Armonia


Evoluzione del concetto di armonia musicale

L’originario significato del grecismo harmonía è legame, congiunzione e connessione. Il termine “armonia” si affermò in occidente come termine filosofico, in rapporto con le speculazioni cosmologiche, epistemologiche e psicologiche della scuola pitagorica e platonica; se ne veda, ad esempio, l’impiego nella Repubblica, ma soprattutto nel Timeo di Platone, dove il mondo e l’anima sono plasmati a partire da legami armonico-matematici (musica e filosofia). Le prime attestazioni latine tardo-antiche di “armonia”, riscontrabili ad esempio in Sant’Agostino, ci rendono tuttavia già chiaro anche il suo significato specificatamente musicale: “la parola armonia è greca, ed è impiegata in musica per definire la concordia (coaptatio) fra i suoni”. Questo termine ha dunque mantenuto nei secoli, e mantiene tuttora, l’ambivalenza di termine musicale e filosofico, e, ovviamente, anche teologico, indicando una nozione ed un valore basilari del pensiero e dell’arte di ogni tempo: armonia rimanda ad ordine, bellezza, proporzionalità, felicità, bontà, naturalità, semplicità, e ad ogni concetto positivo e coerente.

In età rinascimentale la parola armonia cominciò ad essere impiegata nell’accezione musicale moderna, come termine tecnico che indica la struttura accordale di composizioni polifoniche e l’accesso a questo significato fu un passaggio importante della storia del linguaggio e dell’estetica musicali. Alcuni presupposti che determinarono tale passaggio furono gettati già nel corso del Medioevo: in particolare, erano definite “armonie” le combinazioni consonanti di ottava, quarta e quinta, mentre gli altri intervalli musicali erano ritenuti dissonanti. Ciò era stato matematicamente giustificato da Boezio (inizio secolo VI) sulla base del principio che i rapporti consonanti sono individuati da proporzioni semplici (1:2 = ottava; 2:3 = quinta; 3=4 quarta, come meglio specificato alla voce intervallo). Con lo sviluppo del linguaggio polifonico occidentale, tuttavia, la teoria armonica si configurò come un più ampio sistema di regole che teorizzava la concatenazione degli accordi (combinazione di tre suoni in simultanea) e, nella fattispecie, l’uso delle dissonanze in rapporto al ‘ritorno’ sulla consonanza. Nelle Istituzioni armoniche (1558) di Gioseffo Zarlino, il maggiore teorico musicale rinascimentale, l’armonia in senso proprio è la coesione “che nasce dalle modulationi che fanno le parti di ciascuna cantilena, per fino a tanto che siano pervenute al fine”: l’armonia è originata dunque non solo dalle consonanze, ma anche dalle dissonanze, perché solo così la “modulazione” (cioè la concatenazione degli accordi risultanti) ha “possanza di dispor l’animo a diverse passioni”. Una novità significativa nella teoria zarliniana dell’armonia fu la distinzione fra l’armonia “imperfetta”, composta da due sole voci, e “perfetta” quella fondata su tre voci distinte: idea che segna il passaggio dall’antica concezione bidimensionale del contrappunto alla concezione ‘tridimensionale’ dell’armonia. Le tre voci, infatti, prevedono l’impiego simultaneo di tre suoni: il primo e il terzo stanno in rapporto intervallare di quinta, al cui interno la seconda nota divide l’intervallo in due terze. L’inserimento dell’intervallo di terza in funzione armonica - che nella prassi compositiva si era sviluppato già a partire dal tardo medioevo - si diffuse con rapidità fino ad affermarsi pienamente nel ‘500. L’accordo (triade) così formulato consentì anche un’ulteriore significativa trasformazione nella prassi compositiva, in quanto la nota più grave dell’accordo (il basso) venne gradualmente a configurarsi come fondamento armonico della composizione.


armonia tonale

L’età della rivoluzione scientifica fu determinante per spostare definitivamente la fondazione della scienza armonica dalla matematica boeziana al contesto della nascente fisica sperimentale. Lo studio della risonanza, l’analisi delle consonanze come fenomeno vibratorio e il grande peso attribuito al dato percettivo (con tutto ciò che comportò anche nell’attenzione all’evoluzione del gusto musicale) portarono, con l’aprirsi del Settecento, alla formulazione della teoria del basso fondamentale (1722) ad opera del compositore e teorico Jean-Philippe Rameau, principio cardine del sistema tonale, e alla conseguente teoria per cui le leggi dell’armonia sarebbero fondate sui principi naturali che regolano la successione dei suoni armonici (suono). L’accordo perfetto maggiore (si veda tonalità) rappresenta per Rameau la razionalizzazione del fenomeno naturale degli armonici: nella vibrazione di un suono, ad esempio un do, si trovano infatti contenute le ‘risonanze’ (cioè le frequenze) del mi e del sol, che corrispondono al terzo e al quinto armonico di do. Gli accordi dissonanti si considerano allora come risultanti della condotta delle voci, che convergono alla consonanza dell’accordo perfetto. Gli enciclopedisti, e soprattutto Rousseau, al quale si deve la voce “Harmonie” dell’Enciclopedia e che pure fu in aperta polemica con Rameau in numerose querelle musicali (fra le quali il ‘primato’ della melodia sull’armonia), sottolinea come le strutture armoniche esplicitino la relazione logico-compositiva nella musica perché “in musica ci vuole un senso, un legame, come nel linguaggio”: le relazioni di dissonanza e consonanza sono dunque il nesso logico del processo compositivo. Da qui, armonia ha acquisito il senso prescrittivo che ancora oggi la denota nel linguaggio musicale; lo studio dell’armonia è, nei Conservatori di musica, essenzialmente lo studio dei principi compositivi dell’armonia tonale.

Un concetto fondamentale di tali regole è che gli accordi consonanti sono le triadi maggiori e minori ed i loro rivolti (cioè gli accordi formati con le stesse note, poste in un diverso ordine). L’impiego di tutti gli altri aggregati sonori, cioè le dissonanze, implica perciò una serie di regole di risoluzione, ovvero di riconduzione alla consonanza. Il principale processo di risoluzione nell’armonia classica e principio cardine della tonalità è la cadenza, nella quale la tensione armonica introdotta dall’accordo di dominante si risolve attraverso un ritorno sull’accordo di tonica (v. tonalità). Altra tecnica tipica dell’armonia tonale è la modulazione, cioè il passaggio da una tonalità all’altra nel contesto di una stessa composizione (si veda ancora alla voce tonalità); e nel corso del ‘700, con la messa a punto del sistema del temperamento equabile (v. scala) divenne estremamente agile per gli strumenti a tastiera consentire modulazioni a partire da qualsiasi suono della gamma musicale, tanto che divennero i principali strumenti d’accompagnamento della voce.

La struttura armonico-tonale, come già era accaduto nella teorizzazione della modalità, assumeva su di sé le qualità espressive della musica. Gioseffo Zarlino (che fu il teorico rinascimentale di riferimento per tutto il ‘700) affermava che la successione di una terza maggiore e una terza minore (che in simultanea formano un accordo di tonica in tonalità maggiore, come do-mi-sol) “molto diletta all’udito”, mentre al contrario una successione terza minore - terza maggiore (come nell’accordo di tonica della tonalità minore, ad esempio la-do-mi) fa percepire “un non so che di mesto e languido, che rende tutta la cantilena molle”. Queste definizioni rendono palpabile la distinzione espressiva ed emotiva che ancora oggi accompagna la differenziazione fra i due modi maggiore e minore nella musica tonale (v. tonalità): mentre il modo maggiore è impiegato per sonorità piene e ‘positive’, il minore imprime un carattere espressivo malinconico e dolente. Dal punto di vista dell’espressività musicale, i due modi maggiore e minore sostituirono dunque i ‘caratteri’ emotivi che contraddistinguevano le varie modalità. In tal modo, il linguaggio armonico stesso era in grado di arricchire la ‘tavolozza’ creativa della musica, attraverso: 1. la tridimensionalità delle sonorità accordali; 2. la sensibilità verso la cadenza, intesa dapprima come passaggio da un accordo imperfetto a uno perfetto, poi come ‘risoluzione’ sull’accordo di tonica; 3. la variazione emotiva determinata dalla modalità maggiore-minore e dalla possibilità di modulazione.

Se nel corso del Settecento l’elaborazione della teoria degli affetti (affektenlehre) da parte del teorico Johann Mattheson fu estesa al sistema tonale in modo sistematico, divenendo così un basilare fondamento del linguaggio compositivo, ma con la chiusura dell’età barocca e del suo sviluppo settecentesco (rococò), il principio generatore del discorso musicale non sembrò più individuabile nell’imitazione e negli affetti. Il nuovo stile ‘classico’ fece della stessa struttura armonico-tonale il fulcro del processo di composizione e della sua logica. Come sottolinea Charles Rosen nel suo The Classical Style (Lo stile classico, 1971), il linguaggio armonico tonale controllava nel Classicismo tanto la ‘grande forma’ (la forma sonata, in special modo) quanto la frase musicale (v. motivo, frase, periodo*), cioè la più piccola unità di senso musicale; ma il dibattito musicologico su tale giudizio è tuttora aperto.

Con l’Ottocento e l’aprirsi della stagione del Romanticismo, la struttura armonica delle composizioni si fece più aperta e inquieta. La modulazione verso tonalità lontane, l’uso sempre più massiccio di cromatismi, di progressioni modulanti, di ‘fughe’ dalla staticità armonica contribuirono a far percepire le enormi potenzialità espressive che si intravedevano ‘al di là’ della cornice tonale. Il cromatismo di Wagner, in cui le progressioni armoniche prevedono una tonica perennemente evitata e subito trasformata in nuova dominante, rese l’armonia “un oceano”, come il compositore stesso affermava, senza più confini, senza cioè strutture di delimitazione e di orientamento tonale. Insieme ad esperienze di ritorno alla modalità, o di scoperta di sistemi musicali nuovi e inesplorati (come quelli delle musiche di tradizione popolare, o delle culture orientali) i compositori del tardo Ottocento diressero la loro inventiva anche al potenziamento delle qualità timbriche dei suoni.


Armonia post-tonale

Agli inizi del Novecento le avanguardie musicali furono pronte per il passaggio all’atonalità, che contestualmente significò un ripensamento anche della ritmica e dei principi formali della composizione. La direzionalità, tipica della musica tonale, venne perduta in queste nuove sperimentazioni, poiché l’orecchio non riusciva più ad anticipare lo sviluppo melodico, armonico e ritmico del brano. Quanto tutto questo abbia pesato nella ‘marginalizzazione’ della musica ‘colta’ del Novecento dalle tendenze più popolari e di massa della musica occidentale lo si deduce con facilità dal perdurare del linguaggio tonale nella musica di più largo ascolto. Come controparte, l’esplorazione dell’atonalità e di nuovi sistemi di composizione, come la dodecafonia, inondarono l’esperienza musicale di sonorità, silenzi, respiri, sfumature timbriche e soluzioni ritmico/armoniche inedite – basterà nominare i primi maestri di queste nuove poetiche: Debussy, Schönberg, Stravinsky – allargando così l’espressività ed emozionalità della musica alla totalità della dimensione percettiva.

La rivoluzione della prassi compositiva fu accompagnata da una significativa elaborazione teorica, che ebbe un ruolo fondamentale nel ‘ricontestualizzare’ anche il concetto di armonia. La possibilità di una teoria oggettiva dell’armonia tonale si era infatti affermata in pieno Ottocento anche in prospettiva storicista, ad esempio con gli studi del teorico Hugo Riemann, e divenne il cardine, con l’aprirsi del Novecento, della fondamentale teoria analitica musicale di Heinrich Schenker (teoria e analisi): le strutture armoniche profonde (Ursatz), riconducibili al passaggio tonica-dominante-tonica, costituiscono infatti nell’analisi schenkeriana l’ossatura di riferimento dell’intera composizione tonale. Questo punto di vista fu determinante per operare il passaggio dalle teorie armoniche prescrittive ottocentesche (per le quali l’armonia tonale è un presupposto del linguaggio musicale) a quelle descrittive del secolo seguente (che puntano ad esplicitare per via d’analisi le caratteristiche di una composizione). Il Manuale d’armonia di Schönberg (1911) può essere considerato una sintesi di questo articolato percorso; se, infatti, il linguaggio armonico tonale è qui esplorato storicamente fino a Wagner (cioè fino alla sua dissoluzione), vi è parimenti delineata l’apertura alla nuova concezione dell’armonia che accompagnerà la ‘rivoluzione’ del Novecento musicale. Il materiale sonoro è ricondotto ad uno stadio pre-organizzato ed il compositore, nell’atto creativo, si assume il compito di ricostruirne le strutture. Armonia acquisisce dunque nella musica colta del secolo XX un significato elastico e mutevole, dettato dalle molteplici scelte di linguaggio (ad esempio la dodecafonia, il politonalismo, la modalità, il calcolo combinatorio), di materiale sonoro e di dinamiche espressive. (CP)


Riferimenti bibliografici

Nicolas Meeùs, Scale, polifonia, armonia, in Enciclopedia della musica, diretta da J. J. Nattiez, II, Il sapere musicale, Torino, Einaudi, 2002, pp. 72-88.

Nicolas Meeùs, Teorie musicali in epoca romantica, Enciclopedia della musica, diretta da J. J. Nattiez, V, L’unità della musica, Torino, Einaudi, 2005, pp. 627-644.

Jean-Jacques Nattiez, “Armonia” in Il discorso musicale. Per una semiologia della musica, Torino, Einaudi, 1987, pp. 53-84.