Intervallo



Il primo e fondamentale elemento musicale determinato dalle qualità relative all’altezza dei suoni è l’intervallo. Gli intervalli sono i costituenti elementari e la materia prima di ogni composizione musicale, in quanto definiscono la reciproca relazione fra due note della scala o del modo impiegato in quella composizione.

Intervallo

I suoni si differenziano l’un l’altro in altezza, cioè sulla base della differenza di acutezza o gravità, come specificato alla voce suono. La differenza in altezza fra due suoni si chiama intervallo, e l’intervallo determina quindi il percorso, ascendente oppure discendente, da compiere per passare dall’uno all’altro suono. Nella musica occidentale, fin dall’età medievale, ogni modo, scala e accordo (v. tonalità) sono definiti dagli intervalli che intercorrono fra i loro suoni consecutivi. La definizione dell’intervallo come distanza fra due note ha un significato assoluto: sul pianoforte, per esempio, la distanza do-mi è sempre una terza maggiore, in qualunque punto della tastiera si scelga di suonarla. Gli intervalli fondamentali, punto di riferimento del moderno linguaggio musicale sono due: l’unisono e l’ottava.

Unisono

Come dice il nome, unisono è l’uguaglianza in altezza fra due suoni: propriamente parlando, esso non è un intervallo, poiché le frequenze dei due suoni sono identiche. Supponiamo che due voci femminili intonino una nota della medesima altezza, ad esempio il suono la3 a 440Hz di frequenza. Le due voci intonano in unisono, cioè emettono lo stesso suono:

Ottava

Anche l’intervallo di ottava è relativo alla distanza fra due suoni uguali, di cui però uno è più grave e l’altro più acuto, cioè prodotto da vibrazioni di frequenza doppia. Supponiamo che un uomo cerchi di intonare la stessa nota prima intonata dalle due voci femminili: probabilmente non ci riuscirà, risultando il suono troppo acuto per una voce maschile, mentre la stessa nota gli risulterà agevole all’ottava inferiore. Egli intonerà dunque il la2, pari ad una frequenza di 220hz. Ogni suono ha quindi una frequenza doppia rispetto al medesimo suono all’ottava inferiore (la3=440hz; la2=220hz) mentre la sua frequenza sarà la metà della frequenza dello stesso suono all’ottava superiore (la4=880hz).

La2 a 220 Hz.....

La3 a 440 Hz.....

La4 a 880 Hz.....

Nella cultura musicale occidentale l’intervallo fra due suoni di cui uno ha frequenza doppia dell’altro si chiama intervallo di ottava. Questo stesso intervallo nell’antichità veniva chiamato diapason (naturalmente da non confondere con l’omonimo strumento per l’accordatura (v. suono). Diapason significa infatti in greco ‘per mezzo di tutte le corde’ (dia-pason, sottinteso chordon), e vuol dire che gli estremi dell’intervallo, il suono base e quello ‘doppio’, racchiudono tutti gli altri suoni di altezza intermedia. Potenzialmente vi sono numerosi suoni di altezza intermedia fra un suono e il suo ’doppio’, ma la teoria musicale occidentale e l’evoluzione della prassi compositiva hanno colmato la distanza con una successione di sette suoni per cui il ’doppio’ rispetto a quello di partenza è l’ottavo suono della successione. Questa successione di sette suoni è la scala musicale diatonica, che nella disposizione più conosciuta corrisponde alla sequenza delle note do, re, mi, fa, sol, la, si, do (i tasti bianchi della tastiera che intercorrono fra un do e il do successivo) .


Gli intervalli nella scala diatonica

Questa panoramica degli intervalli musicali impiegati nel sistema musicale occidentale si basa sulla individuazione di ciascuna tipologia di intervallo all’interno di un’ottava di riferimento (do3 - do4). Come è messo a fuoco alla voce scala, la successione di sette suoni che copre l’intervallo di ottava (do3 - do4, nel nostro esempio) compone la scala diatonica corrispondente ai tasti bianchi della tastiera sotto raffigurata. Le note che individuano i sette suoni sono: do - re - mi - fa- sol - la - si - (do4).


Il semitono e il tono

Prima di definire le varie tipologie di intervallo è opportuno introdurre l’intervallo di semitono e di tono, a partire dai quali sono computati gli altri intervalli musicali. La barra colorata nella figura precedente, riprodotta anche nella figura che segue, indica gli intervalli di semitono compresi all’interno di una ottava, e corrispondenti ai tasti che intercorrono fra gli estremi della stessa ottava do3-do4 (ma lo stesso vale per qualsiasi altra ottava). La distanza di ottava è coperta sempre da 12 semitoni (12 tasti), e il semitono è l’intervallo più piccolo che distanzia un suono dal successivo e dal precedente. La distanza di un semitono è la differenza più piccola in altezza chiaramente avvertibile al nostro udito. Molte altre culture musicali e repertori di canto popolare impiegano intervalli inferiori al semitono, che però il sistema temperato (usato per l’accordatura degli strumenti di tradizione occidentale) non contempla. Questa è la successione di semitoni, con relativa nomenclatura, nella scala diatonica do-re-mi-fa-sol-la-si-do, ricordando che il simbolo # (diesis) innalza la nota di 1 semitono, mentre il simbolo b (bemolle) la abbassa di 1 semitono, così che do# equivale in altezza a reb, re# a mib e così via (v. altezza/nota):

Osservando la barra dei semitoni, notiamo che l’intervallo che separa le note contigue della scala diatonica non è sempre identico. Fra do e re c’è infatti la distanza di 2 semitoni, cioè di un tono (nella tastiera le due note sono infatti separate dal tasto nero, che corrisponde alla nota do#/reb), mentre fra mi e fa c’è la distanza di 1 semitono (non essendoci un tasto nero fra i due). La successione di intervalli nella scala diatonica è dunque: tono, tono, semitono, tono, tono, tono, semitono = 12 semitoni.

Occorre specificare che gli intervalli sono ascendenti se la prima nota è più bassa della seconda, discendenti se la prima nota è più alta; e che due intervalli sono complementari se sommati insieme equivalgono all’intervallo di ottava. Inoltre, per dare il nome agli intervalli si immagina di percorrere la distanza che, all’interno della scala, ne separa gli estremi, e si contano le note che vi sono contenute più gli estremi stessi. Ad esempio do-sol è intervallo di quinta (infatti contiene le note do-re-mi-fa-sol) ascendente, mentre do-sol discendente è una quarta (do-si-la-sol); questi due intervalli sono complementari:

Il prospetto complessivo degli intervalli costruiti sulla scala diatonica nell’ambito di una ottava è rappresentato nel seguente schema. Gli intervalli sono di seconda, terza, quarta, quinta, sesta e settima che si dividono in cinque tipologie: giusti, maggiori, minori, aumentati e diminuiti. Gli intervalli superiori all’ottava si identificano continuando a contare in progressione. Per esempio, poiché: do3 - re3 è una seconda maggiore, do3 - re4 è una ottava più una seconda maggiore, cioè una nona maggiore. Analogamente, do3 - mi4 è una decima maggiore, e così via.

 


Intervalli giusti



Ottava. La distanza di ottava giusta, come sopra specificato, copre tutta la gamma dei suoni: due suoni che distano in altezza 12 semitoni l’uno dall’altro sono quindi fra loro in intervallo di ottava. Questa stessa distanza, riferita alla scala diatonica, è di 5 toni + 2 semitoni. L’intervallo di ottava è un mero raddoppio della voce, come specificato sopra, in quanto i due suoni sono identici, anche se collocati ad un diverso registro. Nella musica occidentale l’intervallo di ottava è stato insieme alla quinta e alla quarta giuste il primo intervallo impiegato in successioni parallele per le prime forme di canto polifonico (v. monodia/polifonia*). Ottave, quinte e quarte sono considerati intervalli perfetti o, nel linguaggio musicale corrente, giusti in virtù della loro determinazione matematica, come specificato più avanti. L’intervallo di ottava è universalmente impiegato nella musica, non solo nel raddoppio del suono degli strumenti e della voce, ma anche per la sua efficacia espressiva. Nel Trovatore di Verdi, ad esempio, Leonora e Manrico, innamorati, cantano in ottava intonando testi diversi nel terzetto “Un istante almen/Del superbo” contrapponendo la loro voce ‘unisona’ alla voce del Conte di Luna, loro antagonista.

Quarta. L’intervallo di quarta giusta si compone di 2 toni + 1 semitono. Quarta e quinta sono intervalli complementari, in quanto, sommati, danno l’ottava. La quarta giusta è tra gli intervalli più popolari della musica. Tante famose melodie iniziano con un intervallo di quarta ascendente nel contesto della musica tonale, perché evoca in maniera esplicita la cadenza dominante-tonica (v. tonalità), dunque è uno slancio che approda al suo naturale punto di riposo. Molti inni nazionali e canti di lotta iniziano con l’incitamento di una quarta. Ma la quarta può anche invitare a procedere col grave passo di una marcia, come ad esempio nella Marcia funebre della Terza Sinfonia (Eroica) di Beethoven. La quarta ascendente più famosa della letteratura musicale è quella che dà l’attacco alla Marcia Trionfale dell’Aida di Verdi.

Quinta: L’intervallo di quinta giusta si compone di 3 toni + 1 semitono. L’intervallo di quinta costituisce la distanza fra i due estremi degli accordi maggiori e minori (v. tonalità). Suonata simultaneamente crea un senso di vuoto e incertezza tonale, come ad esempio nell’ultimo, desolato Lied Der Leiermann (Il suonatore di organetto) della raccolta Winterreise (Viaggio d’inverno) di Schubert: la quinta alla mano sinistra del pianoforte – le note la e mi suonate in simultanea – fanno da sfondo a tutto il brano e ricordano l’uso popolare delle quinte di bordone (v. glossario).


Intervalli maggiori e minori

Terza. L’intervallo di terza maggiore si compone di 2 toni, mentre quello di terza minore è dato da 1 tono + 1 semitono. La terza maggiore o minore definisce il modo della tonalità. La terza è infatti l’intervallo fondamentale nella costruzione degli accordi: la terza maggiore e la terza minore, messe una sopra l’altra in modo da realizzare una quinta giusta, formano l’accordo perfetto maggiore, mentre la terza minore più la terza maggiore formano l’accordo perfetto minore (v. tonalità). L’intervallo di terza è il più piccolo salto melodico, ed è un approdo naturale della voce; la sua forza espressiva può essere colta, ad esempio, ascoltando il secondo tema del secondo movimento della Sinfonia Incompiuta di Schubert: una stupenda melodia del clarinetto, esempio eloquente, anche per il corredo armonico che Schubert le fornisce, della dolcezza posseduta dalle terze (quattro in successione, di cui la prima, minore, dà il modo). I due più famosi intervalli discendenti di terza, la prima maggiore la seconda minore, sono quelli che aprono la Quinta Sinfonia di Beethoven.

Sesta. L’intervallo di sesta maggiore si compone di 4 toni + 1 semitono, mentre quello di sesta minore è dato da 4 toni. Terze e seste sono intervalli complementari, perché una terza più una sesta portano all’intervallo di ottava. L’intervallo di sesta è l’intervallo più ampio che sia privo di un carattere di tensione. Per la sua cantabilità espansiva la sesta maggiore ascendente si ritrova in molti passi operistici, anche di impronta espressiva completamente diversa. E’, fra i tanti esempi possibili, l’intervallo di apertura del celebre coro “Libiam nei lieti calici”, della Traviata di Verdi, mentre Mozart, nelle Nozze di Figaro, lo impiega abilmente nell’aria “Contessa perdono” per sottolineare la riconciliazione che riunisce i i personaggi nel finale. Un’apertura melodica con intervallo di sesta minore è invece nel celeberrimo “Lacrimosa” del Requiem di Mozart.

Seconda. L’intervallo di seconda maggiore è di 1 tono, mentre quello di seconda minore ha l’ampiezza di 1 semitono. L’intervallo di seconda è il minimo movimento melodico possibile in quanto lega due note vicine nella scala, e per questo è l’intervallo più frequente nella maggioranza delle melodie. Il celeberrimo Inno alla gioia della Nona Sinfonia di Beethoven è uno degli esempi più efficaci di impiego di intervalli di seconda (v. melodia). Di tutt’altro tenore, invece, è lo stillicidio della seconda, minore e maggiore, che in molti esempi del repertorio musicale barocco offre l’immagine del sospiro e del singhiozzo, come superbamente espresso nell’Aria “Blute nur” (Sanguina mio cuore) dalla Passione secondo Matteo di Bach.

Settima. L’intervallo di settima maggiore è di 5 toni + 1 semitono, mentre quello di settima minore ha l’ampiezza di 5 toni. Settime e seconde sono intervalli complementari. L’intervallo di settima, il più ampio degli intervalli contenuti entro l’ottava, è carico di tensione: dissonante e difficile da intonare, nella musica tonale appare raramente al principio di una melodia; è infatti una dissonanza che deve essere risolta, facendola seguire da una consonanza. Una settima maggiore ascendente, ad esempio, apre l’aria “O terra addio” con cui si chiude l’Aida. Nel caso della settima maggiore ascendente, poiché le manca solo un semitono per raggiungere l’ottava, la sua tensione si placa salendo di un semitono. La settima minore ascendente, invece, ha soltanto un semitono in più della sesta maggiore, e la sua tensione si risolve più spontaneamente scendendo di un semitono. In molta musica del Novecento la settima, come gli altri intervalli più dissonanti (seconda minore e tritono) si emancipa, affrancandosi dall’obbligo della risoluzione.


Intervalli aumentati e diminuiti


Se agli intervalli giusti – quarta quinta e ottava – e a quelli maggiori o minori si aggiunge (o si toglie) un semitono diventano eccedenti (o diminuiti). Fra questi intervalli, due risultano particolarmente significativi nel contesto della musica occidentale:

Quarta eccedente o tritono. Questo intervallo copre 3 toni esatti: per questo è anche chiamato tritono, e nei trattati musicali “diabolus in musica”. Ha infatti una sonorità aspra e di difficile intonazione. La sua fama di ’intervallo maledetto’ lo ha reso adatto a suggerire contesti demonici, soprattutto nella musica dell’Ottocento. Nella musica del Novecento l’intervallo di quarta eccedente ha perso questa connotazione infernale e ne sono state esaltate alcune sue specifiche proprietà, fra cui quella di dividere l’ottava in due parti esattamente uguali (è l’unico intervallo che coincide con la propria inversione). Trattandosi di un intervallo in cui compare un numero intero di toni, il tritono è comune nella scala esatonale (v. scala): ad esempio nella sequenza do–re–mi–fa#–sol#–la#–do tutte le quarte sono quarte eccedenti. Nella musica di Debussy il tritono compare con frequenza straordinaria, fra i tritoni più famosi, quello del celebre attacco del Prélude à l’Après-midi d’un Faune, riempito dall’arabesco del flauto.

Settima diminuita. Un caso particolare di settima è la settima diminuita, intervallo che contiene 4 toni +1 semitono, come la sesta maggiore, ma, impiegato nel contesto della musica tonale soprattutto come intervallo discendente, risulta un fondamentale ingrediente espressivo per segnalare eventi improvvisi, personaggi sinistri, situazioni di pathos, sorpresa, ansia, terrore. La settima diminuita si costruisce per sovrapposizione di tre terze minori: considerando la gamma dei 12 suoni, è possibile costruire solo 3 accordi differenti di settima diminuita. Ciascuno è comune a 4 tonalità (naturalmente tenendo presente i rivolti e i suoni omologhi). L’accordo di quattro suoni che ne scaturisce è dunque estremamente versatile, ed è ampiamente utilizzato nella modulazione verso tonalità lontane (v. tonalità).

Rapporti matematici degli intervalli

Come è stato sopra sottolineato, l’intervallo di ottava implica un rapporto di frequenza doppio fra i due suoni che compongono l’intervallo. Lo stesso rapporto si verifica facendo vibrare una corda, e poi facendone vibrare la metà esatta. Se il suono della corda che vibra liberamente ha, per ipotesi, 100 vibrazioni al secondo (100 hz), il suono dell’ottava superiore sarà di 200 vibrazioni al secondo (200 hz), e corrisponderà al suono della medesima corda trattenuta alla metà. Questo principio matematico basilare per la determinazione dell’ottava è presente in tutte le culture musicali, ma la prima indagine sistematica sulle proprietà matematiche dei suoni di cui abbiamo testimonianza si deve a Pitagora di Samo (VI-V secolo a.C.), al quale è attribuita l’invenzione del monocordo, uno strumento ad una sola corda con un ponticello regolabile in modo da dividere la corda in parti proporzionali, così da poter studiare più agevolmente i rapporti matematici intercorrenti fra suoni di altezza diversa.

Nella figura qui riprodotta il principio del monocordo (divisione della corda in parti proporzionali) è applicato al grado di tensione di più corde di identica lunghezza, tese su una cassa di risonanza. Secondo i pitagorici, infatti, gli stessi rapporti matematici che si individuano nella determinazione delle altezze tramite divisione proporzionale della corda si dovrebbero ritrovare anche se corde uguali vengono tese con pesi differenti che rispettano le stesse proporzioni. Questi ‘esperimenti’ di matematica musicale furono ripresi e discussi in numerose trattati antichi e e medievali. L’illustrazione che segue è tratta dal frontespizio del trattato Theorica musice di Franchino Gaffurio (1480). I numeri che rappresentano i vari pesi definiscono i rapporti matematici semplici che intercorrono fra alcuni intervalli:


Se i pesi delle corde sono: 4 -- 6 -- 8 -- 9 -- 12 -- 16, avremo (dopo aver ridotto ai minimi termini le proporzioni) la seguente determinazione matematica degli intervalli ascendenti di:

ottava (diapason) = 1:2 (= 4:8, 6:12, 8:16)
quinta (diapente) = 2:3 (= 4:6, 8:12)
quarta (diatessaron) = 3:4 (= 6:8)
tono (epogdoos) = 8:9 (che è anche la differenza fra 2:3 e 3:4; infatti: (2:3) : (3:4) = 8:9)

I pitagorici determinarono col sistema proporzionale anche il rapporto matematico di altri intervalli musicali oltre l’ottava (che chiamavano diapason): sono gli intervalli giusti, o perfetti, sopra esaminati, di quarta e di quinta e la loro differenza, il tono (ricordiamo che il sistema temperato moderno altera l’intonazione naturale di tutti gli intervalli, ad eccezione di quello di ottava, che resta nel rapporto doppio). Oggi sappiamo che il suono della quinta coincide col terzo armonico (v. suono): è dunque anch’esso, come l’ottava, un intervallo naturale. Anche gli intervalli di terza e sesta maggiore e minore furono determinati attraverso proporzioni matematiche, ma non essendo in rapporto sesquialtero (cioè tali che il numeratore e il denominatore si differenzino per una unità) non erano computabili fra le consonanze. Ottava, quinta, quarta, tono sono intervalli che si ritrovano in moltissime culture musicali. Si potrebbe dire che sono naturali punti di riferimento per la voce umana e per la costruzione e accordatura degli strumenti musicali. Averne determinato i valori matematici costituì dunque una scoperta fondamentale per la nascita della scienza acustica, che da allora fino alla rivoluzione scientifica galileiana, nel 1600, fu considerata una scienza matematica (mentre oggi l’acustica è una branca della fisica). Una particolarità da segnalare rispetto all’esperimento dei pesi: Vincenzo Galilei, padre di Galileo, musicista e teorico musicale, lo discusse nel suo Discorso sopra la musica antica et la moderna (1581), dimostrando che i rapporti fra i pesi dovrebbero essere quadrati rispetto ai rapporti delle lunghezze delle corde; affinché due corde uguali producano l’ottava è dunque necessario quadruplicare, e non raddoppiare, il peso di tensione dell’una rispetto all’altra.


Consonanze e dissonanze



I termini consonanza e dissonanza rimandano alle qualità acustiche suscitate dall’incontro di due suoni di diversa altezza, siano essi in successione, come negli intervalli, siano essi in simultanea, come negli accordi (v. tonalità). Le sensazioni di gradevolezza e consonanza o sgradevolezza cioè dissonanza fra suoni in realtà non dipendono dall’altezza in sé dei suoni, ma anche dai timbri, dalle dinamiche e soprattutto dalla natura della composizione, cioè dal sistema musicale di riferimento, dall’epoca e dalla circostanza nelle quali si colloca ogni creazione musicale. Insomma, consonanza e dissonanza sono parametri di giudizio storicamente determinatisi e profondamente diversi nelle varie epoche, culture e generi musicali.

Come è stato sopra richiamato, la tradizione teorica pitagorica reputava consonanti solo gli intervalli giusti, in forza della loro determinazione matematico-proporzionale. Questo ha fatto sì che nella cultura occidentale la prassi nell’impiego delle combinazioni di suoni fosse subordinata (almeno nella musica colta, trasmessa per iscritto) ad un apparato teorico di riferimento. In età medievale, con lo sviluppo della polifonia, anche gli intervalli di terza e sesta cominciarono ad essere ritenuti consonanti, benché in modo ’imperfetto’. Fu solo alla metà del Cinquecento che l’imperfezione si emancipò, grazie alle teorie armoniche di Gioseffo Zarlino, il quale elaborò il principio del senario: tutti gli intervalli consonanti sono espressi attraverso proporzioni matematiche semplici, determinate dai primi sei numeri naturali: 1, 2, 3, 4, 5, 6. Fu dunque possibile annoverare fra le consonanze anche la terza maggiore (4/5), la terza minore (5/6), la sesta maggiore (3/5) e la sesta minore (5/8, il numero 8 sarebbe ’potenzialmente’ contenuto nel senario, secondo Zarlino). Il senario zarliniano è alla base della costruzione della scala naturale (v. scala), impiegata nella teoria musicale fino all’affermarsi del sistema del temperamento equabile, ed il suo principio di sovrapposizione delle note per terze, fondamento delle aggregazioni accordali, fu il principio cardine dell’elaborazione teorica dell’armonia tonale (v. armonia). Nell’Ottocento lo studio degli armonici ad opera del fisico Helmholtz (v. suono) portò al superamento della matematica delle consonanze e alla determinazione fisica della consonanza come fenomeno dovuto al numero di battimenti (le interferenze di onde sonore fra suoni di frequenza diversa) fra i suoni di un intervallo ed i rispettivi armonici. Questa fu una teoria ampiamente discussa, soprattutto per la sua incapacità di giustificare la consonanza all’interno del sistema temperato, dove tutti gli intervalli ad eccezione delle ottave sono alterati rispetto all’intonazione naturale, ma non per questo risultano sgradevoli. Nel linguaggio dell’armonia tonale sono consonanti gli intervalli giusti, le terze e le seste, mentre restano dissonanti le seconde e le settime e tutti gli intervalli alterati e diminuiti (e, di conseguenza, tutti gli accordi che contengono tali intervalli). Naturalmente, questo principio non è valido nella musica atonale (v. glossario) e nella musica seriale (v. glossario) nelle quali il concetto di consonanza, così come l’aggregazione per terze degli accordi, non ha significato strutturale. (CP)