Melodia
L’origine del termine melodia, e dei suoi affini in altre lingue europee
(melody, melodie etc.), deriva dal greco antico e riunisce insieme i due termini
‘musica’ (melos) e ‘canto’ (oide). In senso fisico-acustico
la melodia altro non è che la successione di più suoni i cui
rapporti di altezza (intervalli) e i cui valori di durata (ritmica) permettono
una percezione globale dell’insieme. La melodia potrebbe dunque essere
definita una connessione coerente e significante di
suoni, ove tali qualità rimandano alla ‘logica’
della sua costruzione, al modo in cui la successione di note si incontra con
la ritmica, con l’organizzazione generale e la finalità del brano,
con la scala o, più in generale, con il sistema di suoni nella quale
essa è composta e, almeno nel caso del linguaggio tonale, con la struttura
armonica di riferimento. In quest’ultimo caso, la melodia rimanda ad
un’organizzazione lineare, cioè
successiva, di suoni, mentre l’armonia è
concepita come organizzazione verticale, o simultanea, degli stessi.
Melodia e fattore emotivo
Il compositore Aaron Copland, nel suo libro Come ascoltare la musica, in relazione
all’invenzione melodica afferma che “in nessun altro ramo della
composizione [un musicista] è obbligato a fare affidamento al suo istinto
musicale in tutta la sua pienezza per avere una guida [nel comporre] quanto
in questo”. L’invenzione melodica, in altre parole, sembra essere
una prerogativa istintiva dell’atto creativo. Tuttavia Copland, da compositore,
non può evitare di offrire suggerimenti di tipo classificatorio per
cercare di mettere a fuoco come e perché una determinata melodia risulta
ben strutturata ed un’altra no. Premesso che il suo discorso si orienta
su presupposti estetici relativi alla musica tonale, o comunque ben applicabili
ad essa, egli sottolinea che la bellezza di molte melodie risiede in lievi
mutamenti della ritmica, nella giusta calibratura dei punti di slancio e dei
punti di riposo, o cadenze, ma soprattutto nella sua qualità
espressiva, cioè nella capacità di far sorgere una risposta
emotiva nell’ascoltatore. Creare una melodia significa dunque organizzare
suoni, pause e ritmi in modo significativo, espressivo, poetico. Questo principio
sembra estensibile a tutte le culture e società, tanto che un importante
settore della etnomusicologia ha posto la
comunicazione (individuale, interpersonale, sociale)
come una delle fondamentali funzioni della
musica: poiché la maggior parte delle culture musicali è
strutturalmente monodica, la melodia è fra gli elementi musicali quello
che maggiormente ne caratterizza la funzione espressivo-comunicativa.
Tipologie melodiche
Il tema del processo emotivo innescato dall’ascolto della musica è
trattato alla voce espressione; qui
basterà ricordare che la capacità delle melodie di suscitare
particolari risposte emotive fu impiegata fin dall’antichità
anche per distinguerne diverse tipologie. La distinzione, cioè, risultava
strettamente connessa al particolare stato d’animo (ethos) sollevato.
Come è ben noto, Platone nella Repubblica afferma che nello Stato ideale
determinate armonie (che generalizzando potremmo
definire ‘tipi melodici’) dovrebbero essere bandite, in quanto
inducono chi ascolta alla lascivia e alla debolezza d’animo, mentre
altre dovrebbero essere accolte perché rinvigoriscono lo spirito virile
e inducono all’amor di patria. Gli elementi che concorrevano alla determinazione
di tali effetti erano connessi all’assetto melodico-intervallare (harmonia),
al ritmo (rhythmos), allo strumento utilizzato (giacché anche ogni
strumento musicale vantava peculiarità etiche e psicagogiche).
Questo tema avrà una larga ed ininterrotta risonanza e sarà
ripreso in particolare in età medievale quando la trasmissione delle
melodie liturgiche si affrancò dal contesto orale e si affidò
alla scrittura. Gli archetipi melodici appresi oralmente furono infatti codificati
in tipi melodico-modali (gli otto modi ecclesiastici),
raggruppati in base a più contesti di determinazione melodico-verbale,
fra i quali ricordiamo: l’accento fonico delle parole per la determinazione
dei punti di slancio melodico, la centralità delle note finalis (che
ha la funzione di ‘tonica’) e repercussio (o ‘corda di recita’,
suono predominante in ogni ambito modale), come meglio specificato alla scheda
modalità. Inoltre, processi
musicali quali le cadenze (intese come ritorno sulla finalis), la stroficità
e la ripetizione melodica fungevano da elementi di connessione del testo,
e il riferimento alle antiche ‘armonie’ platoniche era impiegato
per inquadrare il carattere emotivo del brano. Con lo sviluppo della polifonia,
dal secolo XII in avanti, non fu più applicabile la modalità
come struttura che organizza il discorso melodico, ora plasmato dalle necessità
di combinazione ritmico-armonica con le altre voci della composizione (contrappunto).
Contestualmente, il passaggio definitivo della scrittura da luogo di memoria
di un repertorio interiorizzato oralmente a luogo di sperimentazione permise
che si sviluppasse il concetto del comporre quale atto creativo: l’elaborazione
(e la rielaborazione) melodica divenne perciò invenzione artistica.
Il genere musicale che maggiormente mise a fuoco la portata enorme di tale
trasformazione fu il madrigale rinascimentale,
che abolì la ripetizione melodica e strofica, potenziò il cromatismo
e la parificazione tra le voci, nel tentativo di creare un nesso percepibile
fra testo poetico e musica. Al volgere del Rinascimento, la creazione musicale
si accompagnò ad una tendenza culturale e artistica che sviluppava
una vera e propria semantica del linguaggio
musicale con relativo apparato retorico, concretizzato musicalmente con
l’impiego degli affetti, piccole fioriture
o inflessioni melodiche con funzione di rappresentare specifici stati d’animo.
Fu questo lo sfondo concettuale dell’emergente monodia
accompagnata, ove la melodia era di nuovo elemento privilegiato dal
punto di vista espressivo, anche se ad essa sottendeva ormai il nuovo linguaggio
armonico tonale.
Nell’età dell’Illuminismo, filosofi come Diderot e Rousseau
ritenevano che solamente la melodia e non l’armonia (cioè il
linguaggio della polifonia tonale) fosse da considerarsi musica ‘pura’,
proprio perché la modulazione lineare della voce era ciò che
meglio poteva esprimere la potenza della parola intonata: “La melodia
è linguaggio non meno della parola: ogni canto che non dice nulla non
è nulla”, afferma Rousseau. Gli ‘affetti’ divennero
dunque vere e proprie formule e stereotipi (teoria degli
affetti), tanto da trasferirsi, nel cosiddetto ‘stile galante’,
anche all’ambito della musica strumentale, sviluppando la cosiddetta
melodia accompagnata, lo stile compositivo settecentesco
caratterizzato da un flusso melodico leggero, simmetrico, elegante, e ben
sorretto da una semplice struttura armonica (potremmo ricordare la poetica
di Carl Philipp Emanuel Bach, secondogenito di Johann Sebastian). Come afferma
Harold Powers: “nella musica tonale del Sette e Ottocento la melodia
fu percepita sempre più come risultante da una successione di armonie
governate da propri principi costruttivi e tassonomici”. Ciò
significa che i motivi melodici risultano raramente indipendenti dalle relazioni
‘verticali’ dei suoni, la loro coerenza è infatti determinata
da note strutturali a livello armonico e l’analisi armonica è
perciò un presupposto per la classificazione dei tipi-melodici. Tale
principio, cardine della ormai affermata musica tonale, fu scientificamente
analizzato da Jean-Philippe Rameau nel suo Trattato dell’armonia ridotta
ai suoi principi naturali (1722): la melodia è conseguenza dell’armonia,
e non il suo presupposto, come invece ribadiva Rousseau, in aperta polemica
con Rameau.
Con il superamento del sistema tonale nella nuova musica del Novecento, altri
principi e generi d’esperienze consentirono di riformulare il concetto
di melodia. Nel sistema dodecafonico, ad esempio, la serialità
(v. glossario) divenne elemento
strutturante del brano sia dal punto di vista melodico (se impiegata in senso
lineare), sia quale fondamento armonico (impiegata in senso verticale). Diversamente,
altre avanguardie musicali come la musica aleatoria
(v. glossario), la musica di improvvisazione,
l’happening impiegando contesti sonori fondati sul principio artistico
della non-ripetitività e della casualità, misero in discussione
la stessa distinzione fra linearità melodica e verticalità armonica.
Infine, l’impiego dei suoni elettronici, dei rumori, dei nastri registrati
nelle molteplici sperimentazioni delle avanguardie musicali ha reso estremamente
elastico e controverso il concetto di melodia in età contemporanea.
Melodie, motivi, frasi e periodi
Come sopra accennato, pur riconoscendo la naturale qualità istintiva
della creazione melodica, sono stati fatti vari tentativi di raggruppare in
tipologie differenti – ovviamente non secondo principi scientifici e
tassonomie chiuse – le varie melodie che la letteratura musicale occidentale
ci ha trasmesso. Benché dunque la composizione melodica si presti ad
infinite variazioni ed il risultato finale rimandi sempre alle capacità
espressive che il compositore riesce ad imprimervi, si possono ad esempio
distinguere nella musica tonale vari tipi melodici che si riconducono agli
intervalli impiegati in quel particolare contesto sonoro. Vi sono infatti
melodie per gradi congiunti, quando gli intervalli
fra le note della melodia sono di tono e semitono, melodie
per gradi disgiunti, quando gli intervalli impiegati sono più
ampi (come terze, quarte e quinte), e un tipo melodico risultante dalla combinazione
dei due precedenti, ove intervalli congiunti e disgiunti si equilibrano. Ma
affinché una melodia possa essere percepita distintamente, non è
sufficiente determinarne la sola successione intervallare, ma anche la ritmica.
Una successione di almeno due note e una struttura ritmica che li definisce
è il motivo, la più piccola unità
di una composizione musicale. I motivi, a loro volta, sono i nuclei generatori
della frase musicale, dove uno o più motivi
si concludono con una cadenza, cioè un punto di riposo, che per lo
più è la nota principale (tonica) della scala musicale, e/o
una pausa (sulla cadenza rimandiamo a tonalità).
Più frasi costituiscono infine il periodo, o tema, che spesso nella
letteratura musicale tonale si compone di otto battute. La melodia è
in rapporto stretto con tutti questi elementi, di cui costituisce una sorta
di summa. Motivo, frase, periodo, tema rientrano dunque nel campo semantico
di melodia, come meglio specificato alla scheda elementi di sintassi musicale.
Il seguente schema offre una visione d’insieme di questi concetti applicati
ad una delle melodie più famose (ed analizzate) della letteratura musicale,
l’Inno alla gioia che chiude l’ultimo
tempo della Nona sinfonia di Beethoven. Ovviamente, la riduzione del brano
alla sola linea melodica non è intesa, qui, in senso analitico, ma
solo quale esemplificazione di termini e concetti comunemente impiegati nel
contesto della musica tonale per inquadrare la struttura melodica di una composizione.
Tuttavia, anche ad un livello di mera superficie, sono assai ben evidenti
alcune peculiarità che rendono questa ‘semplicissima’ melodia
un concentrato inestricabile di spontaneità e invenzione, logica e
naturalezza, equilibrio e fascino.
(clicca qui per ascoltare la linea melodica)
Ecco alcune delle caratteristiche che la distinguono: un andamento sonoro per gradi congiunti che caratterizza il primo periodo (segnalati in rosso), di otto battute; la ricerca di maggiore movimento intervallare nel secondo periodo, anch’esso di otto battute; l’assenza di pause; la concentrazione dei punti di riposo e di slancio alla fine delle frasi (segnalate in blu), ciascuna della durata di quattro battute; pochi motivi (in grigio), ripetuti o leggermente variati (tratteggiato), racchiusi in due battute o in una soltanto. La melodia dell’Inno alla gioia ha la naturalezza con cui ci si sposta con passo regolare lungo le note di una scala. Semplice da ricordare, e adatta a ogni voce, fu forse suggerita a Beethoven da una poco nota composizione religiosa giovanile da Mozart. Qui l’ascoltiamo nella sua forma più spoglia, priva di testo e armonizzazione (CP).
Riferimenti bibliografici
Harold Powers, La melodia, in Enciclopedia della musica, diretta da J. J.
Nattiez, II, Il sapere musicale, Torino, Einaudi, 2002, pp. 24-71.