Fenomenologia del suono
“Il materiale acustico subisce fin dall’inizio una preparazione,
viene cioè selezionato e ordinato, in modo da costituire un veicolo
adatto all’idea [musicale] che vi si esprime” (Ulrich Michels).
E’ questo principio di ordine, di costruzione e di potenzialità
espressiva che distingue il materiale della musica dalla materia sonora in
generale. In questa sezione ci interesseranno le dinamiche percettive ed estetiche
tramite cui il fenomeno sonoro diventa fenomeno ed esperienza musicale. Più
che della fenomenologia del suono, parleremo in effetti della fenomenologia
dell’ascolto.
Nella sezione Suono è stata evidenziata
la natura complessa dell’oggetto sonoro che è un risultato dell’interazione
tra uno stimolo acustico prodotto dalle vibrazioni di un corpo fisico, il
canale di trasmissione di queste vibrazioni e i significati oggettivi (fonte,
collocazione nello spazio, volume, registro) e soggettivi (piacevole, aspro,
chiaro, oscuro) attribuiti al fenomeno durante la percezione. La possibilità
di percepire il suono in tutta la sua pregnanza senza vederne (e persino senza
riconoscerne) la fonte, ha conseguenze importanti nella riflessione estetica
sull’ascolto in generale e su quello musicale in particolare. Si racconta
che Pitagora tenesse le sue lezioni dietro uno schermo, così che i
suoi discepoli potessero concentrarsi sul contenuto delle sue parole senza
essere distratti dalla vista di chi le emetteva. Da qui la qualifica dei pitagoriani
come “akousmatikoi” - quelli che desiderano sentire (e ascoltare).
Il compositore francese Pierre Schaeffer (1910-1995), padre della “musica
concreta”, nel suo famoso “Traité des objets musicaux”
(Trattato degli oggetti musicali), ritiene che quando ascoltiamo, tendiamo
a staccare il suono dalle circostanze della sua produzione e di riferirci
ad esso come a una cosa in sé.
La complessità e l’autonomia dei suoni stanno alla base della
speculazione e della prassi musicale in occidente, dove la spinta verso l’astrazione
e la spirituralità hanno allontanato l’esperienza musicale dalle
sfere della natura e del rito sciogliendo la fusione delle modalità
espressive (verbale, orchestica e musicale) caratteristica di quelle sfere,
per farla evolvere come scienza e arte autonoma (v. Che
cos'è la musica?).
Intenzione e intonazione, silenzio e rumore
La musica – intesa al livello più elementare come
“suono organizzato”– per esistere deve essere prodotta,
o meglio agita dall’uomo in tempo reale: dalla sua voce, da uno strumento
da lui suonato, costruito o programmato. Il principio dell’organizzazione
(dei ritmi, delle altezze, della tessitura e delle combinazioni di voci, strumenti,
ecc.), e quello dell’azione nel tempo (l’esecuzione),
sono applicati ai suoni attraverso un processo di intenzione e intonazione.
L’intenzione (di chi agisce musicalmente) trasforma i suoni, e volendo
anche i rumori, in “materiali sonori”, la cui selezione
e organizzazione sono mirate alla costruzione di un evento musicale. L’intonazione
(intesa come impostazione ed emissione dei suoni in ordine alle loro altezze)
definisce il suono e lo predispone ad entrare in relazione con altri suoni
intonati. L’atto della selezione e l’intenzionalità (come
anche il principio generale di organizzazione di elementi costitutivi), sono
comuni a ogni attività artistica e intellettuale; l’intonazione,
invece, è specifica alla musica. Il suono intonato può essere
soltanto potenzialmente musicale (ad esempio: il suono oscillante di una sirena,
o quello ritmato di un clacson, di per sé non sono definibili come
“musica”, ma possono essere utilizzati, come del resto qualsiasi
rumore, in un contesto musicale) oppure metaforicamente tale (il canto dell’usignolo
di cui ignoriamo le dinamiche intenzionali e presumiamo le modalità
d’intonazione e organizzazione).
Il silenzio circonda il suono e predispone all’ascolto,
ma esso svolge anche un ruolo fondamentale nella strutturazione di qualsiasi
“discorso” musicale. (v. ritmo)
La rivalutazione del silenzio come elemento autonomo di espressione e comunicazione
di idee musicali coincide con l’introduzione del rumore
come parte integrante del repertorio sonoro delle avanguardie del Novecento
(cfr. la definizione della musica proposta da John Cage (v. Aforismi
e riflessioni) che ha modificato lo statuto estetico di un fenomeno che
prima era considerato sgradevole e privo di connotazioni espressive (v- suono).
La possibilità di costruire e di manipolare il suono per mezzo delle
tecnologie elettroacustiche e digitali ha rivoluzionato
imetodi e spesso la sostanza della composizione travolgendo i concetti di
scrittura (v. oralità e scrittura) di opera
(v. musica e linguaggio) e della sua trasmissione.
Permane comunque il concetto di processo musicale,
basato sulla selezione e l’organizzazione del materiale sonoro, processo
che, una volta compiuto, prende vita in un evento
musicale.
La musica colloca l’ascoltatore all’interno di un mondo sonoro
in cui le leggi, e i processi che le mettono in atto, si definiscono e si
svolgono tra i suoni. Rapporti tra unità,
direzionalità, dinamica e staticità, somiglianze e differenze,
attesa, conferma e sorpresa, ripetizione e variazione, tratti stilistici e
accenti distintivi... tutte queste cose e altre ancora diventano gli elementi
del “tempo nel tempo” che l’evento musicale instaura al
di là della contingenza di elementi verbali (testo poetico o drammaturgico,
traccia narrativa ecc.) visivi (danza, teatro, cinema) e contestuali (circostanze
individuali e sociali, contesti culturali).
Il suono nel tempo
Il suono “scorre attraverso il passato e si imprime nella memoria”,
diceva Agostino (De ordine, II 14). La percezione dell’evento sonoro
avviene simultaneamente all’accadimento dell’evento stesso. Esso
si iscrive nella mente, dove può risuonare, ma anche tacere per riaccendersi
come ricordo, come segno, o simbolo, legato ad altri - sonori e no. Il suono
è un segnale, un tratto istantaneo e invisibile che racchiude in sé
un processo temporale. La percezione simultanea
di elementi successivi nel tempo è un fenomeno che non ha paragoni
in altre esperienze sensibili. Molti studi filosofici, psicologici, cognitivi
e musicologici sono stati dedicati alle dinamiche percettive dell’ascolto
senza tuttavia risolverne del tutto il mistero. L’intensità delle
pagine dedicate da Edmund Husserl alla percezione del suono, e del suono musicale
in particolare, nel suo trattato “Sulla fenomenologia della coscienza
interna del tempo”, dimostrano la centralità del fenomeno nell’indagine
del filosofo sull’esperienza del tempo; la terminologia e le metafore
cui egli fa ricorso non riducono la complessità del problema ma lo
rendono decisamente più plastico e tangibile. La metafora husserliana
di “Kometenschweif” (coda o scia di cometa) è particolarmente
utile ai nostri fini: la percezione di una melodia assomiglierebbe secondo
questo paragone a quella della traccia visiva lasciata dalla cometa mentre
attraversa lo spazio: il residuo di coda luminosa corrisponderebbe alle note
appena udite che la memoria ritiene mentre l’orecchio percepisce le
altezze suonate all’istante, analoghe, queste, alla punta della cometa
ancora visibile nel cielo. L’anticipazione della direzione in cui la
cometa procede una volta sparita dal campo visivo, corrisponderebbe alla nostra
coscienza che “protende” con la melodia verso il suo proseguimento.
E’ vero infatti che in ogni istante dell’ascolto il presente si
assomma alla cognizione dei suoni passati e all’anticipazione di quelli
a venire nella “direzione” indicata; ma la traiettoria, nella
musica – anche nelle sue manifestazioni strutturalmente più codificate
e teleologiche - è molto più aperta e meno prevedibile di quella
di una cometa. Più che di anticipazione conviene dunque parlare di
attesa o di aspettativa: “Un evento musicale
(che si tratti di un suono, di una frase o di tutta una sezione) ha un significato
perché indica e crea l’attesa di un altro evento musicale”
(Leonard Meyer).
Lo spazio sonoro
La temporalità dei processi sonori e musicali non li astrae dallo spazio
in cui essi si formano. Il suono non esisterebbe senza il riverbero dello
spazio nel quale esso viene emesso, e la percezione di un complesso o di una
successione di suoni è condizionata dai rapporti spaziali e acustici
tra le loro fonti. Ma l’incidenza sull’ascolto della componente
spaziale della percezione umana va ben oltre la realtà acustica del
fenomeno sonoro. Roger Scruton, nel suo libro “The Aesthetics of Music”
trae l’attenzione alla “non opacità” degli oggetti
sonori: la simultaneità del loro accadimento non esclude la percettibilità
di ciascun suono; un evento sonoro può essere percepito nella sua interezza
anche quando è costituito da una moltitudine di suoni. La musica offre
all’ascolto una sorta di “visione panoramica” delle cose
udite. I capolavori polifonici del Rinascimento trasmettono all’orecchio
l’architettura degli spazi per i quali furono concepiti. Si pensi alle
magnifiche composizioni policorali di Andrea e Giovanni Gabrielli per la cattedrale
di San Marco di Venezia con le sue due cantorie affrontate e i numerosi organi;
o all’introduzione alla Passione secondo Matteo di Bach, composta per
la chiesa di San Tommaso a Lipsia, che impegna due cori di quattro sezioni
vocali ciascuno, un ensemble strumentale con organo, e un coro di bambini
(“voci bianche”) che intona la melodia di un semplice Lied che
emerge ogni tanto dall’intreccio polifonico come un’apparizione
candida e trasparente in cima ad un’immensa cattedrale gotica.
La simultaneità della percezione musicale abbraccia tutte le dimensioni
del fenomeno sonoro: il carattere individuale di ciascun suono, la coincidenza
“verticale” (v. armonia)
di più suoni nello stesso istante e la successione “lineare”
(v. monodia e polifonia*) dei singoli elementi ed eventi. La capacità
di ritenere e proiettare in avanti l’intera informazione udita in un
tratto di tempo crea nell’ascoltatore un’associazione spaziale
che prescinde dalla collocazione reale della fonte del suono. Il movimento
della musica nel tempo sembra mimare e rimandare a una configurazione che
si muove nello spazio; esso corrisponde inoltre (in modi e misure che variano
secondo la complessità della musica, l’individualità dell’ascoltatore
e il contesto culturale) ai gesti corporei e ai moti interiori di chi la produce
e ascolta. E’ all’interno di questo processo che va cercato il
significato dell’evento musicale (v. musica
e linguaggio).
Prossimità e alterità del
suono
I suoni ci giungono da qualche parte; anche quando li produciamo noi, una
volta emessi, non si possono raggiungere. Eppure, quando ci giungono, essi
si offrono alla nostra percezione interamente, liberamente, senza esclusione
o interruzione spontanea. Finché risuona, il suono è udibile.
A differenza dell’immagine – dalla quale si può togliere
lo sguardo o barrarlo chiudendo gli occhi – il suono ci segue; per non
udirlo non basta tappare le orecchie… Questa enigmatica combinazione
di alterità e di illimitata percettibilità del mondo sonoro
è una delle ragioni della ricchezza dell’esperienza musicale
che dà forma al suono e richiama ad un ascolto attivo e partecipe che
non ha limiti di luogo, lingua, etnia, genere, e che può svilupparsi
su molteplici livelli di consapevolezza e di comprensione. (TPB)
Riferimenti bibliografici
Roberto Casati e Jérôme Dokic, Philosophie du son, Paris,
Editions Jacqueline Chambon, 1994.
Jean-Jacques Nattiez, Suono/rumore, in Enciclopedia, vol. XIII, Torino, Einaudi,
pp.833-839, poi in Il discorso musicale. Per una semilologia della musica,
ed. it. a cura di R. Dalmonte, Torino, Einaudi, 1987, pp. 13-32.
Roger Scruton, The Aesthetics of Music, Oxford, Clarendon
Press, 1997, pp. 1-79.