Tecnologie
La creazione artistica, in quanto incarnazione fisica di un pensiero estetico,
non può darsi se non nella compresenza di un momento speculativo, comprensivo
di tutte le “idee” che l’autore intende manifestare, e di
un momento attuativo, che consiste nella manipolazione del materiale di partenza
attraverso l’esercizio di azioni pratiche. Quest’attività
di manipolazione passa necessariamente attraverso strumenti che consentano
l’interazione dell’artista con la materia, costantemente soggetti
a un’evoluzione tecnologica atta a perfezionarne le caratteristiche
in vista di determinati scopi, a sostituire i materiali e le tecniche obsoleti
e ad affiancare i sistemi esistenti con altri più moderni, o semplicemente
differenti. L’evoluzione tecnologica dello strumentario degli artisti
non segue necessariamente un percorso lineare dettato dalla necessità
di risolvere nuovi problemi tecnici: la creazione di apparecchiature innovative
in altri campi applicativi, l’evoluzione del gusto e il mutamento delle
condizioni di fruibilità dell’opera sono alcuni dei fattori che
possono influire sulla nascita di nuovi mezzi di produzione e riproduzione
dell’arte. Nel caso della musica, poi, le possibilità d’intervento
del mezzo tecnico si moltiplicano in virtù della peculiare natura “performativa”
che contraddistingue l’evento artistico sonoro. Il percorso che l’idea
del compositore segue per raggiungere il fruitore passa infatti attraverso
almeno tre livelli di elaborazione che, soprattutto a partire dalla fine dell’Ottocento,
sono stati fortemente caratterizzati dalla presenza e dallo sviluppo di apparecchiature
elettriche ed elettroniche.
Tecnologia ed esecuzione
L’ambito in cui il rapporto fra tecnologia e musica gioca il ruolo storicamente
più significativo è senz’altro quello dell’esecuzione,
dal momento che, con la sola eccezione delle composizioni esclusivamente vocali,
non esiste nessun genere musicale che non richieda l’azione di un interprete
su uno strumento produttore di suono. L’incremento delle potenzialità
fisico acustiche dei corpi vibranti (aumento delle possibilità dinamiche,
della qualità timbrica e dell’estensione dinamica) e l’agevolazione
dell’attività digitale dell’esecutore sono le direttrici
che hanno caratterizzato principalmente l’opera di inventori e costruttori
di strumenti, alcuni dei quali si sono meritati un posto di rilievo nell’olimpo
dei grandi nomi della storia della musica. È il caso di Antonio Stradivari,
le cui innovazioni nella tecnica di costruzione di strumenti ad arco sono
viste ancor oggi come pietre miliari della liuteria moderna, o di Bartolomeo
Cristofori, che nel 1711 mise a punto uno strumento a tastiera destinato a
riscuotere un successo straordinario nei secoli a venire: il pianoforte.
Le continue modifiche, migliorie e sostituzioni nel campo della costruzione
di strumenti musicali esercitarono un notevole influsso sull’evoluzione
degli stessi linguaggi; in particolare, il XVIII secolo vide la nascita dei
nuovi stili cosiddetti idiomatici, nei quali
la scrittura musicale si mostra inequivocabilmente connessa con le diteggiature,
le posizioni e le tecniche esecutive degli strumenti cui le composizioni sono
dedicate. Buona parte della musica di Tartini e Paganini, per esempio, non
potrebbe essere adeguatamente compresa se non nel quadro di uno studio approfondito
sulle caratteristiche tecniche dei violini di cui tali compositori potevano
disporre; lo stesso dicasi per Chopin e Liszt relativamente al pianoforte,
o per Giuliani e Sor per la chitarra. La composizione, in tutti questi casi,
diviene espressione di un’intima conoscenza da parte del compositore
delle potenzialità offerte e dei limiti tecnici imposti dallo strumento.
Sulla scorta della rivoluzione culturale delle avanguardie del primo Novecento,
la ricerca tecnologica dedicata agli strumenti musicali si trovò a
dover affrontare tutta una serie di nuove problematiche, principalmente legate
all’acquisizione del rumore all’interno
del vocabolario espressivo dei compositori. I presupposti scientifici di questa
imponente propulsione innovatrice si collocano nella seconda metà del
XIX secolo, soprattutto negli studi di acustica del fisico e fisiologo tedesco
Hermann von Helmholtz; tuttavia è al futurismo
musicale sviluppatosi intorno agli anni Venti, e in particolare al pittore
e compositore L. Russolo, che si devono le prime macchine “intonarumori”,
strumenti artigianali in grado di riprodurre suoni a frequenze indeterminate
o parzialmente determinate emulanti suoni della vita reale. Nonostante lo
scarso valore estetico generalmente attribuito a questi progetti e alla musica
che da essi scaturì, la musicologia storica è solita individuare
in essi i prodromi della grande rivoluzione della “nuova liuteria”
novecentesca, inscindibilmente connessa all’introduzione di tecnologie
elettroniche nella progettazione di apparecchiature musicali
Il primo strumento in grado di generare suoni attraverso un procedimento elettronico
fu presentato da Thaddeus Cahll nel 1987 (il primo esemplare fu terminato
però solo nel 1900) e prese il nome di thelarmonium:
una sorta di gigantesco organo di 200 tonnellate la cui produzione si arrestò
nel 1908 a causa degli innumerevoli inconvenienti tecnici cui la costruzione
e l’esecuzione davano origine. Il primo strumento elettronico ad avere
un impatto significativo sul mondo della musica fu invece il theremin
(1919), elaborato dall’ingegnere russo Lev Thermen, che suscitò
la curiosità nel pubblico di tutto il mondo sia per il timbro vagamente
simile a quello della voce umana sia perché l’esecuzione non
prevedeva nessun contatto fisico fra interprete e strumento. L’invenzione
del Theremin fu presto seguita da quella di altri strumenti elettronici, quali
lo Sphárophon e le Onde Martenot (entrambi del 1924) e il Trautonium
(1928), subito impiegati, anche se in misura piuttosto modesta, dai compositori
contemporanei. Di rilevanza musicale ben maggiore fu l’introduzione
di tecnologie elettroniche tali da consentire la manipolazione in tempo reale
il suono prodotto acusticamente da strumenti più o meno tradizionali.
Rispetto agli strumenti completamente elettronici, la pratica del “live
electronics” è attecchita molto più profondamente nel
pensiero delle ultime generazioni di compositori di musica sperimentale, forse
grazie anche al valore simbolico detenuto dagli strumenti tradizionali impiegati,
i quali, restituiscono una dimensione performativa all’esecuzione della
musica, per molti soggetta al rischio di un annullamento totale della necessità
di esecutori dal vivo. La ricerca volta alla creazione di nuovi strumenti
presenta molte analogie con un altro grande settore della tecnologia musicale,
quello della sintesi di eventi sonori e della loro riproduzione elettronica.
Già il suono prodotto dal Theremin proveniva infatti, anche se indirettamente,
da due oscillatori, ossia, da meccanismi in grado
di generare artificialmente onde sinusoidali pure, dalla combinazione delle
quali è teoricamente possibile ottenere ogni sorta di timbro immaginabile.
Su questo principio si basa il sintetizzatore
introdotto da Robert Moog nel 1964, lo strumento che, grazie all’introduzione
di una vastissima gamma di timbri direttamente controllabili dall’esecutore,
forse più di ogni altro ha aperto al pubblico la strada all’esplorazione
dei nuovi orizzonti sonori artificiali.
L’ultima grande fase della ricerca tecnica applicata all’esecuzione
della musica ha avuto inizio, intorno agli anni Ottanta, con l’introduzione
del calcolatore elettronico e della tecnologia digitale in genere, la quale,
pur non essendo portatrice di nessuna sostanziale aggiunta al panorama sonoro
dell’epoca analogica, ha condotto a un enorme ampliamento delle potenzialità
pratiche e della qualità della resa sonora dei prodotti musicali, alla
riduzione dell’ingombro e dei costi delle apparecchiature e, di conseguenza,
a un’accessibilità notevolmente maggiore delle stesse.
Tecnologia e diffusione
La ricerca fisico-acustica intrapresa su finire dell’Ottocento, che
abbiamo visto preludere alla nascita della liuteria elettronica, fu il punto
di partenza di un altro grande progetto, i cui effetti sulla società
nel suo insieme furono talmente dirompenti da arrivare non solo a rivoluzionare
la percezione del fenomeno musicale, ma addirittura a modificare la vita quotidiana
di milioni di persone in tutto il mondo: la registrazione e riproduzione del
suono. Il fonografo, la prima macchina in grado di fissare e conservare un
evento sonoro incidendone il profilo su un cilindro ricoperto da un foglio
di stagno, fu brevettato da Thomas Edison nel dicembre del 1877, principalmente
per scopi burocratici e privati, e comunque non artistici. Già nel
1888 si assistette tuttavia alla fondazione di due compagnie statunitensi
dedite alla distribuzione su tutto il territorio federale dei fonografi e
dei cilindri prodotti dalla Edison Phonograph Company e dalla American Graphophone
Company di Graham Bell (l’inventore del telefono). Al di là dei
primi esperimenti d’incisione, come quella della prima Danza Ungherese
di Johannes Brahms eseguita dallo stesso compositore, il repertorio privilegiato
delle registrazioni fonografiche fu per lungo tempo quello bandistico e, in
generale, per voce percussioni e strumenti a fiato: la captazione dello spettro
di frequenze e della gamma dinamica degli strumenti a crode eccedeva infatti
parzialmente la sensibilità delle prime apparecchiature di registrazione.
Pochi anni dopo l’introduzione dei cilindri sonori, fu presentata dal
tedesco Emile Berliner un’altra invenzione destinata a prendere il sopravvento
sulla prima e a catalizzare il mercato musicale per tutta la prima metà
del Novecento: il disco (1987). Le limitazioni tecniche del fonografo (fra
cui anche la durata delle incisioni) furono quindi in parte ovviate dai nuovi
supporti di ceralacca, sostituiti poi nel 1948 da quelli acetati e pochi anni
dopo da quelli in vinile a 78 giri. A questi si affiancarono a partire dagli
anni Quaranta i nastri magnetici, la cui commercializzazione sottoforma di
musicassetta iniziò però soltanto nel 1963. L’avvento
infine della codifica digitale a lettura ottica e del Compact Disc (1982)
ha chiuso idealmente il ciclo novecentesco della ricerca tecnologica dedita
alla riproduzione della musica, aprendo contemporaneamente una nuova fase
contraddistinta dall’ideazione di forme sempre più “leggere”
di compressione audio, fra cui il noto “Mp3”.
Accanto allo sviluppo e alla distribuzione delle registrazioni musicali, l’altro
grande contributo fornito alla musica dalla ricerca tecnologica, è
quello della diffusione radiofonica, la cui paternità si è soliti
attribuire all’invenzione del 1895 di Guglielmo Marconi. In realtà,
la possibilità tecnica di trasmettere segnali sonori complessi quali
sono quelli musicali, e di “rifornire” pertanto di musica le famiglie
a titolo completamente gratuito, è il risultato degli studi del fisico
canadese Reginald Fessenden, basati su presupposti teorici parzialmente differenti
da quelli del collega italiano.
Tecnologia e composizione
L’apporto della ricerca tecnologica nel campo della composizione di
musica prima del XX secolo, se escludiamo i casi della musica idiomatica di
cui abbiamo precedentemente accennato, fu, tutto sommato, piuttosto modesto.
In effetti, si può dire che fino all’avvento delle apparecchiature
elettriche, i “ferri del mestiere” di cui un compositore aveva
bisogno per esercitare la propria arte erano un foglio di carta (pentagrammata),
una matita ed eventualmente, ma non necessariamente, il proprio strumento.
Paradossalmente, l’impulso più determinante alla nascita della
musica elettronica non provenne tanto dalla “nuova liuteria”,
quanto dal dominio della registrazione e della riproduzione (v. I
mezzi di diffusione) . Fra il 1922 e il 1927, a Parigi, Darius Milhaud
compì alcuni esperimenti di trasformazione del suono della voce mediante
variazioni di velocità nella rotazione dei dischi, mentre la prima
composizione a contemplare un organico di due giradischi a velocità
variabile, accompagnati da un pianoforte preparato e da una sezione di percussioni,
è “Imaginary Landscape” di John Cage (1939). In questo
senso, soprattutto in seguito all’introduzione del nastro magnetico,
si mossero i membri del parigino GRM, fondato da Pierre Schaeffer e, in modo
del tutto peculiare, lo Studio di Fonologia istituito nel 1955 in seno alle
strutture della RAI di Milano da Luciano Berio e Bruno Maderna, mentre lo
studio fondato nel 1951 a Colonia e diretto da Herbert Eimert, si concentrò
principalmente sull’esame delle potenzialità artistiche della
composizione con suoni sintetici. Alla fase “analogica” della
composizione elettronica seguì poi, intorno agli anni Ottanta, quella
“digitale” della composizione assistita
dal calcolatore elettronico, il quale, offrendo
potenzialità pressoché illimitate di generazione di eventi sonori
e organizzazione delle strutture compositive, può essere oggi considerato
come una sorta di strumento musicale totale, in grado cioè di tradurre
(virtualmente) ogni tipo di idea musicale del compositore direttamente in
suono, senza bisogno di ulteriori mediazioni.
La crescente libertà d’azione e l’illimitato vocabolario
sonoro offerti dalle tecnologie elettroniche applicate alla composizione hanno
posto in luce una serie di problematiche legate, da un lato, alla relazione
fra sperimentazione sonora e creazione artistica e, dall’altro, alla
collocazione e alla portata dell’apporto dell’autore, della sua
sensibilità e del suo “mestiere” nell’ambito del
processo compositivo. Molte le critiche sollevate contro una musica che si
paventava potesse soppiantare in toto l’esperienza concertistica tradizionale.
In particolare, soprattutto negli ultimi anni, la polemica che investe questo
settore della ricerca musicale si scaglia contro la presunta inopportunità
di una sperimentazione continua, e spesso molto onerosa, cui non sembra corrispondere
un’adeguata produzione di opere musicali significative dal punto di
vista estetico. In realtà, la vitalità della musica totalmente
o parzialmente elettronica nel panorama concertistico europeo e statunitense,
anche al di fuori dei circuiti cosiddetti “colti” dimostra come
la sperimentazione tecnologica musicale sia tutt’altro che sterile e
fine a se stessa. Inoltre, l’enorme diffusione degli ultimi anni di
Personal Computer e di strumentazioni musicali elettroniche a basso costo
ha dato vita ai nuovi generi della computer music
e dell’internet music,
fenomeni destinati ad avere notevoli ripercussioni sul panorama musicale contemporaneo.
(NB)
Riferimenti bibliografici
Marco Tiella, “L'officina di Orfeo : tecnologia degli strumenti musicali”,
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Abraham Moles, “Musiques expérimentales”, Zurich, Cercle
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Angela Ida De Benedictis, “Radiodramma e arte radiofonica : storia e
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Roberto Doati-Alvise Vidolin (a cura di), “Nuova Atlantide - Il continente
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Armando Gentilucci, “Introduzione alla musica elettronica”, Milano,
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