Madrigale
Con questo termine si intendono due distinte forme
di organizzazione poetico musicale, appartenenti a epoche storiche
diverse. Distingueremo pertanto il madrigale antico o trecentesco
dal madrigale rinascimentale
Madrigale antico
Accanto alla perdurante e preponderante prassi dell’intonazione
monodica del testo poetico, non affidata alla notazione scritta, nel
corso del Trecento si assiste ad un fenomeno nuovo e storicamente
importantissimo, benché circoscritto ad aree geografiche e
ambienti culturali assai ristretti. Si tratta della cosiddetta ars
nova italiana: è questa una tecnica di composizione
che si avvale di musica mensurabilis
(mensurale), ossia della determinazione precisa del valore di una
nota in rapporto alle altre. Tale determinazione si attiva generalmente
in presenza di più linee melodiche prodotte contemporaneamente,
ovvero di polifonia, e necessita di notazione
scritta. I luoghi di queste esperienze, per taluni aspetti debitrici
di quelle della ars nova francese, per
altri del tutto originali, furono le città universitarie di
Padova e Bologna, le corti di Verona e di Milano e solo in un secondo
tempo Firenze. A Padova, in particolare, si legano i nomi di Marchetto,
il principale teorico italiano di musica mensurabilis, e di Antonio
Da Tempo, autore di un fortunato trattatello in latino sulle forme
poetiche e poetico-musicali in volgare (Summa arthis rithimici vulgaris
dictaminis, 1332).
La nuova Ars fu sperimentata innanzi tutto con il genere del madrigale
e, da questo derivato, della caccia.
Sono forme di poesia per musica in senso stretto, giacché i
testi di tutti i madrigali e delle cacce a noi pervenuti, in larga
parte anonimi, sono testimoniati esclusivamente da codici musicali:
la sola, illustre eccezione sembrerebbe costituita da quattro madrigali
di Francesco Petrarca, inseriti in seguito, non senza adeguata revisione,
nel suo Canzoniere.
Controversa è l’etimologia del termine “madrigale”.
L’ipotesi più accreditata lo vorrebbe derivato dal latino
“matricalis”, ossia ‘nella lingua madre’,
con riferimento alla lingua volgare in cui sono scritti i testi. Di
ambientazione per lo più campestre (un’altra ipotesi,
oggi abbandonata, riferiva per questo il termine al latino “mandrialis”),
il madrigale trecentesco predilige un’intonazione a due voci,
di cui la superiore presenta un maggiore sviluppo melodico. La costruzione
musicale si plasma sulla forma poetica, destinando la stessa musica
a ciascuna terzina e una musica diversa al “ritornello”,
ovvero al verso singolo, oppure al distico, o ai due distici posti
in chiusura (schema AAB oppure AABB). Una certa autonomia si osserva
invece sotto il profilo contenutistico: stando almeno al modello proposto
da Giovanni da Firenze, uno dei principali arsnovisti della prima
generazione, l’intonazione musicale tende ad essere melismatica
in corrispondenza dell’inizio e della fine di ciascun verso,
sillabica nella sezione centrale.
L’ascolto presupporrà quindi, oltre alla conoscenza della
lingua e della metrica italiana antica, la capacità di apprezzare
la macrostruttura musicale, ovvero la suddivisione in moduli musicali
periodici (strofe, ritornello) e, all’interno di questa, il
rapporto tra la struttura prosodica e l’intonazione musicale,
sia sotto il profilo ritmico, sia sotto quello della configurazione
melodica; la qualità della tessitura vocale (giustapposizione
di sezioni a carattere più propriamente contrappuntistico e
di sezioni omoritmiche, compresenza o alternanza delle voci, ambito
di estensione complessiva e qualità degli intervalli propri
di ciascuna linea melodica); il tipo di intervalli che si determinano
nell’incontro tra le voci.
Madrigale rinascimentale
A differenza di quanto si pensava fino a pochi anni or sono, sulla
base degli studi di Alfred Einstein, non c’è rapporto
di continuità tra la civiltà della frottola,
in declino con l’inizio degli anni ’20, e il madrigale,
il nuovo genere poetico-musicale in auge per circa un secolo a partire
dagli anni ’30 del Cinquecento. Quest’ultimo non sarebbe
nato, in altre parole, dall’applicazione delle sofisticate tecniche
contrappuntistiche di matrice franco-fiamminga alla semplicità
strutturale della frottola, ciò che avrebbe determinato, stando
sempre alla lettura di Einstein, la deviazione della musica italiana
dalle sue tradizioni di immediata perspicuità del testo poetico
e di rispetto della sua struttura formale. Accertamenti recenti hanno
infatti evidenziato come poco o per nulla era stato coltivato il repertorio
frottolistico laddove, tra il 1520 e il 1540, si attestano le prime
redazioni manoscritte di madrigali musicali, ovvero a Firenze (Philippe
Verdelot) e a Roma (Costanzo e Sebastiano Festa).
Proprio la tradizione polifonica franco-fiamminga, pealtro, aveva
messo a punto, tra le altre, tecniche di descrizione e potenziamento
del senso del testo tramite mezzi musicali, arrivando a creare una
sorta di vocabolario sonoro: in un suo mottetto,
ad esempio, Josquin Desprez aveva intonato la parola “velociter”
con un successione rapidissima di note.
Queste possibilità venivano adesso a incrociarsi con nuove
sollecitazioni provenienti dal mondo letterario: nelle sue Prose della
volgar lingua (1525), Pietro Bembo aveva sottolineato l’importanza
imprescindibile dell’effetto sonoro del testo - frutto di una
specifica commistione di suoni e accenti, dotato di proprietà
quali la gravità e la piacevolezza
- sulla sua significazione complessiva. La nuova sensibilità
comportò il riconoscimento di Francesco Petrarca quale modello
assoluto di lingua e di stile (petrarchismo),
nonché la ricerca di combinazioni nuove di suoni e ritmi. Si
affermò quindi il madrigale poetico, sorto probabilmente nel
grembo della singola stanza di canzone e dunque diverso dall’omonimo
metro trecentesco: privo di una struttura predefinita, il madrigale
cinquecentesco si plasma in base alla peculiare successione - stabilita
di volta in volta dall’autore per numero di versi e schema di
rime - di settenari ed endecasillabi.
Libertà compositiva e gusto del suono trovano piena realizzazione
nell’intonazione musicale, tesa ora a stabilire un rapporto
esclusivo con la parola e dunque astrofica (ciò anche quando
i testi posti in musica non siano madrigali poetici, ma appartengano
a metri definiti, quali il sonetto, l’ottava, la canzone ecc.).
A differenza della frottola, inoltre, il madrigale musicale non privilegia
alcuna voce, ma distribuisce equamente il peso espressivo della composizione
tra i diversi membri della compagine polifonica.
Da Firenze e Roma (città, quest’ultima, in cui è
ipotizzabile un’influenza diretta di Bembo sul nascente orizzonte
madrigalistico), verso la fine degli anni Trenta il centro produttivo
ed editoriale si sarebbe spostato a Venezia, ove si imposero i madrigali
di Jacques Arcadelt. Le oltre mille raccolte di madrigali stampate
nella seconda metà del secolo danno la misura del successo
del nuovo genere poetico-letterario. Il magistero contrappuntistico
di Adrian Willaert e di Cipriano de Rore aveva fornito strumenti sempre
più raffinati alla realizzazione musicale del testo poetico,
creando un equivalente profano dello stile alto dei mottetti sacri,
nonché un perfetto analogo dello stile poetico aulico. A Rore,
in particolare, si deve l’introduzione dei “madrigali
cromatici” (Venezia, 1544), cosiddetti in quanto vi si fa abbondante
uso di crome, ossia di note nere di valore piccolo, anche nei passaggi
sillabici, così da rendere complessivamente più rapido
e incisivo l’assetto ritmico. Con la parola cromatico
si indica anche quel particolare stile compositivo che ricorre con
sistematicità a movimenti melodici semitonali, e dunque a note
alterate, che “cromatizzano”, cioè coloriscono,
le concatenazioni armoniche. Rese in tal modo inusitate e spesso impervie,
queste ben si prestavano ad interpretare situazioni enigmatiche, o
anche di tormento amoroso, irrequietezza, angoscia: se ne sarebbe
avvalso come di una cifra personalissima – da alternare, assecondando
con ciò le antinomie del testo poetico, a sprazzi di semplicità
e scorrevolezza - il principe Carlo Gesualdo da Venosa, in particolare
nel terzo e nel quarto libro dei suoi madrigali.
Un altro filone, i cui inizi si fanno risalire alla fortunata antologia
stampata nel 1555 dall’editore e compositore Barré, è
costituito dai madrigali cosiddetti “ariosi”, caratterizzati
da un andamento spiccatamente declamatorio. La tessitura polifonica,
prevalentemente omofonica, lascia sempre apprezzare la configurazione
dell’aria, cioè della melodia,
affidata alla voce superiore.
Con gli ultimi decenni del secolo, quando nuovi modelli letterari
(e in particolare Torquato Tasso e Battista Guarini) si affiancano
agli autori della prima fase (Petrarca e i petrarchisti, Ariosto),
l’arsenale tecnico dei madrigalisti può ormai attingere
a tutte le risorse della scrittura polifonica, alla ricerca di soluzioni
sempre più sottili e icastiche L’ascolto presupporrà
dunque, oltre alla conoscenza della lingua e della metrica italiana
antica, la capacità di cogliere le connessioni tra i parametri
musicali di volta in volta chiamati specificamente in causa e le singole
immagini evocate dal testo dei poetico. Sono queste ultime che la
scrittura musicale madrigalistica intende infatti sottolineare e amplificare
con i mezzi di significazione che le sono propri. Le nette opposizioni
di senso (piacere/dolore; vita/morte/; chiaro/scuro ecc.) proprie
dei testi intonati saranno di volta in volta rappresentati dalle configurazioni
melodiche (movimenti ascendenti o discendenti, per gradi congiunti
o per salti più o meno ampi e scomodi), la tessitura (combinazioni
vocali via via diverse per numero, qualità, ambito di estensione,
uso di procedimenti omofonici o imitativi), il ritmo (durate dei singoli
suoni e loro reciproco rapporto, alternanze suono/pausa), le combinazioni
armoniche (a partire dalla opposizione fondamentale consonanza/dissonanza,
v. intervallo).
Sarà ancora il testo a giustificare possibili comportamenti
eccentrici rispetto alla norma contrappuntistica, laddove questo faccia
riferimento a stati di alterazione, di irragionevolezza, di perdita
della coscienza di sé.
Anche all’aspetto iconico della scrittura musicale si affida
un compito descrittivo (ad es.: uso di
note bianche in rapporto a situazioni di purezza, candore, chiarore
e, per contro, di note nere in riferimento a oscurità, notte
ecc.). Pur priva di un esito fonico pertinente, questa prassi si giustifica
sociologicamente per la coincidenza delle figure dell’interprete
e del fruitore: il canto dei madrigali è pratica cortigiana,
laddove il principe è spesso committente e dunque egli stesso
artefice dell’incontro di poesia e musica. Più raramente
– come nel caso del “concerto delle dame” presso
la corte di Ferrara - l’intonazione dei madrigali è oggetto
di esecuzione per un pubblico di ascoltatori.
Oltre ai compositori d’oltralpe attivi in Italia (Orlando di
Lasso, Philippe de Monte e Giaches de Wert), popolano questa fase
della storia del madrigale numerosi italiani, tra i quali si distinguono
Giovanni Pierluigi da Palestrina (attivo a Roma), Luzzasco Luzzaschi
(Ferrara), Andrea e Giovanni Gabrieli (Venezia), Luca Marenzio (Roma,
ma con rapporti consolidati con Ferrara, Mantova e Firenze) e il ricordato
Carlo Gesualdo (Napoli e per un breve periodo, dal 1594 al 1597, Ferrara,
sposo in seconde nozze di Eleonora d’Este).
Proprio verso la fine del Cinquecento, epoca della massima fioritura
della civiltà madrigalistica, si manifestano in modo sempre
più deciso alcuni fenomeni, tra loro anche eterogenei, che
di quella civiltà indicano la crisi ventura, prospettando scenari
nuovi. Si fa strada, innanzi tutto, una nuova sensibilità armonica,
per cui la dimensione verticale della musica, l’emissione simultanea
di suoni diversi, non è più l’esito della sovrapposizione
di autonome linee vocali, ma vuole essere considerata come realtà
in sé, dotata di sintassi e regole proprie (v. armonia).
Parallelamente si registrano con frequenza, in ambito polifonico,
soluzioni che si sottraggono al tradizionale equilibrio contrappuntistico
tra le voci optando per procedimenti di tipo omoritmico-accordale
o comunque per una bipolarizzazione tra la voce acuta (canto, melodia)
e quella inferiore (basso). Sono, queste, esperienze che si richiamano
ai già ricordati madrigali ariosi, oppure ai recitativi corali
già individuabili nella scrittura di Rore; è sbilanciata
verso il registro vocale acuto la scrittura esperita a Ferrara, per
il “concerto delle dame”, da Luzzasco Luzzaschi. In ambiente
fiorentino la polemica anticontrappuntistica avrebbe condotto ad una
umanistica riaffermazione del canto a voce sola, il solo capace di
evitare la disintegrazione del tessuto prosodico. Mai del resto era
venuta meno presso le corti musicofile italiane la prassi del canto
monodico accompagnato.
Altri stimoli nel senso di un diverso incontro tra musica e parola
provenivano dal mondo della letteratura e della drammatica in particolare,
forte quest’ultima del recente successo del genere della favola
pastorale (Aminta di Tasso, Pastor fido di Guarini). Anche i madrigalisti
vi avrebbero fatto ricorso, ritagliandosi non solo gli squarci lirici
ma anche porzioni dialogiche. L’interpretazione della situazione
affettiva tendeva insomma a sostituirsi alla restituzione musicale
della singola immagine o del concetto espresso dalla singola parola:
a quella, come è comprensibile, meglio si sarebbe prestata
la duttilità del canto monodico, manifestazione apparentemente
immediata della soggettività, piuttosto che la raffinata e
sofisticata complessità della scrittura polifonica. La nascita
dell’opera, a cavallo tra il vecchio e il nuovo secolo, e raccolte
quali le Nuove musiche di Caccini avrebbero offerto adeguata risposta
alle nuove esigenze espressive.
In ambito madrigalistico, tradizione contrappuntistica e nuove tendenze
si confrontano esemplarmente nell’opera di Claudio Monteverdi
(1567-1643), che vide pubblicati in vita otto libri di madrigali.
I primi cinque (1587-1605), che mostrano la spiccata predilezione
per le rime di Tasso (libri I-III) e quindi Guarini (IV-V), si iscrivono
nella tradizione energicamente espressiva di Wert e Marenzio. Non
mancano omaggi al recitativo dei monodisti (Sfogava con le stelle,
Libro IV, su testo di Rinuccini) e frequenti licenze di scrittura,
giustificate in quanto richieste dal dettato poetico: sono queste
le caratteristiche della seconda practica
(già avviata da Rore, Marenzio, Wert), contrapposta ad una
prima practica, tipica della produzione
franco-fiamminga, in cui le regole del costrutto musicale avrebbero
avuto ragioni più forti rispetto al senso del testo intonato.
L’uso del basso strumentale, introdotto
negli ultimi sei madrigali del Libro quinto, non verrà più
abbandonato. A partire dal Libro sesto (1614) Monteverdi esplora le
possibilità espressive della monodia
accompagnata e dello stile recitativo
o rappresentativo (tale non perché usato sulle scene, ma perché
adatto alla rappresentazione ideale di situazioni e affetti), amalgamandolo
o contrapponendolo ad un sapiente impiego della compagine strumentale
(in questo senso va inteso il titolo, Concerto, apposto al Libro settimo).
I tre principali stati dell’animo umano (“concitato, molle,
temperato”) sono rappresentati infine con altrettanti stili
musicali nel Libro ottavo (Madrigali guerrieri et amorosi), e in particolare
nel celebre Combattimento di Tancredi e Clorinda, il cui testo è
estrapolato dalla Gerusalemme liberata di Tasso. La civiltà
del madrigale, caratterizzata dall’esecuzione a tavolino di
sofisticate scritture contrappuntistiche, aveva ormai definitivamente
ceduto il passo. (MDS)