I mezzi di diffusione



La stampa


L’evento fatidico che cambia per sempre il modo e la storia della diffusione della musica è l’invenzione della stampa musicale, o meglio l’applicazione dell’invenzione della stampa a caratteri mobili alla musica. È infatti dopo la pubblicazione della celebre Bibbia di Gutenberg del 1455 che appare, anche se molti anni più tardi, la prima musica a stampa con i caratteri mobili. La realizzò Ottaviano Petrucci da Fossombrone che nel 1501 pubblicò l’Harmonice musices Odhecaton, una raccolta di cento canti di musica armonica racchiusi in un prezioso volumetto oblungo. In realtà non erano mancati alcuni altri esempi di musica stampata anche prima dell’Odhecaton ma si trattava di edizioni realizzate con la tecnica dell’incisione a piena pagina della musica foglio per foglio in genere usando la tecnica xilografica. Si possono citare fra gli altri il Graduale constantiense del 1473 stampato ad Augusta o il Missale romanum realizzato da Gallo a Roma nel 1476 o i vari esempi stampati da Andrea Antico, quasi un rivale di Petrucci, con la stessa tecnica di incisione. La tecnica tipografica venne ben presto perfezionata, potendosi realizzare l’intera pagina musicale con un solo passaggio, mentre al Petrucci ne erano necessari tre. Il primo ad usare questa semplificazione fu il francese Pierre Attaignant nel 1527 (Chansons nouvelles en musique a 4 parties). Si apre con tutto questo un’epoca nuova in cui la musica inizia a diffondersi sempre più ampiamente grazie alla relativa facilità di stampa che permetteva quantità considerevoli di copie e prezzi accettabili da una sempre più una vasta categoria di persone.

Il genere di musica che per primo fu stampato col nuovo mezzo tipografico fu, naturalmente, quello vocale polifonico che all’epoca era il più diffuso sia nell’ambito sacro che in quello profano (grandissimo impulso all’espansione delle pubblicazioni a stampa lo dette la moda del madrigale cinquecentesco), ma in seguito apparirono anche intavolature per liuto e per altri strumenti. Per lungo tempo la stampa della musica polifonica avvenne separando in fascicoli le varie voci di cui si componeva il brano, fornendo quindi la parte a ciascun cantore. Ma nel 1577 si ebbe un altro importante cambiamento: fu pubblicata per la prima volta una partitura, che presentava cioè le parti stampate tutte insieme una sotto l’altra dal registro acuto a quello grave. Videro infatti la luce in questa nuova forma una scelta di madrigali di Cipriano de Rore con i tipi di Angelo Gardano a Venezia. In questo periodo si viene inoltre a fissare in maniera definitiva la semiografia musicale che si uniforma e diventerà una convenzione diffusa in tutta Europa.

Tuttavia nel XVII e nel XVIII secolo restò in vita anche una tecnica alternativa di stampa musicale, cioè l’incisione su rame dell’intera pagina musicale, la cosiddetta calcografia. Successive modifiche della tecnica sia calcografica sia a caratteri mobili furono introdotte da stampatori i cui nomi in molti casi sono ancora oggi vivi attraverso le case editrici da loro fondate: Breitkopf Lipsia (1717), Schott (Magonza 1770), Simrock (Bonn 1790), Hofmeister (Lipsia 1807), Ricordi (Milano 1808), Chappell (Londra 1811), Peters (Lipsia 1814), Boosey (Londra 1816), Novello (Londra 1829), Sonzogno (Milano 1874). Tutti questi, e molti altri nel frattempo scomparsi o assorbiti da altri (Lucca, Milano 1825; Artaria, Vienna 1750) contribuirono alla diffusione nella musica nel momento in cui si aprì in maniera consistente il mercato dei cosiddetti dilettanti, coincidente con l’inizio del Romanticismo. Piace citare per ultimo l’editore di Firenze G. G. Guidi che, legato alla Società del Quartetto della stessa città, pubblicò le prime partiture tascabili rivoluzionando così la diffusione della musica da camera a stampa. Senza interruzione alcuna di questo processo qualitativo-quantitativo si giunge al giorno d’oggi un’altra svolta epocale dell’editoria musicale, quella basata su processi informatici attraverso i quali chiunque ha la possibilità, con estrema semplicità, di comporre (nel senso tipografico) e di stampare musica a casa propria.



La radio e la televisione


Un altro veicolo fondamentale e formidabile della diffusione della musica fu la radio. Dopo le scoperte di Guglielmo Marconi e di altri e un periodo pionieristico, soprattutto in Europa e Stati Uniti, le trasmissioni radiofoniche conobbero un rapido successo. Ufficialmente la prima stazione radiofonica che si rivolse al pubblico fu quella di Frank Conrad che da Pittsburg, nel 1919, in maniera un po’ rudimentale e domestica trasmise una serie di programmi che potevano essere ascoltati attraverso apparecchi che egli stesso aveva progettato. Furono tuttavia le industrie Westinghouse che, sfruttando l’esperienza accumulata nelle produzione belliche, per prime produssero in quantità apparecchi radio ricevitori che potevano ricevere le trasmissioni prodotte da alcuni membri della stessa industria. Nacque così nel 1920 la KDKA che può essere considerata la prima emittente radiofonica della storia destinata poi a moltiplicarsi per tutti gli Stati Uniti. In Italia, dopo le restrizioni dovute all’esclusivo uso militare della radio, grazie all’entusiasmo del ministro delle poste Costanzo Ciano, nel 1924 si inaugurò la prima stazione trasmittente da parte dell’URI (Unione Radiofonica Italiana), una società costituita da Marconi, poi divenuta EIAR e dopo la guerra RAI.

Ciò che ha fatto e che fa la radio per la musica classica, non è paragonabile all’azione del nuovo mezzo di trasmissione: la televisione. Sia perché quest’ultima, almeno in Italia, ha sempre dedicato spazi marginali alla musica classica, sia perché nel frattempo il costume di vita è cambiato molto e sempre meno le persone hanno la pazienza di stare fermi e concentrati per periodi lunghi, la musica classica oggi si può trovare soprattutto su canali satellitari specializzati. A bene osservare però, anche le odierne trasmissioni radiofoniche italiane di musica classica – la RAI ha il ben noto canale apposito della filodiffusione oltre a Radiotre – sono assorbite sempre più dalla tendenza che si diffonde rapidamente a considerare la musica come un sottofondo continuo, una base sonora indistinta su cui si svolge la nostra vita.



I mezzi di registrazione


Nel 1877, l’americano Thomas Alva Edison inventò un sistema di registrazione e di riproduzione del suono, argomento che aveva entusiasmato i tecnici e gli appassionati di musica fin dalla metà dell’Ottocento. Si poté quindi, per la prima volta nella storia, diffondere la musica anche senza la presenza fisica di un esecutore e cominciare a tramandare una certa tradizione esecutiva. Nel 1878 Edison ottenne il brevetto della sua invenzione – che egli chiamò fonografo - che consisteva nell’incidere attraverso una puntina metallica su di un cilindretto rotante ricoperto di cera un suono o una voce attraverso una membrana che vibrava colpita dalle onde sonore. La stessa puntina poi, posta sul cilindretto in rotazione, riproduceva il procedimento inverso. Dopo pochi anni cominciò la distribuzione dei cilindri dove era stata impressa della musica, dando luogo alla prima diffusione commerciale di musica incisa. Altri ingegneri si cimentarono nel migliorare la riproduzione, che all’inizio era invero piuttosto approssimativa; si ricorda, uno per tutti, il tedesco Emil Berliner che, sempre negli Stati Uniti, ideò nel 1891 il passaggio dal cilindro al disco. L’utilizzo della “tromba”, che caratterizza anche visivamente i giradischi di quell’epoca, rese questi disponibili per un ascolto collettivo. Attraverso sempre maggiori perfezionamenti si arrivò al cosiddetto “78 giri” in bachelite (girava 78 volte al minuto) che si avvalse, a partire dal 1919 di un procedimento di incisione elettrico che sostituì quello meccanico con notevoli miglioramenti per la qualità del suono riprodotto.

Nel 1948 il 78 giri, che aveva nella breve durata delle due facciate il suo difetto intrinseco, fu prima affiancato e poi soppiantato dalla nuova invenzione, ancora una volta americana, del “33 giri” (in realtà 33 e 1/3 rotazioni al minuto). Raffinando le tecniche meccaniche, si poté infatti ottenere un aumento considerevole della durata portandola a sfiorare i 30 minuti per facciata. Parallelamente aumentò anche lo spettro di frequenze registrabili e con miglioramenti continui, meccanici, elettrici e di materiali (la bachelite viene sostituita dal PVC – il celebre “vinile” e le puntine di lettura diventano sempre più sofisticate), si giunge all’importante tappa successiva che è costituita dall’avvento della stereofonia. Si poterono distinguere cioè, nell’incisione e nella riproduzione, due porzioni dello spazio sonoro, una situata a destra e una a sinistra. Attraverso due altoparlanti e un amplificatore apposito si riuscì a ricreare il fronte sonoro con una certa fedeltà. Da qui nacque tutta una serie di raffinatezze che toccarono ogni ambito della riproduzione, sia in fase di incisione sia in quella di riproduzione, che andò proprio sotto il nome di “alta fedeltà (dall’americano Hi-Fi) e che rivoluzionò nuovamente le sempre più esigenti abitudini di ascolto.

Nel 1979 l’industria olandese Philips brevettò un’invenzione che ancora una volta sconvolse il modo di diffusione della musica, introducendo il compact disc, ormai detto CD. A parte le novità delle dimensioni molto diminuite (diametro 10 cm), dell’unica facciata, del colore argenteo anziché nero, della durata fino a quasi un’ora e venti minuti, fu la tecnologia di incisione che determinò una vera rivoluzione. Sfruttando infatti le già diffuse tecniche di registrazione digitale (o per meglio dire numerica), per cui il suono è campionato e ridotto in una serie di successioni di numeri, e la potenza di un raggio laser si poté imprimere sulla superficie del dischetto non più la spirale ininterrotta prodotta dalle onde sonore, ma una serie di avvallamenti corrispondenti ai numeri 0 e 1. Si ottenne così una maggiore resistenza dei supporti (gli LP erano molto delicati e si deterioravano ad ogni ascolto), l’assoluta comodità di accesso ai singoli brani, l’istantanea e precisa pausa e ripresa della riproduzione, oltre all’eliminazione del fruscio dovuto al contatto fra la puntina e la superficie del disco. La stessa tecnica digitale, in abbinamento con la diffusione capillare dei calcolatori e di appositi programmi, ha reso poi l’elaborazione della musica alla portata di tutti. Al CD si è aggiunto alla fine degli anni ’90 il DVD, cioè digital versatile disc. Basato sugli stessi principi e dalle stesse dimensioni del CD, il nuovo supporto, molto più capace (4,7 GB contro 800 MB), è stato utilizzato soprattutto per programmi video ed è stato usato dall’industria musicale per pubblicare il repertorio operistico. La sua diffusione è ormai pari a quella del CD.



Il web


Un ultimo accenno spetta alla rete, il cosiddetto Web che ha portato la diffusione della musica riprodotta ad un livello veramente planetario. Tutto si può trovare “navigando”, e in maniera lecita, o talvolta anche illecita, la musica circola in maniera vorticosa in ogni direzione. Tutto questo è facilitato dall’introduzione di sistemi di compressione che hanno favorito la trasmissione dei brani musicali comprimendoli, appunto, fino a raggiungere dimensioni abbastanza snelle da scorrere senza intoppi e abbastanza velocemente attraverso le sottili linee telefoniche. Le tecnologie del futuro anche immediato porteranno la diffusione della musica a livello ancora più capillare e sarà possibile ascoltare qualsiasi tipo di musica ovunque e comunque (si pensi a ciò che accade già ora con i telefoni portatili). E se la quantità è aumentata a dismisura, la qualità di riproduzione è calata sensibilmente e, fra compressioni varie, altoparlantini di PC, minuscoli auricolari di telefonini, sembra essersi ormai assestata, con buona pace di tutti, a livelli piuttosto mediocri. (GB)



Riferimenti bibliografici


Voci “Stampa musicale”, “Fonografo”, “Trasmissione radiofonica e televisiva”, in Dizionario Enciclopedico Universale della Musica e dei Musicisti. Il lessico, a cura di A. Basso, Torino, UTET, 1983-2000.

Franco Monteleone, Storia della Radio e della Televisione in Italia, Venezia, Marsilio, 1992.

Claudio Ferretti - Umberto Broccoli - Barbara Scaramucci, Mamma Rai. Storia e storie del servizio pubblico radiotelevisivo, Firenze, Le Monnier, 1997.

Luca Cerchiari, Il disco. Musica tecnologia mercato, Milano, Sansoni, 2002.

Jacques Hains, Dal rullo di cera al CD, in Enciclopedia della musica, Vol. III, "Musica e culture", Torino, Einaudi, 2003.