(un suono lungo e due brevi) e spondeo (due lunghi). L’indicazione “Allegretto”
(che che nelle convenzioni dell’epoca intende stabilire una velocità
moderatamente mossa), è manifestamente ironica “per un quadro
di immani proporzioni espressive” (G. Pestelli, L’età di
Mozart e Beethoven, in Storia della musica, EDT, p. 253). L’Allegretto
propone un tema con variazioni, che ha l’andamento tanto di una marcia
quanto di un corale. All’interno della misura binaria insiste il ritmo,
ossessivo, che scandisce la dinamica, l’armonia e l’andamento
stesso della linea tematica. Modulo ritmico e motivo melodico/armonico sono
sublimamente fusi: è l’orchestrazione, con l’entrata progressiva
di diversi gruppi strumentali, e dunque di diversi timbri,
che crea un crescendo di efficacissima intensità espressiva. Solo dopo
la terza variazione entra un nuovo tema, più sereno e disteso, ma che,
mantenendo al basso il ritmo dattilico (lunga-breve-breve), rende l’andamento,
pur leggero, quasi affannato e “incompiuto”.
La mera griglia ritmica di questo movimento mancherebbe di trasmettere non
soltanto la sua complessità espressiva (che ovviamente dipende dall’intreccio
di relazioni tra il ritmo e gli altri parametri della composizione) ma anche
la qualità intrinseca del tempo vissuto nell’ascolto (che teoricamente
potrebbe dipendere unicamente dalla concezione ritmica). Tanto per dire che
il tempo musicale non può essere costruito senza l’articolazione
della dimensione ritmica, ma il ritmo di per sé, semplice o sofisticato,
uniforme o composto che sia, non è sufficiente per creare un tempo
musicale pregnante ed esteticamente autonomo.
Questa generale premessa sul rapporto ritmo/tempo è utile per chiarire che
la lettura ritmica alla quale siamo abituati, il solfeggio,
è frutto di una prassi che si è saldamente consolidata nella nostra cultura
musicale, radicata in particolare nella musica tonale che e intuitivamente
comprendiamo poiché la ascoltiamo “cineticamente”, come
un movimento, secondo cioè una direzionalità che è impressa
in questa stessa interazione ritmo/tempo. La musica tonale, che ci ha abituati
a ritmi con cadenze regolari, ha una componente di peculiare bellezza proprio
nel dialogo fra tempo e ritmo, nella frattura
o nell’intreccio di queste parti costitutive, nel senso di sfasamento
o di appagamento che il ritmo imprime alla misura del tempo, e viceversa dando
al singolo movimento e all’intera composizione la loro particolarità.
La realizzazione di tali intrecci è resa possibile dalla stretta connessione
di tutti elementi della musica (armonia, melodia, struttura compositiva) con
il ritmo e con il tempo. Il ritmo e il tempo assieme uniti sono infatti la
vita, il carattere della musica, si potrebbe dire, il suo sistema nervoso;
la loro unione e il loro dialogo determina, come efficacemente sintetizza
Károlyi (La grammatica della musica, p. 48), l’umore di una composizione.
Il tempo nella musica post-tonale
La concezione del tempo musicale nella musica colta del Novecento ha subito
una profonda evoluzione, segnata dalla crisi del linguaggio tonale e dalla
ricerca di nuovi sistemi di organizzazione ed espressione dell’arte
dei suoni. Nella musica del XX secolo la composizione, emancipandosi dalla
tonalità, si emancipa anche dalla concezione direzionale e teleologica
del rapporto tempo/ritmo che caratterizzavano il linguaggio tonale, e si concentra
su altre dimensioni della temporalità: l’istante,
l’irregolarità, la frammentarietà,
e all’estremo opposto la stasi, la metamorfosi
lenta, l’iterazione ipnotica: la ricerca delle qualità sonore
intrinseche all’istante, segnata dalla grande importanza attribuita
alla timbrica (v. timbro)
e dalla dinamica del singolo suono o dell’impasto
sonoro, scardina i legami reciproci fra gli aggregati di suoni e dunque “nega”
il tempo. Nel suo studio su Claude Debussy, il primo fra i grandi compositori
che ha gettato le fondamenta della musica del Novecento, Pierre Boulez parla
di una concezione irreversibile del tempo musicale che questi ha inaugurato
(in Note di apprendistato, Einaudi 1968, pp. 287-304): l’organizzazione
del materiale musicale nella poetica debussiana offre l’illusione che
il tempo non porti da nessuna parte, mentre è l’attimo che si
carica di tutta la forza espressiva e significativa. Nella musica seriale
(v. glossario) il senso di frammentazione
e polverizzazione del tempo è ancora più marcato, perché
la serie dodecafonica, rendendo del tutto imprevedibile la successione di
forme sonore, dà all’ascoltatore la sensazione “che la
musica si muova a caso”, come afferma Imberty, “in un tempo che
non avanza” (La musica e l’inconscio, p. 356). Uno sviluppo significativo
di questo processo si trova nella musica di Anton Webern: la successione di
suoni concepiti come punti isolati (il puntillismo)
si emancipa dal metro, estraniandosi non solo dai principi della tonalità
ma anche dalla fraseologia e da ogni componente del discorso tonale. Olivier
Messiaen ha applicato l’idea della serie, che sta alla base della dodecafonia,
anche al ritmo, elaborando ritmi costituiti da dodici durate differenti. Ne
risulta una sorta di cromatismo ritmico, un cromatismo delle durate: Modes
de valeurs et d’intensités per pianoforte è la composizione
dove per la prima volta viene utilizzato questo tipo di iper-organizzazione
ritmica. In molte esperienze della musica del secolo appena trascorso, dunque,
ritmo e metro si separano. Il ritmo non è più al servizio del
metro ma esiste indipendentemente, senza una funzione di conferma né
di disturbo del metro: diventa una dimensione autonoma.
La concezione del tempo che alimenta e deriva da questa autonomia della dimensione
ritmica può risolversi in modi diversi. Kramer distingue tra la “non-linearità”
diffusa della musica del Novecento e una “linearità
multi-direzionale” (pp. 154-157) che caratterizza pezzi con un
forte “tempo gestuale” (ad esempio il Trio per archi di Schoenberg)
che nella sua discontinuità segmenta e riordina il tempo lineare con
chiari punti d’inizio e di chiusura. Egli contrappone a questo il concetto
temporale di “moment time” introdotto
da Karlheinz Stockhausen (nel suo saggio Momentform del 1963 e nella composizione
di Momente 1962-64) dove lo svolgimento non ha un reale inizio: “parte
come se fosse già iniziato” (p. 158) e piuttosto che concludersi,
si ferma come per caso. Non a caso è proprio di Stravinsky (Agon) l’esempio
esaminato dettagliatamente da Kramer di questa particolare concezione del
tempo musicale novecentesca. Per entrambi il tempo è, e resta, un principio
ordinatore dell’esperienza umana (Kramer, p. 143). Per Stravinsky “Il
fenomeno della musica ci è dato al solo fine di stabilire un ordine
nelle cose, ivi compreso, e soprattutto, l’ordine
fra l’uomo e il tempo”. E prosegue: “Per essere realizzato
esso (l’ordine) esige pertanto necessariamente e unicamente una costruzione.
Fatta la costruzione, raggiunto l’ordine, tutto è detto. Sarebbe
vano cercarvi o aspettarvi altro. E’ proprio questa costruzione, questo
ordine raggiunto che produce in noi un’emozione” (Cronache della
mia vita, 1935-36). Questa posizione di Stravinsky rende manifesto come la
sua poetica si richiami all’autonomia dell’ordine musicale (la
costruzione) che prescinde da qualsiasi sistema e teoria. “Costruire”
la musica implica creare una connessione, un ordine, fra l’uomo, soggetto
che crea e fruisce della creazione musicale, e il tempo, la dimensione creativa
nella quale il discorso musicale si dipana. (CP)
Riferimenti bibliografici
Carl Dahlhaus-Hans Heinrich Eggebrecht, La musica e il tempo, in Che cos’è
la musica?, Bologna, Il Mulino, 1988 (ed. or. Was ist Musik?, 1985)
Pierre Boulez, Note d’apprendistato, Torino, Einaudi, 1968
Michel Imberty, La musica e l’inconscio in Enciclopedia della musica,
diretta da J. J. Nattiez, II, Il sapere musicale, Torino, Einaudi, 2002, pp.
335-360.
Jonathan D. Kramer, Il tempo musicale, in Enciclopedia della musica, diretta
da J. J. Nattiez, II, Il sapere musicale, Torino, Einaudi, 2002, pp. 143-170.