Voce



“Pare logico pensare che la musica trovi la sua genesi nel corpo, in un impiego particolare (…) del gesto e della parola, o più precisamente della voce”. Questa affermazione di Jean-Jacques Nattiez, nella sua Presentazione al volume II dell’Enciclopedia Einaudi della musica, mette in evidenza come tutte le culture umane impieghino la fonazione per emettere ed organizzare suoni secondo una finalità che esula dal linguaggio, ma si delinea quale forma simbolica autonoma, e nella fattispecie musicale, sia che l’emissione vocale si articoli in parola, sia che ricorra al suono non articolato (fischi, mormorii, lallazioni etc). Il riferimento di Nattiez alla “forma simbolica” risulta di primaria importanza nella definizione della vocalità musicale umana rispetto alla vocalità complessa degli animali, come ad esempio quella di numerose specie di uccelli. Anche nella voce animale esistono infatti repertori di ‘canti’, in certi casi distinti per “contenuto affettivo”, come fa notare Marler (La musica degli animali, p. 472), ma tali emissioni sonore sono del tutto prive di significato simbolico: “Nei canti degli uccelli la varietà introdotta dalla produzione dei repertori serve non per arricchire un bagaglio di significati semantici, ma per creare un massimo di diversificazione sensoriale”.

La fonazione musicale prevede in tutte le culture la presenza di alcuni parametri che gli studi etnomusicologici più recenti hanno tentato di vagliare analiticamente: variazioni controllate dell’altezza dei suoni emessi all’interno di una struttura scalare, riferimento ad un centro tonale (cioè ad un singolo suono attorno al quale si organizza la voce), formule d’intonazione, ritmica, etc. Tuttavia, nonostante l’identità di costruzioni di emissione e conduzione della voce, la produzione del suono musicale vocale conosce infinite sfumature timbriche e tecniche, anche se non esiste una classificazione dettagliata delle “differenze” della voce umana, così come invece accade per gli strumenti musicali. La differenziazione delle voci, nel vocabolario musicale occidentale, si limita alla naturale distinzione tra voci femminili e maschili, e tra registri alti e gravi di entrambe; e le modalità vocali note agli ascoltatori della musica occidentale, sia essa “colta” o “popolare”, si limitano per lo più a questa generale differenziazione. Basta uscire dall’ambiente della società euro-americana per accorgersene: le musiche dei Balcani e quelle slave, il canto sardo e siciliano e, allontanandosi verso l’oriente vicino e lontano, i canti dei paesi nordici e dei continenti africano, australiano e dell’America centrale e del sud, arricchiscono il repertorio vocale con fenomeni poco conosciuti, esplorati quasi esclusivamente da antropologi ed etnomusicologi.

La vasta ricerca condotta recentemente (1996) da Gilles Léothaud, Bernard Lortat-Jacob e Hugo Zamp per il Centre National de la Recherche Scientifique e Musée de l’Homme di Parigi che ha prodotto la significativa raccolta Le voix du monde (Le voci del mondo, in tre CD), ulteriormente approfondita in sede teorica da Gilles Léothaud, ha messo a fuoco la grande varietà di tecniche di fonazione musicale nei luoghi e nelle civiltà più disparate. Gli esempi, tutti registrati “sul campo”, catalogano una determinata tipologia vocale, come un registro, una tecnica d’emissione della voce, un particolare rapporto tra voce e parola e tra voce e strumento o una concezione ritmica e melodica, ma al tempo stesso rimandano anche a specifiche funzioni sociali, espressioni di sentimenti individuali e collettivi, occasioni private e situazioni comunitarie, che inevitabilmente illustrano come le “tecniche” della voce siano anche sempre connesse alla capacità comunicativa della musica e, dunque, alla “forma simbolica” che accompagna e forgia l’emissione vocale.

Alcuni degli esempi proposti si avvicinano a certe tecniche compositive della musica occidentale. Questa vicinanza può essere casuale oppure avere delle ragioni estremamente diverse tra loro: può riguardare casi d’intenzionale utilizzo da parte di compositori occidentali di tecniche apprese da culture extraeuropee, ma può riflettere anche modi d’espressione analoghi di “universali” umani che non conoscono differenze di luogo, di tempo o d’etnia. Nell’ambito delle tradizioni orali raccolte in questa antologia l’impiego musicale della voce si colloca al di fuori dell’idea di opera che si è sviluppata in seno alla cultura occidentale. Questa differenza è significativa parlando della voce, giacché la vocalità della musica d’arte è chiaramente diversa dalla vocalità musicale in senso lato: se questa è espressione naturale di concetti e sentimenti attraverso un “suono umanamente organizzato” (per dirla con John Blacking), la vocalità occidentale, nella musica “colta” e “popolare”, è anzitutto mediata da un apparato teorico, storicamente sviluppatosi, che prevede la figura del “cantante”, interprete e intermediario di tale patrimonio di conoscenze e abilità.

La classificazione che segue è tratta dall’apparato esplicativo dei tre CD di Les voix du monde e dalla classificazione universale delle tecniche avanzata da Léothaud per l’Enciclopedia Einaudi della musica. Le tecniche vocali si possono suddividere in tre grandi gruppi:

1. Tecniche di mescolanza, che prevedono un’estensione del sistema fonatorio tramite uno strumento
2. Tecniche fisiologiche, che non impiegano strumenti
3. Tecniche spettrali, che impiegano principi acustici quali interferenze per creare effetti sonori illusori

1. Tecniche di mescolanza

Molte tecniche musicali associano la voce al suono di uno strumento. I sistemi più comuni sono realizzati attraverso l’applicazione delle mani o di un risuonatore (maschere, tubi, megafoni) sul viso o nella bocca. La voce può essere deformata al fine di amplificare, attutire o aumentare la vibrazione e quindi cambiarne il colore e la natura. All’interno di queste tecniche si possono includere anche i fenomeni di travestimento vocale. In un certo senso ogni tecnica vocale del canto è un travestimento della voce naturale. Ma in molte tradizioni orali la voce è investita di valori simbolici e spesso viene a personificare entità sovrannaturali, divine o comunque “altre” dalla persona di chi canta. Nell’antichissima tradizione dell’opera cinese di Pechino l’attore canta con una voce di testa per incarnare un personaggio femminile (in questo caso il travestimento è dato dal cambio di registro), mentre nel teatro No giapponese la voce “travestita” è emessa anche tramite l’impiego di una maschera. Lo strumento più vicino alla voce è il flauto, e varie tipologie di questo strumento vengono comunemente impiegate come risuonatori della voce. A volte l’imitazione è tale da rendere difficile la distinzione quando voce e strumento si alternano; a volte l’imitazione vocale sostituisce tout court lo strumento. Altri strumenti imitati dalla voce possono essere la tromba o il tamburo e anche la vièle - il violino primitivo con l’articolazione delle vocali su una nota lunga. Le tecniche di abbinamento voci-strumenti includono anche i numerosi processi di imitazione di strumenti, con tutte le implicazioni sociali e rituali che tali tecniche racchiudono.

2. Tecniche fisiologiche

Le tecniche vocali dell’emissione sonora ‘pura’ e ‘naturale’ possono essere raggruppate attraverso i parametri tradizionali di timbro, altezza, intensità (per i quali si veda la voce suono) e ornamentazione.

Timbro o colore. La ricchezza di “colori vocali” è la cosa che più colpisce l’ascoltatore occidentale quando viene in contatto con altre tradizioni del mondo. Non è semplice individuare le componenti che interagiscono nella determinazione del “colore” di una voce intonata. Fra queste vi sono l’altezza, il registro, gli armonici, le formanti (le vocali), la modalità di emissione (gutturale, nasale) che dipende dalla posizione della lingua e della laringe, dalla quantità d’aria, e infine le condizioni acustiche in cui la voce viene emessa (più o meno eco, risonanza, riverbero, assorbimento del suono ecc). Le caratteristiche timbriche della voce umana implicano comunque due componenti fondamentali: il colore e il rumore. Il colore è determinato dall’energia spettrale (le voci scure hanno poca energia all’acuto, viceversa le voci chiare) e da elementi quali la nasalità e i registri (“di testa”, “di petto” etc). Rispetto alle componenti di rumore espiratorio – che nella vocalità occidentale sono rifiutate in quanto ‘sporcano’ la purezza della voce – è da ricordare il soffio che costituisce un elemento estetico, come ricerca di particolare timbro, ma può divenire una componente ritmica del linguaggio musicale, oppure unire entrambe le funzioni.

Altezza e registro. L’altezza vocale è definita non solo dalla distinzione tra “grave” e “acuto”, comune pure agli strumenti, ma anche dalla modalità di emissione: può esse voce di petto, voce di testa, voce di falsetto, voce di gola e numerose altre sfumature come lo strohbass (“basso di paglia” in tedesco) e il sifflet (fischio in francese, cioè registro d’ottavino). Queste modalità di emissione sono chiamate “registri”. Il registro vocale, pur legato all’altezza, cioè all’ambito della voce, non sempre coincide con essa. Il registro di petto, ad esempio, permette anche a una voce “alta” di accedere a suoni particolarmente gravi, quello di testa consente viceversa l’accesso di una voce “bassa” a suoni alti. In determinate tradizioni (anche occidentali) l’ambito naturale di una voce viene forzato per ottenere registri che non le appartengono. Lo yodel, che contrariamente alla credenza comune, non è patrimonio esclusivo delle Alpi svizzere, è l’esempio più noto ed efficace dell’alternanza di registri con la stessa voce.

Intensità. Manifestazioni vocali proiettate verso un uditorio più o meno vasto e più o meno definito, ma comunque con l’intensità necessaria alla trasmissione di un messaggio, definiscono la differenza di intensità vocale. Anche in questo caso non esiste una ‘scala’ di riferimento, ma una distinzione fondata sulla risultanza acustica e sulla funzione. Un distinzione comune, ad esempio, distingue appelli, gridi, clamori: appello alla battaglia e al lavoro, alla preghiera, alla festa, al mercato, ad una manifestazione; grido individuale di lutto, di stupore, di tristezza o di gioia; clamore (grido collettivo) di vittoria, culto, sforzo di lavoro, protesta. La vita privata, l’esperienza religiosa e la vita lavorativa della comunità sono accompagnate da questi segnali ed espressioni dirette e spesso semplici dal punto di vista dell’articolazione musicale, dove la parola può essere assente, poco intelligibile o costituire elemento centrale del messaggio complessivo. Un’altra caratterizzazione dell’intensità vocale è connessa anche alla distinzione fra parlato, declamato e cantato. Le diverse tradizioni orali utilizzano tutte le sfumature possibili delle modalità di emissione vocale dal semplice parlato scandito a una declamazione più o meno enfatica, dalla recitazione su un tono al parlato-cantato che senza diventare canto dispiegato si distingue dalla monotonia non strutturata del discorso quotidiano, fino all’intonazione vera e propria. L’importanza del messaggio verbale (religioso, poetico, politico ...) resta comunque fondamentale in questi esempi, e spesso vi si riconoscono le flessioni della lingua in cui si recita o si canta.

Ornamentazione. L’abbellimento di una linea melodica è un procedimento antico e naturale dell’espressione vocale. L’ornamento può essere parte inerente della struttura melodica oppure inserirsi come elemento estemporaneo e improvvisato. Anche l’aumento improvviso della vibrazione di una singola nota può essere considerato ornamento “minimo”. Trilli, oscillazioni, “frullato” della lingua, melismi (formule melodico-ritmiche che si ripetono sulla stessa sillaba), vibrato e moltissime altre tecniche arricchiscono il panorama tassonomico dell’ornamentazione vocale.

3. Tecniche spettrali

Un suono periodico intonato (“tono”) è costituito da un tono fondamentale e di una serie di armonici (v. suono). Alcuni di questi ultimi possono essere utilizzati a fini melodici con una tecnica che consiste della modifica del volume della bocca giocando sullo spessore e sulla posizione della lingua. Gli armonici così selezionati vengono percepiti come altezze autonome. La provocazione di questi suoni può essere generata da un accessorio esterno (una corda o uno scacciapensieri situato all’ingresso della bocca) che produce vibrazioni periodiche, ma - più raramente - la provocazione è interna. Si tratta allora del canto difonico, in cui ciò che provoca il suono sono le stesse corde vocali. L’emissione difonica consiste, in sintesi, nel produrre uno spettro vocale ricco di armonici e nell’accordare la cavità orale a uno dei componenti dello spettro, che, per il fenomeno della risonanza, aumenta in ampiezza. Muovendo la lingua, il cantante varia la grandezza della cavità orale, e dunque la frequenza, selezionando armonici differenti. Va notato che questa tecnica è diffusa soprattutto laddove si usa produrre gli armonici anche con un accessorio esterno: in Mongolia, Siberia e anche in una regione dell’Africa del sud piuttosto limitata: presso gli Xhosa.


La voce impostata

Nella musica d’arte occidentale le tecniche naturali sono impiegate in modo complesso, finalizzato alla acquisizione della voce impostata, impiegata dai cantanti in vaste aree di repertorio della musica vocale e vocale-strumentale e della musica scenica (nell’opera) soprattutto in età classico-romantica. La voce impostata fu il prodotto della scuola vocale italiana, e si orienta alla realizzazione di un’emissione vocale pura e priva di rumori e soffi, di un’estensione ampia soprattutto in acuto sia nelle donne che negli uomini, di una intensità potente e di una omogeneità di timbro, che mira a nascondere i passaggi naturali di registro, in particolare arrotondando le formanti (le vocali) e sfruttando la ‘maschera’ naturale (la parte superiore del volto) per aumentare l’area di risonanza ed evitare ‘ingolamento’, o ‘voce di gola’ (che invece è praticata nella musica leggera). I registri principali della vocalità impostata sono:

Soprano (la voce femminile più alta, ulteriormente distinta in leggero, drammatico, lirico etc.)
Mezzosoprano (la voce intermedia fra soprano e contralto)
Contralto (la voce femminile scura, estesa soprattutto nel settore grave)
Tenore (la voce maschile estesa in acuto, suddiviso in tenore di grazia, lirico, drammatico)
Baritono (la voce intermedia fra tenore e basso)
Basso (la voce maschile più estesa nel grave, articolato in basso cantante, profondo, buffo).

Altre voci sono quella maschile di falsetto naturale (la voce dei castrati, molto impiegata nell’opera del Sei-Settecento e nella musica da chiesa), di falsetto artificiale (la voce maschile che simula il falsetto e che è spesso definita controtenore) e la voce bianca, cioè la voce dei fanciulli che corrisponde all’estensione di soprano, pur restituendo un colore differente, più chiaro e squillante. Queste diverse tipologie sono strettamente congiunte alla funzione drammaturgica delle voci nel melodramma, dove “il personaggio è la sua voce” (Beghelli, p. 381), con il conseguente fenomeno storico e sociale della proiezione erotica e del “culto” della voce, rispetto al quale segnaliamo la più macroscopica e significativa evoluzione: il ribaltamento dei registri della vocalità maschile nel melodramma fra Sette e Ottocento. (CP)

 

Riferimenti bibliografici

Peter Marler, La musica degli animali, in Enciclopedia della musica, diretta da J. J. Nattiez, II, Il sapere musicale, Torino, Einaudi, 2002, pp. 467-476.

Gilles Léothaud, Classificazione universale delle tecniche vocali, in Enciclopedia della musica, diretta da J. J. Nattiez, V, L’unità della musica, Torino, Einaudi, 2005, pp. 789-813.

Marco Beghelli, Voci e cantanti, in Enciclopedia della musica, diretta da J. J. Nattiez, V, L’unità della musica, Torino, Einaudi, 2005, pp. 814-841.

Les voix du monde (Le voci del mondo), Antologia delle espressioni vocali, 3 CD, a cura di Gilles Léothaud, Bernard Lortat-Jacob e Hugo Zamp, Collezione del Centre National de la Recherche Scientifique e Musée de l’Homme, Paris, 1996.