Espressione

La dottrina aristotelica dell’arte come mimesi, ossia come imitazione della natura, e più specificatamente della natura intrinseca dell’animo umano, costituisce fino al tardo Settecento la base della riflessione occidentale sulla capacità della musica di esprimere e di muovere gli affetti. “Nelle melodie – dice Aristotele – c’è una possibilità naturale d’imitazione dei costumi, dovuta evidentemente al fatto che la natura delle armonie è varia sicché ascoltandole nelle loro diversità ci si dispone in modo diverso di fronte a ognuna di esse” (Politica, 1340b). Tale premessa di una corrispondenza naturale e definibile tra idiomi musicali e passioni e sentimenti umani circoscrive a lungo il dibattito sulle facoltà espressive della musica alle modalità con cui essa diventa rappresentazione sonora degli stati d’animo riferiti dalle parole e azioni di un testo cantato o messo in scena. La graduale emancipazione del compositore dai vincoli della chiesa e della corte, la crescente autonomia della musica strumentale e la contemporanea cristallizzazione di un linguaggio musicale regolato dal sistema tonale (v. tonalità) e dotato di un apparato condiviso ma aperto e flessibile di codici formali e stilistici puramente musicali, spostano l’attenzione dalle modalità di rappresentazione di un repertorio di effetti e “topoi” predefiniti all’individualità espressiva dell’autore e al contenuto dell’opera come espressione di una coscienza sensibile e spirituale in continuo movimento ed evoluzione. La personalizzazione e l’interiorizzazione del concetto di espressione a partire dal movimento dello Sturm und Drang nel tardo Settecento in Germania non mettono a tacere le voci in favore di una visione razionale e “universale” del linguaggio musicale. La polemica di Hanslick contro Wagner e il formalismo tardo ottocentesco come reazione al Romanticismo, la negazione da parte di Stravinsky della capacità della musica di esprimere qualsiasi cosa come anti-altare dell’espressionismo viennese del primo Novecento: sono manifestazioni emblematiche della dialettica tra ragione e sensi, che attraversa la storia del pensiero musicale in occidente riponendo in ogni epoca la questione del rapporto tra forma e contenuto e tra costruzione, espressione e significato musicale.

Nei paragrafi che seguono affronteremo alcuni dei risvolti estetici di questa dialettica. Per un inquadramento storico si veda la sezione Musica e linguaggio; per un commento generale sulla funzione espressiva della musica al di là del contesto occidentale si veda la sezione Funzioni della musica.



Imitazione e immaginazione


Il mondo è pieno di suono e rumore. Il canto degli uccelli, il fruscio del vento, il respiro del mare, i gridi delle piazze, il furore delle macchine sono elementi costanti della realtà, e la possibilità di imitarli, elaborarli e sublimarli in forme simboliche è uno dei stimoli più antichi e universali della creazione musicale.

Chiede Diderot nella sua “Lettera sui sordi-muti” (1751): “Come mai delle tre arti imitatrici della natura, quella la cui espressione è più arbitraria e meno precisa tuttavia parla con più forza alla nostra natura? Forse che la musica mostrando meno direttamente gli oggetti lascia più spazio alla nostra immaginazione, oppure che avendo noi bisogno come di una scossa per commuoverci, essa è più atta che non la pittura e la poesia a produrre in noi questo effetto di tumulto?”

La musica, nel pensiero degli enciclopedisti francesi, ha alle sue origini un elemento pre-linguistico altrettanto istintivo quanto l’impulso della comunicazione verbale. Questa visione pone il mistero dell’espressione musicale in stretto rapporto alla natura dell’uomo – natura che l’arte dei suoni trasmette ai sensi e alla mente con una forza ineguagliabile nelle altre arti (Diderot la definisce persino “la più violenta di tutte le arti”). La musica non riproduce né descrive la realtà, e per questo è “più arbitraria e meno precisa” della pittura e della poesia, ma proprio questa arbitrarietà e questa imprecisione sono alla radice della risposta maggiore di due delle principali facoltà umane che agiscono nella percezione dei fenomeni artistici: immaginazione ed emozione. Il collegamento tra espressione musicale e immaginazione allarga i confini della trattazione permettendo una libertà interpretativa che può abbracciare tanto la sfera della mente quanto quella del cuore e delle emozioni. Come osserva Enrico Fubini, l’imitazione secondo Diderot è operata dalla musica non in rispetto alla realtà esterna bensì al “rapporto profondo, originario, diretto e non mediato […] con le strutture più profonde del nostro essere e della natura, e con quella cosmica vitalità che anima l’intero mondo naturale”.

Si potrebbe compiere un passo ulteriore verso una maggiore astrazione che è sottintesa nel pensiero dei filosofi dell’Illuminismo. Durante l’ascolto musicale la mente percepisce una rete di relazioni che si realizzano tra i suoni: si tratta di “immagini sonore” che a loro volta possono essere “tradotte” in figure, idee, sensazioni e sentimenti. Più complessa è la musica e più livelli di percezione e di “traduzione” sono percorribili nel processo di assimilazione e comprensione. Dall’eccitazione istintiva e corporea all’evocazione mentale di cose udite in precedenza, dalla commozione di fronte a uno stato d’animo sublimato in un canto alla vibrazione di figure geometriche intrecciate nello spazio, dall’energia vitale di un rito pagano alle vette spirituali di una cattedrale sonora, dal semplice diletto dei sensi all’esercizio della conoscenza e delle facoltà analitiche: le vie dell’immaginazione musicale sono infinite ed è nel processo di interazione tra questa e l’evento sonoro nel suo dispiegamento nel tempo interiore dell’ascolto che l’espressione prende forma perdendo la propria apparente “arbitrarietà” e dotando di senso le cose udite.



Espressione, significato, espressività


Tra le tante accezioni che il termine “espressione” è venuto ad assumere nel corso dei secoli, quella originaria, dal latino “expressio”, è strettamente legata all’arte oratoria e ai relativi processi di enunciazione e significazione (“dar senso a qualcosa tramite un linguaggio” è la definizione che dà del verbo “esprimere” una cronaca senese del XIII secolo). Infatti, se scorriamo gli enunciati che all’ipotetica domanda “Che cos’è la musica?” abbiamo portato come esempi di risposta (v. la scheda Aforismi e riflessioni), ci accorgiamo che il ricorso ai vocaboli “esprimere” ed “espressione”, che da Rousseau in poi si fa sempre più frequente, è spesso affiancato al riferimento alla musica come “linguaggio”. Ma mentre quest’ultimo può essere evitato (parlando di “musica” tout court) o sostituito da altri riferimenti più o meno metaforici (discorso, metalinguaggio), il concetto di espressione si è rivelato centrale e insostituibile nel dibattito estetico sulla musica, ponendo in primo piano l’aporia del significato musicale.

Guardiamo da vicino alcuni enunciati. Herder parla della musica come “linguaggio magico dei sentimenti”: l’utilizzo dell’aggettivo “magico” implica qualcosa di ineffabile e indefinibile, mentre con “linguaggio” non si intende necessariamente “espressione” dei sentimenti. La musica “non rappresenta direttamente le cose ma eccita nell’anima gli stessi sentimenti che si prova vedendo le stesse cose” (Rousseau); essa trae il sentimento, lo “ex-preme” da se stessa senza riferirsi a qualcosa di esterno (Leopardi). Hegel, contrario alla concezione imitativa della musica, riconosce l’affinità dell’arte dei suoni con la sfera emotiva, ma insiste sull’autonomia dell’aspetto intellettuale che permette ai suoni a combinarsi tra loro liberamente da vincoli espressivi. Non sorprende pertanto che molti esponenti del pensiero musicale occidentale abbiano preferito circoscrivere il dibattito estetico sulla musica alla sua sostanza - alle regole, alle tecniche e alle specifiche modalità di costruzione e di svolgimento del discorso musicale - evitando la ricerca di significati al di fuori di essa. Secondo questa visione, il senso della musica risiede all’interno delle “forme sonore” che ne costituiscono l’unico contenuto: “i suoni non solo sono ciò con cui la musica si esprime, ma anche sono l’unica cosa espressa” (Eduard Hanslick). Il formalismo novecentesco aggira il nodo dell’espressione utilizzando termini derivati dallo strutturalismo linguistico: “nella musica il significato è immanente al significante, il contenuto alla forma, a un punto tale che rigorosamente parlando la musica non ha un senso ma è un senso” (Boris de Schloezer); ma neanche nelle affermazioni di Igor Stravinsky, il quale nega alla musica la capacità “di esprimere alcunché: un sentimento, un’attitudine, uno stato psicologico, un fenomeno naturale, ecc.”, viene messa in questione la qualità espressiva della musica. Roger Scruton propone di intendere il concetto di espressione musicale in senso “intransitivo”: la musica esprime, è espressiva, ma l’espressione che se ne sprigiona non si lascia definire e descrivere in maniera inequivocabile.



Un esempio


La musica vocale (che costituisce il nucleo principale del repertorio occidentale fino alla fine del Seicento) offre infinite possibilità di osservare le potenzialità e le ambiguità dell’espressione musicale. Esistono casi in cui l’interazione tra i due linguaggi, quello poetico o drammaturgico e quello musicale, raggiunge un equilibrio tale che permette una comprensione del significato profondo della musica anche senza conoscere i particolari del testo e dell’azione scenica. Nel Terzo Atto di “Le nozze di Figaro” di Mozart, la Contessa, tradita dal Conte, rimpiange in un recitativo seguito da una grande aria i bei momenti della giovinezza (link all’incipit dell’aria “Dove sono i bei momenti” da, Le nozze di Figaro di Mozart, Atto III, Scena 6) (link a file testo ***). Ascoltando la musica non vi è dubbio che essa esprime uno stato d’animo di tristezza che si tramuta nel corso dell’aria in moti di rabbia, sgomento, speranza. Ma non basta osservare questi moti d’animo per riassumere l’espressione del brano; dire che la musica evoca tristezza non esaurisce la pienezza e la specificità di questa esperienza d’ascolto, ben distinta da quella provocata da altre musiche vagamente descrivibili come “tristi”. Quello che succede in questo capolavoro è una completa penetrazione dell’espressione nelle pieghe della struttura musicale. Quello che noi percepiamo non è la tristezza (lo sgomento, la speranza) come qualità assoluta, ma un processo musicale che “traduce” lo stato d’animo acquistando una propria autonomia estetica. La musica mima le “onde” del sentimento offrendone una “metafora sonora”. Il significato di quanto sentiamo e proviamo sta nelle pieghe del passaggio sottile dalla tristezza in quanto sentimento, atmosfera, stato d’animo, alla sua trasmissione musicale, che avviene cioè con mezzi e processi intrinsecamente musicali. Senza ignorare, anzi penetrando la psicologia del personaggio e le sfumature recondite del suo stato d’animo, Mozart le “libera”, le esprime e al tempo stesso le trascende attraverso l’autonomia di svolgimento del discorso sonoro. L’espressione è immanente alla propria manifestazione in musica, anche quando la si può dedurre da e descrivere in parole.

 

Mozart - Nozze di Figaro, Aria della Contessa "Dove sono i bei momenti"


 



Espressione e arte esecutiva


La concezione della musica come rappresentazione o imitazione degli affetti sottintendeva una notevole condivisione di codici tra autore, esecutore e ascoltatore. I trattati settecenteschi di prassi esecutiva (tra cui spiccano quelli di Johann Joachim Quantz per il flauto e di Carl Philipp Emanuel Bach per il clavicembalo, entrambi gli autori essendo compositori e interpreti di fama) illustrano questa concezione con indicazioni dettagliate relative al valore espressivo del fraseggio, degli abbellimenti, e della libera fantasia nelle forme che prevedevano interventi estemporanei dell’esecutore. Il successivo passaggio a una concezione più astratta dell’espressione musicale poteva avvenire anche grazie a questa consolidata tradizione di codici comunicativi che hanno predisposto una sensibilità estetica in un pubblico di fruitori sempre più vasto. Le “forme sonore” di cui parla Hanslick si riferiscono al concetto occidentale di opera musicale che presuppone un autore, un testo scritto e la sua realizzazione sonora che comporta diversi livelli e modalità di interpretazione. L’esecuzione fedele e corretta del testo musicale non è sufficiente per garantire una comunicazione del suo contenuto (v. prassi esecutiva). L’ individualità dell’opera, il suo carattere e la sua linfa vitale (in quanto agita dall’uomo) hanno bisogno di qualcosa di più per essere trasmessi all’ascolto. Questo “più” è, per l’appunto, l’espressione: l“essenza” della musica, che nasce dalla sensibilità di un autore (o di una tradizione collettiva) e si realizza nell’opera musicale che, nel suo risuonare attraverso l’individualità dell’interprete, acquista una vita autonoma e si trasmette all’ascoltatore, il quale a sua volta la accoglie e la interpreta con la propria immaginazione e coscienza.



La musica e le idee



Hegel riteneva che l’arte – in quanto prodotto della mente umana – derivasse il proprio valore estetico ed etico dalla sua capacità di esprimere idee e concetti. Le arti sono manifestazioni sensibili dello spirito, e ogni opera d’arte costituisce una rappresentazione di possibilità mentali percepibili dai sensi. L’aporia della significazione musicale viene risolta dal grande filosofo tedesco con il primato della musica vocale che garantisce una pienezza di senso assente secondo lui nella musica puramente strumentale. Eppure, proprio negli stessi anni delle “Lezioni sull’estetica” hegeliane, la musica sinfonica di Beethoven stava diventando emblema e manifestazione della capacità della musica di competere con le altre arti, e per i filosofi del Romanticismo superarle nell’espressione astratta e “assoluta” di idee e di valori spirituali. In Beethoven l’individualità del genio creativo assume su di sé un impegno morale che si esprime con mezzi puramente musicali: gli ideali dell’Illuminismo e gli equilibri dello stile classico vengono sottoposti da lui a una riflessione critica e via via più sovversiva. Da Fidelio alla Nona Sinfonia, dall’Eroica agli ultimi quartetti, la musica Beethoven interagisce con la realtà ponendo in primo piano la volontà dell’autore e la sua capacità di agire sulla coscienza degli individui in una società che riconosce ormai nella propria tradizione musicale un patrimonio di valori che trascendono l’immediatezza del diletto e della bellezza del prodotto artistico. Da Beethoven in poi, il concetto di espressione musicale si estende oltre la sfera individuale del musicista il quale, pur libero a dare forma sonora ai propri sentimenti e pensieri, è investito di una responsabilità sociale e morale che la musica è in grado di esprimere nonostante, e forse proprio grazie alla molteplicità dei suoi significati. (TPB)



Riferimenti bibliografici

Gianmario Borio e Carlo Gentili, a cura di, Storia dei concetti musicali: Armonia – Espressione – Forma – Opera – Tempo, a cura di, Roma, Carocci, 2006

Enrico Fubini, La musica: natura e storia, Torino, Einaudi, 2004

Giovanni Guanti, Estetica musicale: la storia e le fonti, Milano, RCS, 1999

Roger Scruton, The Aestheics of Music, Oxford, Clarendon Press, 1997, pp. 80-170