Suono
Il suono è il mezzo fondamentale attraverso il quale si esprime l’arte
della musica. L’introduzione al suono qui proposta prende in esame gli
aspetti più generali di questo fenomeno in relazione alle sue principali
costituenti fisiche, cioè le tre qualità che lo caratterizzano
(altezza, intensità e timbro) e al modo in cui si presenta alla percezione
umana. Nella sezione Fenomenologia del suono
è invece approfondito il modo in cui il meccanismo percettivo si relaziona
alla teoria e all’estetica musicale.
Il suono è un fenomeno prodotto dalle vibrazioni di
un corpo elastico che si trasmettono attraverso l’aria, ma anche l’acqua
o un solido. Le vibrazioni così prodotte e trasmesse sotto forma di
onde sonore diventano suono quando raggiungono il nostro orecchio, e, trasformate
in impulsi nervosi, vengono recepite dal cervello come sensazione uditiva.
Il fenomeno sonoro è un sistema complesso di variazioni periodiche
di pressione che si propagano in tutte le direzioni per azione e reazione
delle molecole del mezzo di diffusione. Il timpano recepisce tali variazioni
riproducendole e trasmettendole all’orecchio interno, fino al nervo
uditivo. Ma i suoni non sono mere riproduzioni mentali degli stimoli acustici.
Sono invece elaborazioni complesse, che prevedono processi psicofisici di
riconoscimento, analisi e risposta emotiva. Allo stimolo acustico esterno
corrisponde un oggetto sonoro interno, così
come alla percezione visiva corrisponde l’immagine di un oggetto. Mentre
però, ad esempio, la vista e il tatto trasmettono informazioni sulla
realtà che supponiamo materialmente esistente al di fuori di noi, il
suono, come il sapore o l’odore, rimanda ad una proprietà che
attribuiamo agli oggetti. Non è dunque per caso che definiamo suoni,
sapori e odori con gli stessi aggettivi (dolce, avvolgente, aspro, acuto).
A differenza degli ultimi, però, il suono è meglio caratterizzato
a livello oggettuale: una struttura sonora ha per noi anche volume, colore,
proporzione, tutte caratteristiche abbinate anche all’oggetto visivo.
L’elaborazione mentale dell’oggetto sonoro e la possibilità
di definirlo attraverso una serie di qualità, alcune delle quali misurabili,
permette infine di connotare il suono in senso estetico: suoni e aggregati
sonori possono essere belli o brutti. Ma non solo: i suoni possono esaltare
o deprimere, rallegrare o rendere tristi, rilassare o eccitare. Ciò
accade all’ascolto spontaneo dei suoni che ci circondano, ma anche di
quelli che produciamo. Come disse Boezio, il maggiore teorico musicale della
tarda antichità, "nulla è così strettamente umano
quanto l’abbandonarsi a dolci armonie e il sentirsi infastiditi da quelle
discordanti, e questo non si limita a gusti individuali, o a specifiche età,
ma abbraccia le tendenze di tutti ... quindi a ragione Platone disse che l’anima
del mondo è in stretto rapporto con l’armonia musicale"
(Boezio, De institutione musica, I,1).
Essendo prodotto da una vibrazione, cioè da un movimento meccanico e ripetuto di un corpo, il suono è misurabile. L’unità di misura si chiama HERTZ (in onore del famoso fisico tedesco Heinrich Hertz, 1857-1894 che dimostrò sperimentalmente l’esistenza delle onde elettromagnetiche), ed indica la frequenza, cioè la quantità delle vibrazioni emesse dal corpo in un secondo.
Le frequenze inferiori a 16-20 Hz e superiori a circa 20.000 Hz non sono udibili dall’uomo e costituiscono i cosiddetti infrasuoni e ultrasuoni. La sensibilità dell’udito è massima per le frequenze comprese fra i 2.000 e i 5.000 Hz; nella pratica musicale i suoni generalmente usati sono compresi fra i 27 e i 5.000 Hz. La più recente misurazione della frequenza è stata data da una delegazione del Consiglio d’Europa nel 1971.
La2 a 220 Hz
La3 a 440 Hz
La4 a 880 Hz
Nonostante le vibrazioni sonore siano misurabili, la prima possibilità
concreta di determinare l’altezza attraverso un unico paramentro di
riferimento risale solo agli inizi dell’età moderna, anzitutto
con l’invenzione del diapason, un piccolo
strumento d’acciaio a forma di forcella progettato nel 1711 dall’inglese
John Shore. Il diapason produce un suono di altezza fissa, pari ad una vibrazione
di 440 Hz al secondo. Tale frequenza corrisponde, per la convenzione internazionale
del 1939, alla nota la3.
Dall’antichità fino all’adozione dell’Hertz, le altezze dei suoni erano misurate solo in base a valori matematici proporzionali, determinati empiricamente a partire, ad esempio, dall’osservazione delle vibrazioni nelle corde e dall’ascolto del suono risultante. In particolare, un principio fisico/matematico comunemente riconosciuto è che il suono fondamentale prodotto da una corda che vibra liberamente è identico, ma più grave, del suono della stessa corda trattenuta alla metà della lunghezza. La proporzione doppia è dunque associata a due suoni uguali nell’intonazione ma di diverso registro, come accade spontaneamente quando una stessa nota è intonata da una voce maschile e da una voce femminile. In tal modo, fin dall’antichità e in tutte le culture fu possibile elaborare scale musicali, cioè successioni regolari crescenti o decrescenti di suoni di altezza diversa, utilizzando come estremi proporzionali due suoni uguali in diverso registro.
Se la frequenza dipende dalla quantità di vibrazioni al secondo, l’intensità di un suono dipende dall’ampiezza della vibrazione: più l’onda sonora è ampia, più il suono risultante è forte e ben udibile, mentre una vibrazione della stessa frequenza ma di minore ampiezza produce un suono più debole. Il campo di udibilità dell’intensità di un suono varia, però, da frequenza a frequenza ed è delimitato da un parametro minimo, la soglia di udibilità, ad un massimo, la cosiddetta soglia del dolore. L’intensità varia inoltre anche in base alla distanza dell’organo uditivo dalla fonte sonora. Occorre notare che il comportamento psicoacustico dell’orecchio cambia a seconda della combinazione di frequenza e intensità del suono. I fisici, dunque, hanno introdotto altre unità di misura, capaci di esprimere numericamente i valori della sensazione sonora (fon, son, mel). Anche l’intensità sonora è valutata in base ad un’unità di misura comunemente conosciuta, il DECIBEL. Un decibel corrisponde a un decimo di BEL, il valore di riferimento che porta il nome del fisiologo americano (Alexander G. Bell, 1847-1922) che lo mise a punto.
La gamma dei suoni generalmente utilizzata in ambito musicale è ben inferiore alla gamma udibile, ma questa non è la sola specificità del suono musicale. Per essere tale, deve essere anzitutto determinato, cioè la frequenza delle vibrazioni (l’altezza) deve essere riconoscibile. Il suono musicale, però, non è composto di vibrazioni di una sola frequenza. Un suono di questo tipo, che si dice puro, è ad esempio il la prodotto dal diapason, o suoni elaborati da particolari strumenti elettronici. Se gli strumenti musicali producessero suoni puri la loro sonorità risulterebbe povera e vuota, priva di spessore. Un suono complesso come quello degli strumenti musicali o della voce umana è composto da vibrazioni di diversa frequenza, cioè da tanti suoni puri che si susseguono e sovrappongono secondo una precisa progressione, formando la cosiddetta serie di suoni armonici. La natura e l’intensità degli armonici determinano il timbro di un suono musicale. Il fenomeno degli armonici fu messo in luce nel 1636 dal filosofo Marino Mersenne(1588-1648), mentre due secoli dopo il fisico tedesco Hermann von Helmholtz (1821-1894) formulò la legge matematica della serie degli armonici. Egli scoprì che due suoni musicali diversi sono tanto più consonanti (cioè gradevoli all’orecchio se suonati insieme) quanto maggiore è il numero di armoniche che essi hanno in comune. Il massimo della consonanza si ha dunque quando i suoni sono separati da un’ottava: in tal caso le loro armoniche si sovrappongono esattamente. Inoltre, Helmholtz stabilì che il rinforzo o l’esclusione di determinati armonici è la caratteristica fondamentale che determina il timbro, sia nelle voci che negli strumenti.
Il timbro è anche chiamato colore,
in quanto caratterizza la ’voce’ peculiare di ogni fonte sonora.
La possibilità di sviluppare gli armonici dipende infatti dal materiale,
dalla forma, dalla disposizione delle parti di ogni fonte sonora. I primi
armonici percepibili ad un orecchio attento sono l’intervallo di ottava
(primo armonico), di ottava dell’ottava (secondo armonico), di quinta
(terzo armonico). La successione dei primi armonici è sintetizzata
nel seguente schema:
Armonici |
Frequenza |
Rapporto con |
Nome della |
Rapporto con |
---|---|---|---|---|
1 |
100Hz |
1:1 |
Do |
-- |
2 |
200Hz |
2:1 |
Do |
2:1 |
3 |
300Hz |
3:1 |
Sol |
3:2 |
4 |
400Hz |
4:1 |
Do |
4:3 |
5 |
500Hz |
5:1 |
Mi |
5:4 |
6 |
600Hz |
6:1 |
Sol |
6:5 |
7 |
700Hz |
7:1 |
Sib |
7:6 |
8 |
800Hz |
8:1 |
Do |
8:7 |
9 |
900Hz |
9:1 |
Re |
9:8 |
10 |
1.000Hz |
10:1 |
Mi |
10:9 |
11 |
1.100Hz |
11:1 |
Fa# |
11:10 |
12 |
... |
|
|
Ciò che ci permette di distinguere il timbro di due
diversi strumenti musicali o voci è appunto la diversità di
intensità con cui vengono avvertiti gli armonici presenti sulle note
reali che questi strumenti producono. Ma il timbro è influenzato anche
dal modo in cui il suono evolve nel tempo, oltre che dal contesto in cui la
percezione acustica avviene: fra gli attributi del suono il timbro è
indubbiamente il più complesso e difficile da analizzare. Il suo significato
nel contesto musicale è approfondito separatamente nella voce dedicata
al timbro.
A differenza del suono timbricamente determinato, il rumore
è formato da suoni di frequenze che non si susseguono secondo il vincolo
armonico. Del rumore è misurabile solo l’intensità, ma
ciò non significa che il rumore non abbia timbro; anzi, ogni oggetto
sonoro ha per l’orecchio umano una specifica identità timbrica
che risulta essenziale al riconoscimento della fonte sonora. Così,
ad esempio, è chiaramente avvertibile a parità di intensità
e durata la differente percezione acustica provocata da un oggetto di vetro
che cade frantumandosi e da un martello che colpisce un chiodo. L’analisi
spontanea degli stimoli acustici è sviluppata sulla base dell’esperienza
quotidiana dei gesti sonori, la cui categorizzazione si affina gradualmente
nel lungo corso dell’apprendimento umano. (CP)