Timbro


Il timbro come qualità multidimensionale


Il timbro è la qualità di un suono che permette di distinguere la sorgente dalla quale esso proviene. Due differenti sorgenti, ad esempio due diversi strumenti musicali, restituiscono un timbro differente per un suono della medesima altezza, intensità e durata. Il timbro di un suono riflette anzitutto il suo contenuto spettrale, cioè l’intensità dei diversi suoni armonici che lo compongono, come esaminato alla voce suono. Questa caratteristica varia da strumento a strumento e da voce a voce, e per un dato strumento o per una data voce può cambiare in modo significativo nei diversi registri e nella durata dell’emissione (per la timbrica nella voce umana ci si può riferire a voce).

Nella teoria acustica classica, in particolare nelle elaborazioni di Hermann von Helmholtz (1821-1894), si riteneva che il timbro fosse determinato solo dall’ampiezza delle armoniche, mentre sperimentazioni della più recente scienza acustica hanno messo in evidenza l’apporto essenziale anche del fattore temporale. In tal senso, vengono distinte tre fasi nella determinazione del timbro: attacco, tenuta, decadimento. Rispetto a questo parametro le armoniche di frequenza più alta sono in genere quelle che si smorzano prima, per cui il transitorio d’attacco (cioè il segmento iniziale di emissione di armoniche) è il più ricco di informazioni, tanto che la sua eliminazione – ad esempio in registrazioni su nastro magnetico – pregiudica il riconoscimento stesso del timbro. Il timbro è dunque una qualità multidimensionale; cioè: non esiste un parametro di misurazione e una scala numerica all’interno della quale sia possibile ordinare e mettere in relazione timbri diversi, come invece accade con le altre qualità del suono, altezza e intensità, e con la durata. L’impossibilità di ‘misurare’ il timbro non rende tuttavia meno caratterizzata la sua natura, la cui ‘oggettività’ percettiva è comunemente tradotta con aggettivi presi a prestito dal mondo dei colori: scuro, chiaro, brillante, cupo, limpido etc. In effetti, la stessa terminologia inglese (tone-colour) e tedesca (Klangfarbe), richiama le analogie con il colore, e colore è sinonimo di timbro nel linguaggio della musica.


Il timbro nella composizione musicale



La componente timbrica ha assunto un’importanza crescente nella musica del ‘900. Da semplice elemento di distinzione dei registri vocali e strumentali nella musica barocca (dove molte partiture rimandano a composizioni “per ogni tipo di strumenti”) e da mero ‘parametro’ già codificato ed elaborato nel contesto delle tecniche liuteristiche, il timbro è divenuto elemento decisivo della composizione musicale a partire dall’evoluzione ottocentesca dell’orchestra sinfonica e delle tecniche di orchestrazione. Se dunque l’indicazione timbrica nella musica del ‘700 e dell‘800 si riduce per lo più all’indicazione dello strumento e del modo di suonarlo (come “tromba con sordina”, o “violino pizzicato”), dalla metà del primo ’800, grazie alla sensibilità di compositori direttori d’orchestra, come ad esempio Hector Berlioz, la ‘tavolozza timbrica’ orchestrale divenne sempre più campo sperimentale di invenzione artistica. Lo si desume non solo dall’attenzione che Berlioz dedicò al parametro coloristico nel suo Trattato d’orchestrazione, ma anche dalla ‘piattezza’ delle riduzioni pianistiche dei suoi capolavori orchestrali, che non riescono a trasmettere la ricchezza e la sottigliezza dei colori armonici e strumentali che partecipano direttamente alle vicende espressive dell’opera (un esempio in tal senso può essere la riduzione lisztiana della Sinfonia fantastica, che nulla toglie al valore artistico e divulgativo della trascrizione salvo, appunto, l’intraducibile significato del gioco coloristico degli strumenti). L’ampliamento delle sezioni tradizionali dell’orchestra settecentesca e l’introduzione del clarinetto basso, del sassofono, delle tube wagneriane e altri strumenti di recente invenzione o di provenienza popolare o extra-europea (mandolino, chitarra, varie percussioni) contribuirono all’arricchimento del linguaggio armonico e all’autonomia espressiva del genere sinfonico tardo-ottocentesco, notoriamente nelle sinfonie di Mahler, nei poemi sinfonici di Richard Strauss e nelle opere della scuola russa da Glinka a Rimskij-Korsakov.

Agli inizi del XX secolo Debussy, separando gli accordi dalla loro funzione armonico-tonale, condusse parallelamente una profonda trasformazione anche nell’impiego funzionale della timbrica anche a prescindere dall’organico strumentale (fenomeno che può essere osservato con particolare concentrazione nei suoi capolavori pianistici, in particolare i due libri dei Préludes e degli Images). Questa sensibilità tutta francese giunge ad un ulteriore apice con le opere di Ravel, dove all’esplorazione timbrica degli agglomerati armonici si unisce uno spettacolare virtuosismo sia pianistico che orchestrale. Schönberg nel suo Manuale d’armonia (1911) ridurrà l’altezza stessa a dimensione timbrica del suono: “penso che il suono si manifesta per mezzo del timbro e che l’altezza è una dimensione del timbro stesso” (citazione tratta da Risset, Il timbro, p. 105). Tale giudizio è alla base delle relazioni timbriche melodiche (Klangfarbenmelodie, cioè melodia di suono-colori) su cui insiste la poetica schoenberghiana, e che costituirà un principio di riferimento fondamentale per le successive generazioni di musicisti. Webern sfrutta le pontezialità timbriche di ogni singola nota nel suo specifico registro e nel suo insostituibile rapporto con gli altri tasselli del delicato mosaico che costruisce ex novo in ciascuna delle sue composizioni. Il ‘colore’ strumentale e armonico dei balletti russi di Stravinsky non è meno inconfondibile di quello delle sue composizioni cosiddette neoclassiche; Messiaen, nella generazione successiva, adotta nel suo linguaggio armonico gli “accordi timbro” e li intreccia nel sofisticato apparto di relazioni ritmiche ed espressive che caratterizzano tutta la sua opera; Boulez attribuisce al parametro del timbro una fondamentale funzione strutturale nell’esposizione, nell’elaborazione tematica degli elementi costituenti della composizione e nell’articolazione della forma fin dal suo Marteau sans Maître (1952-54), dove l’organico di sei strumentisti che si affianca alla voce di contralto comprende una varietà di strumenti orientali che evocano a tratti l’orchestra gamelan. Anche laddove – nella musica del secondo Novecento – la dimensione timbrica non risalta come fattore principale di un brano, essa è ormai parte integrante del pensiero compositivo di autori quali Stockhausen, Berio e Nono, che hanno assorbito il patrimonio di innovazioni timbriche dei padri, aggiungendovi la propria esperienza anche nel campo sperimentale della musica elettronica.


Timbro e rumore


Già prima della prima guerra mondiale i compositori futuristi italiani, in particolare Luigi Russolo, posero nella composizione musicale elementi di colore estranei alle timbriche strumentali. Nei “concerti di rumori” il vocabolario musicale è arricchito delle sonorità degli oggetti della vita quotidiana, principio compositivo che in esperienze musicali successive si allarga a comprendere tutti i suoni producibili, grazie anche alle nuove possibilità offerte dalle tecnologie di riproduzione musicale. Fra le numerose sperimentazioni possiamo ricordare due esempi: le opere di John Cage per “pianoforte preparato”, cioè modificato dall’inserimento fra le corde di vari oggetti, che restituivano nuove soluzioni timbriche alla sonorità dello strumento; e la “musica concreta” di Pierre Schaeffer, che impiega suoni e rumori registrati, e, facendo a meno della notazione in partitura, li rende autonomi oggetti sonori potenziandone le qualità timbriche in senso espressivo. Da questi principi ha preso il via la vasta corrente sperimentale della musica elettroacustica, sviluppata anzitutto dal Groupe de Recherche Musicale di Parigi, per la quale ogni suono registrato costituisce un materiale sonoro da manipolare in tutte le sue componenti, superando in particolare la distinzione stessa fra elementi di altezza, intensità e timbro. Per quanto riguarda, infine, il suono digitalizzato, nuova frontiera della composizione e della riproduzione musicale, la ricerca timbrica è oggetto di primo interesse, sia per la sperimentazione di tessiture sonore inedite, sia per la sempre più raffinata riproducibilità della timbrica strumentale e vocale classica. (CP)

Riferimenti bibliografici

Jean-Claude Risset, Il timbro, in Enciclopedia della musica, diretta da J. J. Nattiez, II, Il sapere musicale, Torino, Einaudi, 2002, pp. 89-115.